Davide Benati: “I bimbi di Mus-e? come aeroplanini da far volare nei cieli dell’arte”

L’associazione ha celebrato il suo dodicesimo compleanno nel migliore dei modi, con la presentazione/evento del “volumetto” dedicato all’artista reggiano

Nicola Bonafini
Mus-e Reggio Emilia
9 min readNov 22, 2018

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Il 21 Novembre di dodici anni fa nasceva Mus-e Reggio Emilia.

Un compleanno che l’associazione presieduta dall’avvocato Ferdinando Del Sante ha celebrato nel migliore dei modi martedì 20 Novembre, nella suggestiva cornice della Sala degli Specchi del Teatro Valli di Reggio.

L’occasione? La presentazione-evento del “volumetto” che Mus-e Reggio Emilia ha voluto dedicare al pittore Davide Benati, grande amico dell’associazione nonché membro onorario della stessa.

E’ stata un’ora carica di tensione culturale e non solo: messaggi forti pronunciati con toni lievi. L’eco degli stessi si sono riverberati nella sala e non solo.

E’ stato un bellissimo momento di “reggianità”, dove alcune eccellenze, come si usa dire in questi casi, si sono confrontate ad un livello molto alto.

A fare gli onori di casa è stato, doverosamente, proprio il presidente Del Sante che ha aperto l’incontro con i ringraziamenti d’obbligo. Un momento importante della vita Mus-e quello di martedì sera, soprattutto perché si è inserito perfettamente nelle varie celebrazioni — anche nella nostra città — della Giornata Mondiale dei diritti del Bambino sotto l’egida dell’ONU. Chi meglio di un’associazione che si occupa di integrazione di bambini di etnie diverse in età scolare (sono bimbi che frequentano le scuole primarie della nostra città) attraverso la musica, la pittura, il canto e le arti figurative ha potuto rendere onore a questa giornata parlando del rapporto tra la pittura, la cultura a Reggio Emilia, e chi l’arte la fa davvero, “sul campo”, come Davide Benati.

Del Sante, nel suo discorso introduttivo, non ha mancato di ricordare il servizio che Mus-e rende alla comunità reggiana, il rapporto strettissimo tra gli artisti che ne fanno parte, le scuole in cui essa opera, gli insegnanti ed i bambini che così gioiosamente si approcciano ai sentieri dell’arte con la mente sgombra ed il cuore aperto alle nuove esperienze.

Il presidente di Mus-e , inoltre, ha avuto parole di ringraziamento per i tanti sostenitori che fanno sì che l’associazione possa continuare a perseguire — ed ampliare — i suoi progetti. Sì perché Mus-e è un’associazione che si sostenta grazie a coloro che la vogliono aiutare ma il cui servizio alle scuole è completamente gratuito.

Infine, dopo aver ricordato la nascita del progetto Mus-e, nato da un’idea del violinista Yehudi Menuhin, e presente in tutta Europa, ha sottolineato l’importanza di avere tra le proprie fila personalità di spicco della cultura, come, appunto, Davide Benati.

E’ stato in quel momento che Del Sante ha lanciato una versione “asciugata”, per ragioni di tempo, della video “Le cose hanno una loro storia”, prodotto da TR Video con l’insostituibile aiuto di Silvia Degani e Paolo Borciani che erano presenti in platea. Nel video è ripercorsa la storia dei laboratori che Davide Benati ha donato ai bambini del progetto Mus-e nel suo studio di Masone nel 2012. Il video fa parte della “collezione” i Quaderni di Boorea, presenti sul sito della cooperativa.

Una volta terminata la proiezione del video, Davide Benati ed il presidente di Boorea, Luca Bosi si sono accomodati sul palco.

Benati in quel frangente ha ricordato l’emozione, la curiosità e lo stimolo nel doversi confrontare con dei bambini in età tanto giovane. Lui, insegnante all’Accademia di Brera e poi anche a Bologna, cimentandosi con studenti in età già più adulta di quei bambini, ha vissuto questo momento di confronto accettando la “sfida” di dover spiegare la sua “arte”, il “come”, oltre che il “cosa” si fa per preparare una tela, che poi diventerà un quadro, con un linguaggio semplice. L’idea, mai passata di moda, del provare a rendere semplici cose complicate, spiegandole ai bambini col “radar aperto”, per citare le parole dell’artista.

