Egnatia 2015: i primi passi

Diario di viaggio: Da Durazzo a Bitola

Gino Zangrando
Meta Podia (με τα πόδια)
20 min readJan 19, 2019

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L’intero percorso della Via Egnatia (FuoriVia)

“Su Facebook si è tutti “amici”. Tra amici veri è bello farsi dei regali per Natale. Quest’estate ho fatto una particolare esperienza di viaggio.
Quando sono tornato a casa ho pensato di metterla per iscritto. Il risultato
è questo mini diario che spero vi piaccia. Buon Natale e felice 2016 da parte di Gino Zangrando”.
Con questo scialbo incipit prestentavo il mio diario di viaggio del primo tratto della via Egnatia percorso con quello che ancora si chiamava Laboratorio Francigena, prima di evolversi nell’associazione Fuori Via due anni dopo . Dopo cinque tappe credo che per la fine dell’estate del 2019 saremo finalmente arrivati ad Istanbul/Costantinopoli/ Bisanzio ( durante il viaggio abbiamo scoperto come siano forti i nazionalismi lungo questa stupenda strada). Allora sarà il tempo di pensare a nuove avventure. Ora invece è il tempo di parlare di quello che è stato anche per invogliare a fare l’esperienza del cammino da Durazzo a Bitola.

Prologo

Camminare tra Albania e Macedonia alla scoperta dei paesaggi e dei volti della via Egnatia. Questo è stato in sintesi il viaggio a piedi di 263 chilometri da Durazzo in Albania a Bitola in Macedonia che ventisette tra docenti, dottorandi, studenti dell’università IUAV di Venezia e “pellegrini aggregati”, come chi scrive, hanno percorso nelle ultime due settimane di agosto 2015.

Dal 2000 un gruppo di studenti dello IUAV percorre ogni anno, durante il mese di agosto, parte delle storiche vie di pellegrinaggio in Europa. Il
progetto è iniziato percorrendo tra il 2000 ed il 2006 il cammino di Santiago. Dopo la conclusione di questa parte del progetto si è proseguito con la Via Francigena, da Roma a Canterbury (2007–2012).
Dal 2013 è stato seguito il tracciato della Via Francigena del Sud, camminando da Roma a Monte Sant’Angelo, sul promontorio del Gargano, per poi percorrere nell’agosto 2014 la via da Foggia ad Otranto, antico porto
d’imbarco per la Terra Santa, meta finale della Francigena del Sud. Quest’anno ( il 2015 per chi legge n.d.r) si è invece iniziata una nuova avventura: La Via Egnatia (o Ignazia): la strada romana costruita nel 146 a.C.
su ordine di Gaio Ignazio, proconsole di Macedonia, da cui prese il nome.

L’antica via di comunicazione unisce Durazzo ad Istanbul, la città turca divisa dal Bosforo che un tempo era la mitica Costantinopoli, capitale dell’Impero Romano d’Oriente.
Quest’anno il laboratorio diretto scientificamente dai docenti Giulio Ernesti, Virgilio Bettini e Leonardo Marotta ha percorso i primi 263 chilometri da Durazzo a Bitola, ma l’obiettivo è giungere a Istanbul in cinque anni. Secondo la presentazione ufficiale di quello che per gli studenti è un “seminario itinerante” che dà diritto a crediti formativi: “Il percorso estivo è un’esperienza altamente formativa come occasione per approfondire le proprie conoscenze in materia di ecologia del paesaggio, per imparare a fare considerazioni sul campo sull'assetto ambientale e anche occasione di vivere il territorio con uno spirito totalmente nuovo dal punto di vista privilegiato del camminatore pellegrino”.
Questo dice molto sul “pellegrinaggio”, durante il quale sono state fatte importati letture scientifiche, si è studiato il territorio e sono state proposte migliorie alle autorità locali interessate allo sviluppo culturale e
turistico della Via Egnatia, ma non tutto. Durante i giorni in Albania e Macedonia è stato possibile fare incontri con molte persone differenti tra loro: dagli esponenti politici, ai membri delle comunità che ci hanno ospitato, dagli emigranti in ferie che parlavano (e parlano) un ottimo italiano con forti inflessioni regionali, ai montanari cortesissimi con i quali ci si poteva a mala pena intendere a gesti, dai giornalisti locali, ai membri del mondo accademico, ai giovani statunitensi in stage o volontari dei peace corps, oltre a
molti altri compagni di strada.

