Meet Our ManagersMentors: Maria Laura Amato

Storie di persone che hanno scoperto ed esplorato il mentoring nei nostri programmi per capire quale impatto, diretto ed indiretto, ha portato il mentoring nel loro lavoro.

Fabio Salvadori
MentorLab
Published in
8 min readMar 9

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Maria Laura Amato è una specialista in Training e People Development e si occupa dell’analisi e della progettazione di iniziative di crescita culturale e formazione aziendale in Bitron. Il Gruppo Bitron è un’azienda globale che fornisce assistenza alle imprese nello sviluppo e nella produzione di componenti elettronici e meccatronici, aiutandole a creare soluzioni innovative. Crescita culturale e formazione sono temi sicuramente essenziali trattandosi di un’azienda che opera in settori altamente innovativi e tecnologici, con persone distribuiti in diverse sedi, in Italia e all’estero.

Maria Laura fa parte degli Alumni dell’ultima edizione del nostro programma avanzato per l’acquisizione e il perfezionamento delle competenze professionali di mentoring (MCPP). Ero quindi curioso di fare quattro chiacchiere con lei per capire se e come le competenze e gli strumenti di mentoring che ha acquisito si sono rivelati utili in un ruolo prezioso e sfidante come il suo.

Nella nostra conversazione abbiamo esplorato diversi temi legati alla formazione, all’apprendimento e al mentoring. Ma abbiamo anche allargato lo sguardo. in questo articolo ho cercato di raccogliere i passaggi più significativi della nostra conversazione, che è partita proprio da come la funzione formativa si debba confrontare con un contesto lavorativo sempre più vario e ricco di diversità, in cui gli approcci tradizionali faticano a creare un impatto significativo.

Infatti, l’allungamento progressivo della vita, in generale ma soprattutto lavorativa, unito all’ingresso nel mondo del lavoro della generazione Z, fa si che in questo momento ci siano quattro generazioni diverse che lavorano assieme in azienda. Ma l’età è solo un aspetto. Si pensi ad esempio all’esperienza in azienda. E se questa diversità da un lato genera sfide importanti, è anche una grande opportunità.

Vivo questa varietà in prima persona. Io sono in una squadra che, seppur piccola, copre tre decenni. E questo è una grande ricchezza perché ognuno di noi porta il proprio contributo secondo la propria fascia di età ed esperienza. Soprattutto se consideri che qualche persona è in azienda da decenni e porta nello spazio la storia dell’azienda. Altre come me sono entrate da pochissimo e portiamo invece delle contaminazioni da fuori, dalle realtà che abbiamo visto e sperimentato. Vengono così fuori delle idee interessanti anche su come andare poi a proporre la formazione alle persone.

Ad esempio, abbiamo un progetto per aiutare le persone a utilizzare in modo più efficace gli strumenti digitali che hanno a disposizione per il loro lavoro. Una collega più giovane ha proposto di utilizzare una modalità che aveva utilizzato in una precedente azienda che è quella del “Digital Sherpa”. I Digital Sherpa verranno reclutati tra i giovani dell’azienda, per cui si tratterà fondamentalmente di creare delle situazioni di reverse mentoring, in cui questi giovani, a loro agio con il digitale saranno, a disposizione di chi ha consapevolezza di aver necessità di aiuto. L’obiettivo è che non si limitino a spiegare cosa e come fare, ma che aiutino anche a comprendere il perché.

La diversità è quindi una risorsa fondamentale. Il progetto Maitre — Mentoring: trAining maTerials and REsources, condotto in ambito del Programma Europeo Leonardo da Vinci nel 2006, elenca infatti la “capacità di considerare la diversità” fra le competenze chiave del mentoring. La formulazione usata non è casuale. Considerare la diversità, come spiegato dal progetto Maitre, parte dal “capire e accettare il fatto che possano esserci delle differenze.”

Con Maria Laura abbiamo riconosciuto come questo sia essenziale in una relazione di reverse mentoring come quella che prevede il ruolo del Digital Sherpa. Spesso la sfida del mentee, in questo caso la persona più senior che ha bisogno di supporto, non è tanto nell’acquisire nuove informazioni o istruzioni, ma nel superare i blocchi che rendono difficile approcciare nuovi strumenti.

