Il mito della privacy

Emanuele Cisbani
Mitologie a confronto
4 min readDec 4, 2022

La privacy viene presentata come un diritto per tutelare i dati personali di ciascuno. Ma in realtà ci importa così poco dei nostri dati che siamo disposti a condividerli in cambio di servizi che ci costerebbero pochi euro all’anno, come una casella di posta o la presenza sui social. La privacy invece è indispensabile per tutelare qualcosa di molto più importante: la libertà e la democrazia. Ma la connessione tra questi aspetti non è evidente, quindi andiamo per gradi.

I miei dati personali, presi da soli, non sembrano avere un grande valore se non per me stesso. A chi dovrebbe importare cosa compro, cosa mi piace, per chi voto, se sono in salute? Certo, non dovremmo sottovalutare troppo questo valore, poiché comunque un malintenzionato potrebbe rubarmi l’identità digitale e operare online spacciandosi per me, arrecando un danno significativo al mio patrimonio e alla mia persona. Oppure le informazioni che mi riguardano potrebbero avere un diverso valore se pensiamo che potrebbero andare in mano a chi mi deve assumere o deve stipulare per me una polizza assicurativa, o garantirmi un mutuo. Si tratta tuttavia di un valore che rimane comunque irrisorio se lo paragoniamo ai guadagni di una grande azienda che possiede i dati personali di miliardi di persone.

Il 12 marzo 2019 durante un’audizione della Commissione Giustizia del Senato USA il senatore Josh Hawley ha avuto un acceso confronto con un rappresentante di Google, il quale ha dovuto ammettere che il tracciamento della posizione e la raccolta dei dati degli utenti avviene continuamente, all’insaputa dei clienti, e che dunque, anche se hanno scelto di non condividere alcune informazioni, come la geolocalizzazione, essa avviene comunque. Il senatore Josh Hawley ha quindi concluso:

“Ecco la mia preoccupazione di base è che gli americani non abbiano firmato per questo. Pensano che i prodotti che offrite loro siano gratuiti: non sono gratuiti. Pensano di poter disattivare il tracciamento che state eseguendo: non possono realmente farlo. È un po’ come quella vecchia canzone degli Eagles, sai: “puoi lasciare l’Hotel tutte le volte che vuoi ma non potrai mai andartene”. Questa è la situazione di chi ha a che fare con la vostra azienda, ed è un problema per il consumatore americano. È un vero problema, e per qualcuno che ha due bambini piccoli a casa, l’idea che la vostra azienda e altre simili stiano raccogliendo informazioni per creare un profilo utente su di loro che terrà traccia di ogni passo, ogni movimento e lo monetizzerà, e loro non possono farci niente e io non posso farci niente — questo è un grosso problema che questo Congresso deve affrontare.”

Josh Hawley e la sua famiglia

Si potrebbe obiettare che la storia è nota, ci sono grandi imprenditori che si arricchiscono alle spalle dei consumatori, ma che questo fa parte delle magnifiche sorti progressive del capitalismo. In fondo non c’è nulla di terribile nel far conoscere le proprie abitudini, la propria posizione e altre informazioni personali. Ma la preoccupazione del senatore Josh Hawley mi sembra essere un’altra, molto più grande. Il fatto è che persino quell’immenso valore monetario è irrisorio se confrontato al potere politico che deriva dal poter tenere traccia di ogni passo e di ogni movimento di così tante persone, in ogni angolo del globo.

Per avere un’idea della portata del problema dovremmo tenere presente il contributo prezioso che negli anni ’30 e ’40 un’azienda come IBM diede allo sterminio degli Ebrei, documentato con una ricostruzione meticolosa da Edwin Black nel libro “IBM and the Holocaust”. A quell’epoca non c’era l’elettronica: si usavano solo le schede perforate, per avere un censimento anagrafico un po’ più dettagliato. E Thomas J. Watson era solo un imprenditore che cercava di massimizzare i profitti.

Se uniamo l’immenso potere della tecnica odierna, con la quantità e qualità di dettaglio dei dati personali che “regaliamo” a queste multinazionali (cosa facciamo, con chi, cosa desideriamo, come ci sentiamo, chi ci piace, cosa e come pensiamo), non è difficile immaginare il giorno in cui prima di esprimere un’opinione politica con un amico fidato o un familiare ci troveremo a dover cercare un posto sicuro, al riparo dai microfoni e delle telecamere presenti ovunque. Perché, è utile esserne consapevoli, non solo la geolocalizzazione, ma anche i microfoni dei nostri smartphone sono sempre accesi e siamo noi a dar loro i permessi di ascoltarci in ogni momento: per capire se diciamo “ok google”, o “alexa”, o “siri”, devono poterci sentire sempre.

Purtroppo la privacy, intesa come tutela dei dati personali dei singoli individui, è diventata un mito con una narrazione giuridicamente raffinata e molto rassicurante. A tutte le aziende viene chiesto di informarci, di chiederci il consenso, di cancellare su nostra richiesta i nostri dati e tante altre azioni da tracciare e monitorare per renderne conto alle autorità in caso di ispezione.

Ma tutelare i singoli dati personali, per quanto fondamentale, non è nulla al confronto della tutela dei dati personali di miliardi di persone come insieme massivo. Potrebbero costituire un bene comune, per la ricerca, per la scienza, per migliorare i servizi. Ma dovrebbero essere anonimizzati e non essere in mano solo ad aziende che perseguono i propri interessi privati. Che siano nelle mani di pochi mina soprattutto le radici della libertà e della democrazia. Si tratta del bene comune. A qualcuno importa ancora qualcosa del bene comune? Se un giorno ci accorgeremo di quanto è importante, potrebbe essere già troppo tardi.

E forse ora è già troppo tardi.

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Emanuele Cisbani
Mitologie a confronto

Tecnico: per la libertà dai vincoli della natura. Anarchico: per la libertà dal potere dei tiranni. Cattolico: per l'universale libertà dei figli di Dio.