Di tutti questi volti e dei paesaggi incontrati giorno per giorno si parlerà di
seguito didascalicamente a mo’ di diario.

Lungo la Via Egnatia (Francesco Ruzzante)

17 agosto Tirana ed impatto con l’Albania

Siamo giunti a Tirana verso l’ora di pranzo dopo essere partiti in
corriera da Mestre il pomeriggio precedente. È stato un lungo viaggio attraverso le strade di quasi tutti i Paesi dell’ex Jugoslavia. Secondo il programma dobbiamo fermarci fino all’indomani mattina quando è
prevista una conferenza stampa con il ministro delle Finanze Arben Ahmetaj che ha anche la delega al turismo. Dopo questo impegno si potrà partire per Durazzo ed iniziare il nostro cammino. Iniziamo a capire qualcosa dell’Albania appena entrati dal confine con il Montenegro.
Si vedono da subito delle immagini che ci accompagneranno per tutto il nostro percorso nel Paese. Innanzitutto vi sono i bunker o le loro rovine.
Sono un’eredità di Enver Hoxha il dittatore comunista che resse l’Albania con il pugno di ferro dalla fine della seconda guerra mondiale fino alla sua morte nel 1985. Il dittatore, per la sua linea stalinista, ruppe nell’ordine con la Jugoslavia di Tito (che aveva mire sull’Albania), con l’Urss e poi pure con la Cina, realtà viste come sistemi capitalisti travestiti. Temendo invasioni dalle nazioni del “socialismo reale”, oltre che da parte dell’occidente, Hoxha chiuse a riccio l’Albania riducendo al minimo i contatti con l’esterno.
Fece costruire un’infinità di bunker per organizzare la difesa dalle ipotetiche truppe d’invasione costringendo la popolazione ad usarli in apposite esercitazione organizzate una volta al mese. C’è chi dice sia stato costruito
un bunker per famiglia. Il regime sopravvisse a Hoxha fino al 1990. I suoi bunker, diroccati, abbattuti, o ancora in piedi sono invece spesso ancora una costante del paesaggio delle zone che abbiamo visitato.
Un’altra costante sono le case in costruzione. Molte le villette nuove spesso già abitate ma con ancora lavori per aggiungere un piano.
Spesso chi ha due soldi, magari fatti lavorando all’estero, ha una voglia
matta di costruire. Il tutto avviene in semi-anarchia visto che una regolamentazione sull’edificabilità è stata approvata solo recentemente.
A Tirana ci viene messo a disposizione un centro sportivo. Possiamo usare i
bagni e dormire negli spogliatoi o piantare le tende nel prato circostante. Conosciamo Auron Tare ex deputato del partito socialista (ora al governo con il premier Edi Rama) e direttore dell’agenzia governativa per lo sviluppo turistico AKB ed alcuni suoi collaboratori. Con l’AKB collaboreremo durante il viaggio. La struttura è in stato di semiabbandono e nel prato circostante vi sono tombini scoperti nel cui interno è ricresciuta l’erba. È una collaboratrice dell’AKB a spiegarci che il centro sportivo fu vandalizzato alla caduta
del regime per sfogare l’odio verso lo Stato. Durante la nostra permanenza in Albania troveremo spesso strutture pubbliche messe male e luoghi privati, anche abitazioni di persone semplici, molto dignitosi.
Visitiamo la città con la guida di Gjergji Islami vicepreside della facoltà di architettura e urbanistica dell’Università di Tirana.

Ci spiega, in un ottimo italiano che la città è capitale del Paese dal 1920.
Gli edifici principali del boulevard attorno a cui sorge il centro e sono stati costruiti in stile littorio-albanese durante gli anni del protettorato italiano e poi dell’annessione di fatto voluta da Benito Mussolini.
La cosa si nota soprattutto nella piazza principale, dedicata all’eroe quattrocentesco della lotta contro l’Impero Ottomano Giorgio Castriota Scandembeg. Permangono anche edifici del periodo comunista, dai palazzi popolari al mausoleo dov’era sepolto Ever Hoxha. La grande piramide ora è in stato d’abbandono ed il gioco di molti è tentare di arrampicarsi sulle sue ripide pareti. L’impresa è tentata scherzosamente anche da alcuni di noi.
Nella città sono sorti da tempo edifici moderni mentre vengono restaurati quelli del passato spesso martoriati sotto il regime. Isalami, secondo cui gli albanesi sarebbero in un certo senso ancora comunisti perché non avrebbero ancora ben compreso la democrazia ed il libero mercato, ci introduce una questione che tiene banco a Tirana: è in progetto la costruzione di una grande moschea, finanziata dal governo turco accanto al Parlamento.