Molto interessante. Mi fai riflettere perché è un elemento che varrà la pena inserire nella formazione che faremo a chi si candiderà come Digital Sherpa affinché vadano ad esplorare la modalità di apprendimento della persona che hanno di fronte nel momento in cui interverranno.

La conversazione sulle sfide create dal digitale negli ambienti di lavoro si riversa ovviamente su chi, come Maria Laura, si occupa di Training e People Development.

Il mio team, per esempio, sperimenta continuamente le nuove possibilità, e ne escono in continuazione, degli strumenti digitali che abbiamo a disposizione in azienda. È un modo per spingere anche altri a mettersi in gioco. Ma soprattutto di apprendere sperimentandosi. Raccogliendo i fabbisogni formativi per il prossimo anno (2023 N.d.R.) è emerso che le persone ‘sanno le cose’, ma metterle in pratica in modo efficiente è un’altra cosa. E quindi stiamo esplorando l’idea di fare delle palestre in cui sperimentarsi su certi temi, come ad esempio il lavorare in team. Questa ricerca di nuovi modi di imparare mi viene proprio dall’esperienza di mentoring.

Emerge qui tutta la ricchezza del ruolo del mentor che combina una funzione formativa ad una motivazionale o di modello. In questo caso, il mettersi in gioco da parte del team di Maria Laura modella un’attitudine rispetto all’apprendimento, in cui chi apprende si mette in gioco e diventa responsabile del proprio apprendimento. Questo impegno a sviluppare le proprie abilità/capacità, che non a caso troviamo in tutti i ManagerMentor, fa parte proprio del Global Competence Framework di EMCC.

Io vorrei vedere tutte le persone in aula o palestra a mettersi in gioco, a tirar fuori le loro storie, quello che sta succedendo, a litigare anche, visto che saper gestire i conflitti è una cosa di cui c’è bisogno. E poi si analizza quello che sta succedendo per imparare assieme.

È uno spostamento di focus dagli insegnanti al discente. Un tema molto forte nelle aziende. Far sì che le persone si prendano la responsabilità del proprio apprendimento è diventata la sfida più grande che hanno i cosiddetti addetti alla formazione. A me piacerebbe tanto mettere ancora più attenzione sul secondo pezzo della funzione di Training and Development. Dove sviluppo indica che non ti stiamo insegnando delle cose, ma stiamo creando la possibilità per te di sviluppare delle abilità tue. Abilità che avrai solo tu perché tu avrai fatto quel percorso. Alla fine di qualunque intervento fatto seguendo questa modalità, sei tu che avrai quel pezzo in più. E avendo un vissuto diverso da quello del tuo collega accanto, anche se frequentate lo stesso corso e ricevete le stesse informazioni, apprenderete in un modo diverso e utilizzerete quanto appreso in modo diverso. Questo è secondo me il passaggio che va fatto oggi per far evolvere il concetto di formazione in azienda.

In MentorLab definiamo il developmental mentoring come “una partnership inclusiva e reciproca per il mutuo apprendimento e la crescita.” Questa nostra sintesi deriva dalla più ampia definizione di EMCC (European Mentoring and Coaching Council) e evidenzia come l’apprendimento e la crescita siano due ingredienti fondamentali di una relazione di mentoring. È importante infatti evidenziare come si tratti di una relazione di apprendimento e non di insegnamento: chi apprende è quindi responsabile di cosa e come vuole acquisire nuove competenze. Ma è una relazione di crescita, che va quindi oltre l’acquisizione di nuove competenze e comporta un’evoluzione del proprio pensiero.

Aver fatto questo percorso (MCPP N.d.R.) ha spostato molto di più il mio focus su sull’apprendimento quindi su come posso aiutare le persone e invogliarle a non semplicemente andare ad ascoltare un argomento, ma ad assimilare un argomento. Quindi ha cambiato anche il mio modo di proporre i temi. Il primo passaggio di costruzione dell’offerta formativa avviene con il responsabile di una persona, che sfido a ragionare sul percorso che vuole faccia una sua risorsa, pensando quindi dove vorrebbe vederla arrivare in futuro. E questo approccio destabilizza un po’ perché sposta l’attenzione dal contenuto alla persona e al modo in cui apprende tale contenuto. Il mentoring mi ha aiutato ad arrivare a questa consapevolezza.

