La Stanza Profonda di Vanni Santoni

Anto Molvetti
molvettina
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4 min readJun 7, 2017

Da diversi anni ho escogitato un sistema per partecipare –a modo mio, s’intende- allo Strega. Potendo concedermi solo due libri per questioni di tempo, ragioni economiche e necessità di scaletta — la mia wishing list è in continuo ingrossamento- invece di attendere la proclamazione del vincitore e leggere quelli al top delle classifiche, li scelgo nel mucchio delle 27 proposte iniziali. E’ un po’ come puntare su due cavalli e rimanere in fiduciosa e vigile attesa circa l’andamento della corsa, sperando di non fare un buco nell’acqua. Lo scorso anno il romanzo della Campo, ad esempio, mi ha regalato molte soddisfazioni: dopo lo “Strega Giovani” ha proseguito il suo cammino facendo incetta di ottimi piazzamenti e vittorie. Quest’anno ho buttato l’occhio su “Le otto montagne” di Cognetti e “La stanza profonda” di Santoni.
Cognetti e Santoni sono quasi coetanei, con un percorso di impegno letterario per molti versi simili. Ero curiosa, quindi, di verificare come si fossero districati tra le maglie di romanzi “di formazione / generazionali”, così come definiti in qualche recensione i rispettivi lavori.
Nessuna sorpresa per quanto riguarda Cognetti, di cui avevo apprezzato i racconti di “Sofia si veste sempre di nero”. Bella la trama de “Le otto montagne”, affidata ad un ritmo narrativo che definirei “rilassante”. Una scelta stilistica di totale rispecchiamento con il paesaggio e l’atmosfera montane in cui il romanzo è ambientato.
Diverso il discorso per Santoni.
Qualche giorno fa, scrivendo a proposito dell’ultimo di Siti, avevo confessato di sentirmi protetta dalla vastità della rete e di lasciarmi andare alle mie “fanfole” unicamente perché certa che l’autore non ne venisse in alcun modo a conoscenza. Con Santoni temo esattamente l’eventualità opposta. Infaticabile “animale social”, mi aspetto che possa arrivare –con il suo pseudonimo- fin in questo mio piccolo angolo a bacchettarmi. Ovviamente si scherza! Eppure c’è del vero in quello che ho scritto. Santoni è realmente una presenza vivace su FB, dove effettivamente compare sotto pseudonimo. E’ altrettanto vero, infine, che la scelta di leggere il suo libro è stata dettata proprio dall’attento” monitoraggio” di cui ne faccio oggetto sul social. Mi è sembrata, questa, l’occasione propizia per verificare se e come le sue conoscenze, e dell’editoria e della letteratura contemporanea, la sua carica creativa e l’impegno divulgativo che profonde nella infaticabile attività fuori e dentro il web, abbiano messo radici e fruttificato all’interno del romanzo.
Piacevole sorpresa è stata il constatare che Vanni Santoni, lungi dal mescolare le sue molteplici essenze creando pastrocchi indigeribili, nella veste di scrittore, maneggia, all’opposto, le sue competenze tenendole sapientemente confinate ai rispettivi campi d’azione, così che si rivela autore rigoroso, metodico, ottimo.
Il pericolo tipico del romanzo generazionale è che finisca per essere il compendio di un’ epoca cristallizzata in immagini e frasi fatte che sbiadiscono in fretta, non comunicando nulla a quelli fuori dalla cerchia dei protagonisti diretti.
“La stanza segreta” di Santoni fugge l’ambizione di farsi epica dell’ adolescenza sfumata. Non si lascia tentare dal desiderio di atteggiarsi a racconto definitivo di un dato periodo storico. Santoni, detto esplicitamente, non si fa blandire dalla smania di dar vita all’”opera struggente di un formidabile genio”.
Immediato e percepibile il vantaggio per il racconto: nitido, maturo, godibile anche da chi, come la sottoscritta, non sa -anzi sapeva- nulla di giochi di ruolo.
Un adolescente che fatica a rispecchiarsi nelle mode trova una strada alternativa nei giochi di ruolo e costruisce in questo ambito la sua cerchia di amicizie. Sullo sfondo la provincia toscana con il suo accenno di gentrificazione. E’ su questo pregresso che, proveniente dall’ età adulta, fa il suo ingresso la voce di Santoni. Autentica e perciò pienamente credibile la narrazione. Palpabile in ogni singola parola la partecipazione sentimentale dell’autore che sconfina dalle pagine e pur fa presa sul lettore senza tuttavia mai cavalcare malinconia e rimpianto o, al contrario, facili entusiasmi o esaltazioni adolescenziali.
Un amico mi ha chiesto se valga la pena leggere “ La stanza profonda”.
Questa la mia risposta:-” Si. Non è un libro saccente, ne’ l’epopea di una personale età dell’oro. È un racconto (apparentemente tranquillo, in quanto privo dell’enfasi di chi crede di star scrivendo un manifesto generazionale) di quella parte della vita in cui il protagonista è stato un master e di come questa esperienza sia stata fondante per quello che ha fatto dopo. Molto piacevole.”
Giudizio che ribadisco e “accendo”. A prescindere dal destino, dal fatto che sarà “stregato” o meno, ve lo consiglio.

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Anto Molvetti
molvettina

Napoletana, lettrice compulsiva. Sposata e madre ormai a tempo perso.