L’84,4% degli albanesi è musulmano (dati del 2010) e le minoranze cattolica ed ortodossa hanno già i loro edifici di culto in centro a Tirana, ma una moschea accanto al Parlamento, per di più realizzata sul modello classico, senza innovazioni architettoniche e con i soldi dei turchi, fa storcere il
naso a chi vuole smussare l’aspetto islamico del Paese pensando soprattutto alla sua reputazione internazionale. Alcuni vorrebbero quindi che il governo di Ankara pagasse per il trasferimento dell’assemblea legislativa da un’altra parte. Nel complesso la città è molto viva e sicura, anche se non si possono non notare alcuni problemi sociali. Nel centro vi sono alcuni bambini mendicanti (che non incontreremo più per il resto del viaggio) e parecchi cani randagi. Una particolarità locale è anche la “raccolta differenziata” dei rifiuti. Membri della comunità Rom, che in Albania costituisce una forte minoranza, dividono i rifiuti indifferenziati che vengono gettati in grandi contenitori per rivenderli. Durante il cammino troveremo troppe discariche abusive a cielo aperto che, senza ironie, ci faranno pesare al lavoro dei Rom come ad un buon modello ecologico.

18 agosto Durrësi - Golem

Finalmente inizia il nostro cammino. Arriviamo a Durrësi (in italiano, Durazzo) dopo la conferenza stampa, verso l’ora di pranzo, con un pullman messoci a disposizione dall’AKB.
Mangiamo e facciamo un breve giro della città portuale. La prima cosa che vediamo è l’esterno delle mura dello storico castello, antico quanto la stessa città di Durazzo. Nei secoli è stato distrutto e ricostruito più volte. Visitiamo anche l’anfiteatro romano, con la guida di esperti che collaborano con l’AKB. Alcune abitazioni sono state costruite in maniera così anarchica da essere quasi attaccate agli antichi resti. Ci viene spiegato che è in atto un progetto di restauro nell’ambito del quale queste brutture saranno demolite.

Vediamo l’area del porto dove sbarcarono le truppe italiane nell’ aprile del 1939 per realizzare l’annessione di fatto dell’Albania all’Italia fascista.
Nel centro possiamo anche ammirare degli splendidi murales dipinti negli ultimi anni. Vi sono figure umane ed altre immagini che sembrano quasi vere costellate da versi in italiano. Finalmente ci mettiamo in cammino verso Golem. La tappa è leggera. Sono 13 Km in pianura.
Percorriamo un tratto lungo le strade principali, uno accanto ai binari della ferrovia e uno lungo la costa.
Nei marciapiedi delle strade di periferia incontriamo tombini per le tubature senza coperchio. Questo è dovuto ai furti di trafficanti di metalli. Tra di noi vi è chi rischia di finire dentro queste buche dove spesso vi sono dei rifiuti. Alcuni di noi dopo il viaggio si troveranno ad accostare le proprie foto del percorso lungo la strada ferrata con le immagini dei profughi lungo le ferrovie serbe ed ungheresi che avrebbero drammaticamente dominato i telegiornali. Vediamo anche i primi sacchi d’immondizia abbandonati, prologo delle vere e proprie discariche che ravviseremo nei giorni successivi. Nello spazio accanto la ferrovia sentiamo anche i primi profumi della natura albanese. È la flora spontanea locale.
Ritroveremo queste essenze spesso: a volte in luoghi incontaminati, a volte vicino ad accumuli di rifiuti in plastica o scarti di costruzione. Guardando in foto questa roba ci si immagina una puzza nauseabonda. Sul posto invece
troppo spesso queste brutture si trovano in luoghi dove crescono il sambuco e l’origano selvatico oltre ad un’infinità di altre piante profumate.
Vediamo anche la nostra prima tartaruga selvatica. Ne vedremo ancora durante il viaggio. Un segno che nonostante il malgoverno dei rifiuti, dovuto ad un progresso consumistico troppo recente, esiste un grande spazio ecologico da tutelare. Salutiamo le persone in attesa del treno.
I saluti sono ricambiati. Scattiamo foto e a volte qualcuno risponde con il suo telefonino. Una comitiva di italiani a piedi in Albania che si porta dietro una bandiera di San Marco in omaggio a Venezia è un soggetto interessate per le immagini e una distrazione per chi attende un treno.
Nei cortili dei condomini lungo la ferrovia troviamo perfino una capra, segno che siamo in un certo senso al confine tra città e campagna. Ci seguono anche Auron Tare ed i suoi collaboratori, tra cui un militare dei corpi speciali,
con un fuoristrada che, ovviamente, non va nel sentiero lungo la ferrovia. Dello staff dell’AKB fa parte anche il fotografo Ardit Cani. È simpatico, parla italiano ed ha l’ordine di non fare scatti troppo sconvenienti per la promozione del turismo. È lui a tradurci il dialogo tra Auron Tare ed un anziano che ferma il gruppo per la strada. Il vecchio è molto rispettoso. Secondo qualcuno del gruppo tratta Tare come un dio.
Auron Tare è stato un campione di basket e, come tale, ufficiale dell’esercito durante il regime, prima di iniziare la carriera politico-amministrativa. Pertanto è abbastanza famoso. L’anziano in sintesi gli chiede di intercedere presso il governo per la gente dell’area che, secondo lui, sta peggio che sotto
il comunismo.
L’ultimo tratto di cammino lo facciamo lungo la spiaggia dove vi sono stabilimenti balneari ed alberghi. In questo Golem è molto simile alle cittadine balneari della costa veneta. Abbiamo preso accordi per accamparci sulla spiaggia e, prima di piantare le tende, riusciamo anche a fare il bagno. Ceneremo bene in un ristorantino mangiando pesce a prezzo irrisorio secondo i canoni italiani. Prima di cena alcuni di noi mangiano una fetta di torta. È il compleanno del figlioletto di Auron Tare che si e fatto raggiungere da amici e parenti per unire l’utile al dilettevole.