Questo approccio, infatti, richiede consapevolezza su ciò che serve imparare. Nel mio lavoro mi uso come cavia. Cioè mi metto in gioco per prima nell’imparare cose nuove. Negli anni ho imparato a selezionare cosa imparo. Non mi focalizzo su quello che mi hanno detto di imparare ma su ciò che mi interessa e che serve al mio lavoro e al mio percorso di crescita. Questo ovviamente comporta dei rischi ma trovo che focalizzandomi su ciò che mi interessa finisco con l’esprimere meglio le mie potenzialità.

Come ci ricorda John Dewey, famoso filosofo e pedagogista statunitense, “non si impara dall’esperienza… si impara riflettendo sull’esperienza.

La consapevolezza su ciò che ci serve per crescere richiede tempo e spazi di riflessione, non sempre facili da ricavare in un mondo del lavoro che è fortemente focalizzato su efficienza e produttività.

Un’altra cosa che ho imparato è l’importanza del tempo e che non tutto avviene subito. E questo il mentoring te lo insegna in un modo particolare. Quando dici al tuo mentee una cosa che per te è potentissima, che pensi sia una osservazione in grado addirittura di le cambiarle la vita e poi l’altra ti guarda come per dire “quindi?” Se aspetti, scopri che all’incontro successivo ti dice, “ma sai che ho pensato quella cosa che mi hai detto l’altra volta” e tu già te la sei dimenticata, perché per te era potente in quel momento e poi era passata. E invece la mentee ti dice, “ho pensato quella cosa che mi hai detto e sai che l’ho fatto e ed è stata incredibile.” E tu pensi, “accidenti ma l’ho detto io? Oddio ma veramente”? E lì capisci che c’era bisogno di tempo. Non è che subito dici una cosa e succede immediatamente. Attraverso il mentoring ho preso consapevolezza che il tempo è un elemento fondamentale. E può essere un alleato.

A volte basta dirlo

Su questa consapevolezza dell’importanza di dare spazio e tempo alla riflessione sull’esperienza, si chiude la nostra conversazione con Maria Laura che però ci lascia un’ultima importante riflessione sull’importanza di creare conversazioni di valore, come quelle di mentoring.

Mi è capitato di avere una conversazione con una persona con cui mi sembrava di lavorare bene e che non ci fossero problemi. Ma nella conversazione la persona mi ha detto delle cose sul mio comportamento che la mettevano in difficoltà. Cose che non mi aspettavo e che non è riuscita a spiegarmi bene, per cui non sapevo nemmeno come intervenire. Quella conversazione, tuttavia, era nella mia testa e viveva inconsapevolmente nei miei comportamenti, forse cambiandoli senza accorgermene, pensando di non fare nulla di diverso da prima. Ma una settimana dopo ci siamo ritrovate e questa persona mi ha ringraziato perché dopo la conversazione precedente ora funzionava tutto meglio. Io le ho detto di non sapere cosa fosse cambiato e lei mi ha risposto che “forse bastava dirselo”.

Per questo dico che a volte basta dirlo. A volte il semplice dire le cose cambia il punto di vista degli altri, il modo di fare, l’atteggiamento. Non perché noi si abbia in tasca chissà quale rivelazione. Ma perché parlando ti ho fatto vedere cose che avevi già lì davanti ma non vedevi. Il mentoring aiuta perché crea spazi di conversazione in cui questo accade. Diventa necessario proprio perché purtroppo spesso ciò non accade in modo naturale in azienda.

A volte basta dirlo. E io voglio dire grazie a Maria Laura per l’apertura con cui ci ha condiviso la sua esperienza di ManagerMentor.

Se vuoi sapere di più sul ManagerMentor e sui nostri programmi di formazione al mentoring, consulta il nostro sito MentorLabGroup.com o contattaci a info@mentorlabgroup.com.

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Fabio Salvadori
MentorLab

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