I dati, le aziende e le persone

Presente e futuro dell’utilizzo dei dati nella progettazione di esperienze utente personalizzate

Davide Rossi
meduse
6 min readOct 30, 2019

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Photo by h heyerlein on Unsplash

Obiettivi e modalità di progettazione dei touchpoint digitali si sono adattati nel tempo ai cambiamenti che hanno rapidamente e ripetutamente rivoluzionato il modo di approcciarsi alla rete.

Siamo passati dalla progettazione a pagine, intese nell’accezione dell’ipertesto come una serie di contenuti collegati tra di loro; alla progettazione dell’esperienza utente, sostituendo il concetto di pagina web con quello di flusso di navigazione atto a soddisfare i bisogni dell’utente.

Abbiamo poi capito che gli utenti hanno bisogni diversi o che devono essere soddisfatti in maniera differente, cominciando a ragionare per cluster di utenti è nato il concetto di personas. Figure fittizie ma verosimili che rappresentano un gruppo di utenti accumunati da caratteristiche di diverso tipo (anagrafiche, sociali, geografiche, ecc.) utilizzate come archetipi sui quali progettare customer journey specifiche per capire come differenziare lo stesso servizio a seconda di chi ne deve usufruire.

Per valutare l’efficacia delle soluzioni progettate è diventato necessario tracciare ed analizzare il comportamento degli utenti, arrivando così alla rivoluzione più recente, quella dei dati.

Dalle personas alle persone

Da anni ormai ogni fruitore di servizi digitali sta immettendo in rete una serie di dati personali consapevolmente (quando ad esempio compila un form di registrazione) ed inconsapevolmente (quando legge un determinato articolo o clicca su un banner).

Lo sfruttamento di questa mole di dati ci porterà presto al superamento del concetto di personas. Progettare customer journey basate su un algoritmo che colloca l’utente in un cluster non sarà più sufficiente, l’obiettivo sarà quello di offrire ad ogni utente un’esperienza unica calata sulle proprie aspettative, abitudini e comportamenti.

I social network si basano su questo concetto. I contenuti proposti ad ogni utente sono basati sui suoi interessi e comportamenti tanto espliciti (la volontà di seguire qualcuno) quanto impliciti o ipotizzati dal sistema (le interazioni registrate con gli altri utenti e contenuti). Allo stesso modo servizi di entertainment come Spotify o Netflix utilizzando i dati di visione ed ascolto propongono una selezione dei titoli in catalogo basata sui gusti dell’utente provando ad anticiparne le scelte.

Ma la personalizzazione non si limita alla fase di accesso ai contenuti.
Lo scorso marzo Netflix ha pubblicato Love, Death and Robots una serie animata antologica composta da episodi autoconclusivi, che non necessitano quindi di una visione lineare, proponendoli in una sequenza differente a seconda dello spettatore; elevando il concetto di personalizzazione alla fase di fruizione dei contenuti.

Love, Death & Robots. Siete sicuri di aver visto “The Witness” come terzo episodio?

Ad ognuno la propria esperienza

È possibile offrire un’esperienza su misura anche ad utenti anonimi, che non hanno creato un account ma i cui comportamenti possono comunque essere tracciati tramite cookie. Diversi siti permettono di portare a termine ordini senza effettuare il login e se la cosa può sembrare controproducente forse non è molto chiara la quantità di dati che stiamo mettendo a disposizione con un’operazione apparentemente semplice come un acquisto online.
Prendiamo il mondo del travel: prenotando un albergo su una piattaforma stiamo dichiarando che per un determinato periodo ci troveremo in un posto ben preciso, quante persone saranno con noi, se ci saranno dei bambini e qual è la nostra disponibilità economica. Tutti dati che possono essere sfruttati per personalizzare l’esperienza di navigazione su un sito dello stesso gruppo che vende biglietti ad attrazioni ed eventi o servizi accessori come ad esempio il noleggio dell’auto.

Diventa quindi fondamentale progettare user experience differenziate per utenti al primo accesso ed utenti di ritorno sfruttando i dati raccolti nel corso della navigazione per venire incontro ai bisogni o agli interessi individuati.

Inoltre i fattori che spingono utenti differenti ad acquistare il medesimo prodotto sono molteplici. Basiamo un esempio sul settore energetico e nello specifico su un’offerta luce e gas economica ed ecosostenibile. Il prodotto è unico, così come il bisogno da soddisfare, eppure le leve che possono portare alla sottoscrizione sono diverse. Mentre alcuni utenti verranno attratti dal prezzo competitivo, altri saranno più sensibili ai temi della sostenibilità; puntare tutta la comunicazione su uno dei due fattori potrebbe causare la perdita di potenziali clienti. Un piano editoriale a sostegno del sito commerciale ed un efficiente sistema di tracciamento possono essere utili per individuare gli interessi degli utenti sui quali plasmare la comunicazione, personalizzata, del prodotto.