19 agosto. Golem - Memzote

Partiamo per la nostra seconda tappa dopo aver passato la notte sulla
spiaggia. Qualcuno di noi perde qualche effetto personale come una scarpa “grazie” a dei cani randagi. Lo stesso copione si era svolto con qualche variante anche a Tirana, dove dei materassini gonfiabili di qualcuno
erano stati spostati e resi inservibili dai morsi. Sulla spiaggia avevamo la protezione dei bagnini. A Tirana il nostro campo era perfino sorvegliato da poliziotti inviati dal governo per darci la massima sicurezza contro
la possibilità, considerata comunque remota, di ladruncoli. Contro le incursioni dei cani lasciati a loro stessi, anche se non aggressivi, c’è invece ben poco da fare se non chiudere tutto in tenda. Imparata la lezione per
il futuro eviteremo, per quanto possibile, il capeggio in zone isolate. Non saremo seguiti da un servizio di sorveglianza durante tutto il viaggio, ma nessuno di noi subirà furti, tranne in un campeggio attrezzato, abbastanza lussuoso, al confine con la Macedonia dove nessuno di noi avrebbe mai sospettato nulla. Il cammino previsto è di 19 km verso l’interno.
Ci accompagnano ancora Auron Tare, Ardit Cani, il fotografo, il militare e due stagisti statunitensi dell’AKB. Sono un ragazzo ed una ragazza tutt’altro che atletici. Lei si dice una camminatrice ma in Minnesota, non in Albania. Fa alcuni tratti con noi, ma appena può si rifugia nel fuoristrada. Il ragazzo invece nemmeno ci prova più di tanto a camminare. Visto che il percorso è
semplice gli americani suscitano qualche ironia. Durante il viaggio Auron (lo chiamiamo per nome) ci fa vedere una casa ridotta a rudere dove una discendente di Lord Carnarvon, il finanziatore della scoperta della tomba di Tutankhamon, fece un tempo sorgere un istituto agrario. Durante il percorso saliamo dal mare verso alte colline. Vediamo uliveti. Le vecchie piante hanno ancora delle grandi targhe di numerazione messe sotto il regime per controllare che non venissero tagliate. Sentiamo essenze e vediamo le discariche in luoghi bellissimi di cui abbiamo parlato nelle pagine precedenti. La particolarità bella della zona sono le coltivazioni sulle alture: campicelli con diversi tipi di colture confinanti tra loro. Le coltivazioni non vengono
fatte ruotare da quanto abbiamo capito. Sono campicelli diversi coltivati in modo diverso. Questo riproduce un paesaggio unico nel continente europeo. I docenti spiegano che una situazione simile può essere vista in quadri rinascimentali. Pertanto è un paesaggio da conservare per tutti i futuri pellegrini della Via Egnatia. Su questo punto si insisterà con i rappresentanti politici locali che incontreremo.
Dormiamo ospiti di una comunità locale.

