Etica e qualità della progettazione nell’era digitale.

Giovanni Scarzella
meduse
Published in
4 min readMar 18, 2019

Viviamo in un periodo storico nel quale i processi digitali coinvolgono ogni operazione quotidiana e intervengono a qualsiasi livello nella relazione tra le persone. Il tasso di innovazione e la velocità di nascita, sviluppo e cambiamento di nuovi servizi sono i più alti di tutta la storia dell’umanità. Ogni provider di tecnologia si trova in un momento storico dove la domanda supera di gran lunga l’offerta e la quantità di opportunità disponibili sul mercato si moltiplica in maniera esponenziale.

Che ruolo devono avere gli attori responsabili della costruzione di questi prodotti e servizi? Non si tratta più di realizzare qualsiasi progetto purché economicamente soddisfacente. Questo è il momento nel quale deve emergere la responsabilità del “fornitore” di servizi digitali nei confronti del “cliente finale” su tematiche come la qualità e l’etica dei prodotti che verranno lanciati sul mercato.

Per quanto riguarda la qualità, è doveroso da parte nostra (mi includo nella schiera di coloro che offrono servizi tecnologici alle aziende) mettere in campo tutte le forze possibili per indirizzare verso prodotti di alta qualità chi spende il proprio denaro per realizzare qualcosa di nuovo e che impatterà sulla vita di tutte le persone. Progettare soluzioni di qualità significa utilizzare le competenze di diverse figure professionali, dai designer, agli analisti, agli sviluppatori, solo per citarne alcuni; seguire metodologie consolidate; sfruttare strategie dalla visione alta ma con i piedi ben saldi verso il risultato concreto; controllare i numeri ma non farsi controllare dai numeri; ragionare sulle performance e sulla customer experience per migliorare ed accelerare i processi digitali che riempiono le nostre vite in ogni istante. Tutte queste pratiche sono all’ordine del giorno nelle migliori agenzie Digital nel mondo, compresa la nostra Med-Use.

Ma cosa succede quando un cliente vuole seguire un processo che porterà inevitabilmente ad una mancanza di qualità del risultato finale del lavoro? Cosa succede quando le logiche interne di un’azienda portano a fare scelte oggettivamente poco condivisibili a causa di forzature politiche o di potere? O quando più semplicemente il denaro (e quindi il business) guida le scelte senza alcun altro valore a supporto del progetto? Fino a quando si tratta di servizi privati, il peggio che può capitare è che l’azienda in questione perda soldi o reputazione. Si, ma c’è anche un fattore culturale: abituare le persone ad usare prodotti con o senza qualità a livello tecnologico e digitale, ha sicuramente un impatto in termini educativi molto differente. E se il servizio in questione fosse legato a qualcosa di importante come la sanità? O la previdenza sociale? Quanto è importante imparare a dire no a certe scelte sbagliate delle aziende per evitare impatti negativi sulla vita di tutti i giorni delle persone? Sto pensando alle perdite di tempo dovute a processi incomprensibili, alla mancanza di User Experience di molti applicativi che ci circondano, ai malfunzionamenti tecnici delle piattaforme, alla poca accessibilità di alcuni prodotti e così via.

L’intera filiera di un servizio digitale deve impattare in maniera positiva sulla vita delle persone senza ostacolare ma anzi agevolando determinate operazioni, deve essere quasi “invisibile” (mi viene in mente “Il computer invisibile” di Donald A. Norman), non deve far percepire una presenza ingombrante o un fastidio, ma facilitare il raggiungimento dell’obiettivo per il quale è stato creato. La tecnologia, il software, la sensazione stessa che si abbia a che fare con delle macchine sono elementi che con il tempo devono sparire e lasciare spazio ad una interazione più “naturale” tra le persone e i sistemi digitali.

Diventa quindi doveroso un passaggio dalla qualità all’etica. Dal greco “ethos” questa parola significa “costume” o “consuetudine”anche se ad oggi la utilizziamo spesso per identificare una “morale”o un “valore”. Noi agenzie, ma più in generale tutti coloro che producono tecnologia, siamo responsabili dei prodotti che costruiamo nei confronti di coloro che li consumano, sia da un punto di vista funzionale (rendere migliore la vita delle persone e non peggiorarla) sia da un punto di vista educativo (incentivare l’utilizzo di servizi progettati bene a discapito di altri non altrettanto evoluti). L’oggetto principale dell’etica applicata al digitale consiste quindi nel domandarsi se un determinato progetto sia giusto/corretto/utile oppure no. Essendo una capacità innata del genere umano, l’etica sarà uno dei principali filoni in futuro per distinguere i principi di una buona progettazione di servizi e prodotti.

L’elemento chiave per arrivare ad un processo di progettazione qualitativo ed etico passa necessariamente dal design. Il design è un elemento chiave per definire il corretto punto di equilibrio tra funzionalità, valori del brand, persone e tecnologia. Ci permette di controllare l’impatto negativo di un processo perché ragiona sull’usabilità e non solo sul fine. Aiuta nell’integrazione tra discipline diverse e lo fa affrontando il conflitto in modo costruttivo. Senza di esso non riusciamo ad identificare i fattori che rendono migliore un processo (penso ad un funnel di acquisizione per acquistare un prodotto digitale ad esempio).

La qualità che passa attraverso il design deve diventare consapevolezza condivisa e compresa da tutte le aziende che lavorano nell’ambito della Information Technology. In questo modo si possono costruire valori “qualitativi” misurabili applicabili ai progetti. Senza dimenticare che il Design genera lavoro, come già nel 1973 ci ricordava il presidente di IBM Thomas Watson Jr con la sua immortale sentenza “good design is good business”.

Per vivere serenamente in un mondo indirizzato ad essere divorato dalla tecnologia occorre costruire quindi una convivenza pacifica tra l’uomo e le macchine, lavorando con il design su prodotti di qualità che non facciano percepire alle persone un disagio informatico o una bulimia digitale, ma piuttosto una piacevole e non invasiva infrastruttura di supporto alle normali azioni quotidiane di ciascuno di noi. L’obiettivo di tutto questo passa anche dalla definizione di regole e principi votati al raggiungimento del benessere e della felicità degli esseri umani, senza la perdita di controllo e consapevolezza nei confronti della tecnologia.

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