Le Big Four

Il tutto diventa più efficace all’aumentare della quantità e qualità dei dati collezionati.
Le multiproperties digitali hanno il vantaggio di raccogliere dati diversi e di poterli ricondurli senza margine di errore alla stessa persona, disegnandone un profilo sempre più definito sul quale poi progettare un’esperienza utente su misura. Ovviamente in questo campo la fanno da padrone i soliti giganti.

Amazon può usufruire di dati straordinari sia per quantità che per qualità, soprattutto sui propri utenti abituali, anche grazie ai suoi servizi accessori. Può sapere che musica ascolti grazie ad amazon music, cosa ti piace guardare grazie a prime video, qual’è l’ultimo libro che hai letto su kindle, perfino le tue abitudini alimentari con amazon pantry, analizzando i tuoi acquisti può facilmente capire se hai un animale domestico, se hai figli, se sei appassionato di fotografia, irrigazione o decoupage, e ovviamente dove abiti.

Ma non basta.
Se vi è mai capitato di avere una discussione privata, offline, su uno specifico prodotto per poi trovarvelo davanti nel primo banner appena acceso il computer, sappiate che molto probabilmente dietro ci sono Google e Facebook. Le due aziende infatti da diverso tempo stanno istruendo i propri algoritmi per predire le nostre prossime mosse, desumendole dalle passate preferenze o estrapolando i modelli comportamentali degli altri consumatori.

I prossimi passi

Anche un settore tipicamente riservato come quello bancario sta vivendo un momento di transizione verso la concretizzazione del concetto di Open Banking, ennesima rivoluzione data-driven. Il 14 settembre 2019, infatti, è scaduto il termine entro il quale tutti i player finanziari hanno dovuto adeguarsi alla PSD2, la nuova direttiva europea sui servizi di pagamento che impone alle banche di rendere disponibili a terze parti autorizzate i dati in loro possesso. Grazie all’apertura delle API bancarie a soggetti terzi, i clienti delle banche potranno usufruire di servizi non bancari per gestire le proprie finanze.

Fintech e le stesse banche stanno già sviluppando soluzioni PFM (Personal Finance Management) grazie alle quali è possibile visualizzare entrate e uscite di conti diversi, categorizzare le transazioni effettuate e visualizzare tendenze di spesa, budget e patrimonio in un unico punto di accesso. ING è stata una delle prime banche a muoversi in questa direzione con Yolt, app di smart money che permette di visualizzare i propri conti e le proprie carte di credito in un’unica interfaccia. Più o meno lo stesso obiettivo iniziale di Oval, fintech italiana che ha lanciato la sua app nel 2017 e che conta ad oggi 250.000 utenti.

Ma è solo l’inizio.
Se ci pensiamo bene quante informazioni personali sono racchiuse nella tracciatura delle nostre spese quotidiane? Quali nuovi servizi e prodotti innovativi e user-centered potranno essere realizzati avendo accesso a questa miniera di dati?

Ma quindi è tutto a favore delle aziende?

Non proprio.
Con l’introduzione del GDPR (General Data Protection Regulation) è stato ribadito a livello legale che i dati appartengono agli utenti ai quali deve essere garantito il diritto all’oblio, la portabilità dei dati da una piattaforma all’altra e l’obbligo di notifica in caso di data breach.

La diramazione del regolamento europeo ha aumentato l’attenzione verso il tema della riservatezza e della privacy ma non sembra aver portato ad una minore inclinazione all’autorizzare l’accesso ai propri dati personali. Si sta verificando, invece, una presa di coscienza del fatto che i nostri dati hanno un valore per le aziende ed, in quanto tali, possono essere utilizzati come merce di scambio. Finora, come abbiamo visto, il ritorno della cessione dei dati in termini di miglioramento dell’esperienza utente si limita ad agevolazioni nell’accesso ai contenuti o a tentativi più o meno celati di cross-selling; ma fino a quando sarà sufficiente?

In un mondo in cui sempre più persone sono disposte a rinunciare consapevolmente a parte della loro privacy solo in cambio di qualcosa di tangibile, le società dovranno riuscire ad utilizzare al meglio la stessa mole di dati a cui anelano per metterli al servizio dell’utente sotto forma di servizi ed esperienze su misura a valore aggiunto.

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