20 agosto Memzote - Peqin

Il paesaggio dei 22 chilometri in programma oggi è molto simile a quanto visto nella tappa precedente. In questa tappa viaggiamo senza gli accompagnatori ufficiali dell’agenzia del turismo. L’importante per chi scrive è quanto abbiamo scoperto dalle persone che abbiamo incontrato.
A Memzote con la comunità ospitante abbiamo parlato poco per nostra responsabilità, in compenso durante il percorso del giorno prima abbiamo incontrato abitanti della zona che ci hanno fermato regalandoci uva o
fichi. Una generosità inaspettata da parte di chi riusciva a comunicare con noi solo a gesti. Simpatici episodi di questo tipo si sono ripetuti spesso durante il viaggio e danno una grande testimonianza della generosa ospitalità degli abitanti delle zone rurali. Durante il cammino del 22 abbiamo incontrato anche due albanesi immigrati in Italia rientrati in patria per le ferie. Il primo incontro avviene in mattinata. Qualcuno del gruppo vede delle persone in un cortile di una casa in un tratto boscoso e, dopo aver fatto due chiacchiere, domanda se può riempire d’acqua la borraccia. Conosciamo il nostro primo emigrante in ferie.
È contento dell’esperienza in Italia dove fa, se non erro, il muratore. Ci dice che benché vi sia l’acqua in casa anche loro vanno a prenderla in una fonte naturale per bere. Alcuni di noi vanno con lui verso la fonte che si trova scendendo lungo il bosco. È buonissima e sarà segnata nel percorso per i prossimi pellegrini.
Parliamo con il nostro accompagnatore-anfitrione della costruzione delle nuove case. Ha meno dubbi ecologici di noi. Si lamenta di una recente legge di regolamentazione: “5.000 euro di carte. Con quei soldi si fa un piano”. Proseguendo il viaggio ci discostiamo erroneamente dal cammino. Incontriamo un altro emigrante in ferie. Lui lavora in una celebre azienda che produce ceramica a Carpi ed ha un fortissimo accento emiliano.
È cortesissimo con noi, ci dà indicazioni e porta alcuni di noi a fare provviste per tutto il gruppo.
Ci fermiamo a bere birra in un bar che si trova dal lato opposto della strada rispetto ad una moschea. L’Islam albanese è molto tollerante ma, secondo il nostro amico, qualcosa sta cambiando. Vi sono moschee finanziate da Paesi del Golfo Persico. Quella davanti a noi ne è un esempio. Una targa in inglese
ricorda il Paese donatore. A lui questo non va bene anche se è musulmano.
Ha scoperto che sono stati comprati pezzi di spiaggia per riservarli agli ultras con le donne velate. Per questo e per la durezza contro il crimine, pena di morte compresa (che vorrebbe anche in Italia), rimpiange il regime. È contento invece delle nuove leggi, relativamente più restrittive sull’edilizia. “Ci vogliono regole” commenta.
Raggiungiamo Peqin dove possiamo piantare le tende nel prato dello stadio.

21 agosto Peqin - Broshke

A Peqin ceniamo in un ristorantino tra le rovine del vecchio castello. A servirici è Zac, americano dei Peace Corps, insegnante d'inglese ed animatore sociale in città. Per quella sera dà una mano nel ristorante del padre di una sua allieva. Oggi, 21 agosto, fa parte della tappa verso Broshkë con noi. La scuola è chiusa per le vacanze e lui è libero. È in Albania da alcuni mesi e vi resterà due anni in servizio civile volontario. Oltre ad insegnare inglese lavora a progetti culturali rivolti alle giovani donne del luogo. Dalla nostra esperienza notiamo che del futuro dell’Albania si interessano molto gli Stati Uniti, con i loro giovani stagisti, come quelli che lavorano per Auron Tare, ed i Peace Corps. Come abbiamo visto però vi sono tentativi di influenza anche dei paesi islamici che finanziano la costruzione di nuove moschee a
Tirana, ma anche in luoghi periferici, come un villaggio nei pressi di Peqin. Per il passato vi è stata anche una forte influenza italiana grazie ai funzionari inviati da Rona nel periodo del governo di Re Zog. Dopo l’invasione e la seconda guerra mondiale è venuto il regime di Hoxha che ha chiuso il Paese al Mondo. Ora, da quanto notato da chi scrive, accanto alle influenze americane e dei Paesi islamici, ve n’è anche una italiana dovuta ai legami spontanei creati dagli emigrati. L’Europa sembra comunque esercitare una grande
attrattiva. Il Paese non fa ancora parte delle U.E. ma il nome della coalizione che ha vinto le ultime elezioni politiche è “Per un’Albania europea”. Non so quante possibilità di vittoria abbia oggi in uno Stato comunitario una coalizione con un nome simile. Prima della partenza per la tappa abbiamo un incontro con il sindaco di Peqin con cui si parla del nostro viaggio e della storia della città. A Broshkë possiamo piantare le tende nei cortili dei Baho che ci ospitano assieme ad altre famiglie. L’operazione è filmata da una
televisione locale. Il rapporto con le persone che ci hanno ospitato è stato squisito.

22 agosto Broshkë - Elbasan

Oggi facciamo una tranquilla tappa nella campagna. Prima di partire alcuni di
noi acquistano foglie di tabacco, coltivate in loco, per poter fumare durante il viaggio senza comprare pacchetti di sigarette. Durante il cammino notiamo una centrale elettrica abbandonata. Veniva alimentata grazie al combustibile e ai tecnici forniti prima dall’Urss e poi dalla Cina. Poi l’alimentazione è avvenuta con carbone durate il periodo autarchico. Ora è abbandonata. Dopo un tragitto tranquillo arriviamo ad Elbasan.
È una città con 125.000 abitanti. In centro incontriamo alcuni membri del locale club alpino: AST. Gli alpinisti di Elbasan sono la maggioranza a livello nazionale degli iscritti di quella che è l’equivalente del nostro CAI. Assieme a loro abbiamo un incontro con il sindaco di Elbasan, vicino alle antiche rovine della città, ora inglobate in un locale tra il ristorante ed il centro commerciale. La cosa è filmata da una televisione locale. Alcuni di noi vengono intervistati. Il giorno dopo, distrutti da una tappa molto dura, avremo la possibilità di rivederci in televisione.
Nella narrazione degli albanesi vengono sottolineate le radici Illiriche di ogni rovina e della stessa Via Ignazia tralasciando l’indubbia origine Romana. Quasi certamente è un modo per rafforzare la relativamente recente identità culturale del Paese che è indipendente solo dal 1912.

23 agosto Elbasan - Mirake

Per chi scrive è stata la tappa più dura del viaggio anche se molto bella dal
punto di vista paesaggistico. Sulla carta sono 21 chilometri, ma i dislivelli sono molto forti. Partiremo dal centro di Elbasan con gli amici dell’AST il loro “capo”, Artur Guni, è il delegato del sindaco di Elbasan per Mirake, la nostra meta odierna, che fa parte del Comune di quella città.

Attraversiamo il pittoresco mercato di Elbasan per inoltrarci verso le campagne e le zone incolte. Il nostro punto di sosta per il pranzo è presso un radura dove vi sono una piscina naturale e dei grandi alberi cavi. Il difficile inizierà dopo questa sosta.
Tra il tempo perso per strada, le difficoltà del dislivello e quelle per trovare la giusta direzione, arriviamo a destinazione quando il sole è già sceso da un bel po’. Vi sono stati problemi con il Gps e i nostri amici dell’ATS non sono troppo pratici della zona. Molti di noi usufruiscono delle camere di un lussuoso albergo.
La zona infatti è isolata ma turistica. È un luogo noto per la caccia ed è il buen retiro di molti cittadini benestanti.

24 agosto Mirake - Quekes

Chi scrive fa la tappa in furgone per la stanchezza del giorno prima assieme ad altri. Le nostre tende sono ospitate, a pagamento, nel terreno di una casa colonica con cui abbiamo preso
accordi. Ceniamo molto bene.

25 agosto Quekes - Lin

Oggi era il mio turno preventivato di corvè in furgone. Ne sono contento perché i tendini ancora mi dolgono. Piantiamo le tende nel camping Erlin in riva al lago di Lin. Il lago di Lin - Ohrid divide l’Albania dalla Macedonia.
Con Silvia Galluccio, anche lei in furgone assieme a Davide Sodero e a Michele Bertani, conosciamo il fratello del gestore del campeggio e con lui parliamo del viaggio e dell’Albania. Lui che è emigrante in Itala ci dice che gli albanesi che più delinquono all’estero sono quelli del Nord mentre nella zona è tutto tranquillo. Lui ed i dipendenti sono gentilissimi con noi addirittura ci offrono consumazioni. Silvia racconta la generosità disinteressata di una famiglia di gente semplice che ha ospitato

lei e Davide che si erano allontanati dal gruppo in bici nelle tappa tra Elbassan e Mirake. Arriva il gruppo dei camminatori. Nel campeggio vi sono anche camperisti britannici ed italiani. Con i secondi parliamo brevemente del nostro viaggio. La serata lungo il lago scorre serena tra cena e balli da discoteca.

26 agosto Lin - Ohrid

La mattina inizia con la lettura del prof Bettini. Queste letture sono quotidiane e fanno parte del programma istituzionale del laboratorio. Tra i testi di oggi ve n’è uno degli anni Trenta di Indro Montanelli che descrive la generosità principesca degli umili montanari del Nord dell’Albania. Sono proprio
quelli che, immigrati in Italia, commetterebbero la maggior parte dei crimini attribuiti agli albanesi secondo quanto il fratello del gestore del capeggio ha detto a Silvia ed a me.
Non riusciamo a parlare però troppo di questi campanilismi che esistono anche in Italia e in chissà quanti altri Paesi. Sono spariti il portafoglio ed il
cellulare della nostra compagna di viaggio Giorgia Gallina. Alla fine riappare il solo portafoglio con i documenti ma senza contanti. Il ladro sarà albanese del nord o del sud oppure macedone? O forse italiano o inglese?
Abbiamo sospetti, ma non possiamo approfondirli. Partiamo per la nostra nuova tappa. Lasciamo l’Albania per entrare in Macedonia. Dopo un breve tragitto in superstrada, che non possiamo fare a piedi, riprendiamo il cammino.
La tappa ha un tracciato lungo ma senza importanti dislivelli. Dopo una prima
parte lungo la strada principale entriamo nel bosco, poi proseguiamo intorno al lago. Ohrid è una città turistica ed il suo centro sembra quasi una cittadina sul lago di Lugano. Anche in Macedonia fuori città notiamo mini discariche abusive di laterizi dove a volte non manca nemmeno l’eternit. Anche qui sono il frutto avvelenato di un boom edilizio. A differenza del Paese delle Aquile però, queste brutture tendono ad essere più nascoste. Si è unito a noi anche Eniel Ninka, ex dottorando dello Iuav che ora insegna economia in un ateneo privato di Tirana. Con lui notiamo che, rispetto all’Albania, vi sono macchine molto vecchie. Si incontrano spesso due Cavalli Citroen e soprattutto le auto jugoslave degli anni Settanta costruite su licenza della Fiat. Questo avviene perché le strade macedoni sono tenute abbastanza bene per farle circolare,
mentre in Albania, dove la manutenzione di molte strade lascia un po’ a desiderare, le auto troppo vecchie non resistono. Per la strada notiamo anche chiese ed altre testimonianze della fede Ortodossa.

27 agosto Ohrid - Resen o meglio: Visita di Ohrid

Piercarlo Beccegato , Renzo Bergamin, il sottoscritto ed Eniel Ninka, che oggi ha finito il suo giro con noi e torna in Albania, non facciamo la tappa e andiamo ad esplorare Ohrid. Nella città sul lago al di là delle bellezze turistiche e dell’ordine svizzero che arriva fino in periferia ci colpisce uno scavo archeologico. Le rovine sono state scoperte durante i lavori per la
costruzione di un grande complesso che sembra un palazzo per appartamenti di pregio o un mega hotel. Il tutto si affaccia sul lago. Quando i lavori saranno finiti le rovine saranno ben visibili, ma non più il lago, nascosto dalla nuova struttura. In questo modo più o meno lealmente è stato privatizzato un paesaggio.
Pranzando parliamo anche dei problemi che vi sono tra Albania e Macedonia. Eniel ci spiega che all’unico villaggio a maggioranza etnica macedone in Albania è stato dato uno statuto speciale, mentre in Macedonia, dove vi è una forte minoranza albanese, solo da poco è stata ufficialmente autorizzata
un’università dove si insegna in lingua schipetara. Dopo l’ottimo pranzo ci separiamo: lui prede il bus per tornare a casa mentre noi facciamo qualche chilometro a piedi per raggiungere l’autostazione dove c’è la corriera che ci farà ricongiungere al gruppo a Resen. Lì mangiamo e dormiamo con gli altri.

28 agosto Resen - Capari

Prima della partenza per Capari andiamo in municipio dal sindaco di Resen che ci ha ospitato in strutture comunali. A noi si è aggiunto Fitim Dika: è un amico macedone dell’ATS di Elbasan.
Nella vita insegna matematica nei licei ed è appassionato di escursionismo.
È sulla trentina, riservato, ma disponibile. Con lui si parla solo in inglese.
Da Golem porto un berretto con la bandiera dell’Albania. Mi dice
che nella zona va ancora bene, immagino perché vi sia una forte presenza dell’etnia albanese, ma mi consiglia di non metterlo domani per l’ultima tappa, in quanto a Bitola vi sono parecchi nazionalisti macedoni. Lungo la strada troviamo un villaggio con molte vecchie case abbandonate. Sentendoci parlare in italiano attacca discorso con noi dal suo cortile una signora, Blagorodna Balalovska. In gioventù era emigrata in Svizzera dove ha conosciuto il suo futuro marito siciliano. Ora è vedova ed è ritornata qui.
Ci spiega che le case abbandonate sono di persone emigrate in tutto il mondo. Tutte queste abitazioni, compresa la sua, sono state costruite sotto l’Impero Ottomano che fino al 1912 aveva tra i suoi territori le attuali Macedonia ed Albania. Salutiamo e proseguiamo il cammino. Dormiremo nel villaggio di Capari.

29 agosto Capari - Bitola

Capari è un villaggio ameno dove i cavalli domestici scorazzano liberi anche se alcuni sono meno liberi degli altri. Questi hanno le zampe anteriori legate tra loro così da permettergli di camminare ma non di correre troppo e quindi di scappare. In questo posto, abitato da poca gente semplice, la cooperazione internazionale dell’Unione Europea ha pensato bene di costruire un centro culturale. Ne restano solo le indicazioni in manifesti ingialliti da quando a Bruxelles hanno dichiarato chiuso il periodo di finanziamento. Altri vecchi manifesti ricordano progetti sulla “nostra” Via Ignazia. Dopo aver riflettuto sulla politica comunitaria partiamo alla volta di Bitola, tappa finale del nostro viaggio. La strada è abbastanza semplice, lungo il cammino incontriamo case costruite in stile svizzero assieme a capitelli ed altri segni di devozione della Chiesa Ortodossa. Mangiamo in un ristorante lungo la strada. Arriviamo facilmente nella città dove convivono tranquillamente minareti, chiese e discoteche. Dormiamo poco nel comodo ostello della gioventù e approfittiamo della vita notturna.

30 agosto fine del viaggio

Nella mattinata visitiamo il museo locale che parla della città dalla preistoria alla seconda guerra mondiale. A colpirmi è però quanto è successo durante la prima guerra mondiale. Durante quel conflitto Bitola fu teatro di una cruenta battaglia tra gli eserciti dell’Intesa e quello Ottomano. Lo stesso è avvenuto nel medesimo conflitto tra l’esercito Italiano e quello Austroungarico a Nervesa, la mia cittadina natale. Al termine di quella guerra l’Impero Austroungarico e quello Ottomano furono spazzati via dopo secoli di storia e forse i Balcani ed il Medio Oriente ne pagano ancora le conseguenze. Il museo di Bitola ha sede in un palazzo dove vi era un comando turco.
Qui visse anche Ataturk, il fondatore della Turchia moderna dopo la Grande guerra. È un personaggio controverso: laico e repubblicano ma autoritario
ed ultranazionalista che attuò una pulizia etnica. Nella Turchia dell’islamico Erdogan è ancora considerato il Padre della Patria. Qui a Bitola una parte del museo è dedicata solo a lui e vi sono parecchi turchi in visita.
Sono quasi un avvertimento: il nostro viaggio non finisce qui ma tra 5 anni ad Istanbul.

Ora però ci aspettano 25 ore di pullman per rientrare a Venezia.

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Gino Zangrando
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Sono pigro e grasso, ma quest’estate vado a piedi fino al Bosforo.