Il presidente Bosi ha posto l’accento sul rapporto tra una realtà importante del mondo imprenditoriale e cooperativo reggiano, come Boorea, con la cultura a Reggio Emilia e in realtà fondanti come Mus-e, appunto: «Crediamo fortemente in un progetto come Mus-e, e continueremo a sostenerlo, perché educare i bambini di diverse etnie a essere responsabili del proprio lavoro e anche di quello degli altri e a creare arte, lavorando insieme nelle scuole, ci sembra molto coerente con i valori della vera cooperazione, che sono quelli di creare valore e di trasmetterlo ad altri trasformando in ricchezza e in benessere diffuso le diversità e le diverse competenze».
«A volte si può avere la sensazione che le persone siano indifferenti a questo tipo di valori —
ha sostenuto Bosi — e che questi valori passino di moda, ma non è così: il lavoro che fa un progetto come Mus-e si sedimenta in questi bambini e nelle loro famiglie, e certamente produrrà frutti negli adulti di domani».

Una volta terminato questo frangente, si è aperta la terza e ultima sezione dell’evento. Quello intitolato “Il Mondo Davide Benati”. Nessuno meglio di Alessandro Parmiggiani, critico d’arte e grande amico del pittore, ha potuto accompagnare i presenti in questo breve ma estremamente intenso viaggio.

«In 2001 Odissea Nello Spazio, ad un certo punto c’è un momento in cui passa davanti ai protagonisti tutto quello che hanno fatto nella vita, ora, Davide, io vorrei chiederti, partendo da quelle camminate, che di sera facevi per ritornare da Reggio a casa tua, a Masone, con l’autobus che c’era e che non c’era, gli studi, gli incontri, l’attività di artista, le mostre, l’essere passato attraverso un periodo nel quale, negli anni ’70, ma anche dopo, per molti saccenti la pittura era un cane morto, le difficoltà che ci sono state dentro un periodo nel quale più che la passione per l’opera si è insinuato il tarlo velenoso che è la speculazione; dopo tutto questo, se tu dovessi considerare questa lunga odissea tua, questo impegno che dura da cinquant’anni, cosa ti sentiresti di dire?».

«In realtà con Sandro ci conosciamo da talmente tanti anni, se può dire che abbiamo lavorato insieme, da una vita… — risponde l’artista — mah, non lo so, è curioso il fatto di rivedere questo filmato del lavoro fatto insieme a Mus-e. Intanto è a Masone nello studio, che per me è stato un ritorno a casa, importante, perché, per farlo, prima bisogna sconfiggere i “fantasmi” per poter ritornare tranquillamente nei luoghi in cui si è nati, si è stati ragazzi, e così via. Non solo non mi pesa tutto quello che è stato, quel su e giù tra Masone e Reggio, e oltre. E’ molto dolce pensare a quello che io e mia moglie Margherita, desideravamo allora, da ragazzi. Intanto potrei far partire il tutto da una libreria, trovata in casa, dove c’erano dei libri di mio padre e di mio zio, che leggevano. C’era un qualche romanzo americano, ed ho trovato anche un catalogo di una mostra di Van Gogh del 52, che mio padre era andato a vedere a Milano. Insomma c’era tutto questo retroterra, di passioni che ci sono state trasferite, tranquillamente, senza imposizioni. La verità è che nessuna passione aspetta, e rivedendomi al lavoro con i ragazzini di Mus-e, mi sono accorto che questa grande tensione verso l’insegnamento l’ho sempre avuta. Semplicemente perché trovavo una compiutezza tra il praticare l’arte in studio ed il cercare di insegnarla. Quando insegnavo all’Accademia, a Brera, i miei studenti erano autorizzati a passare nel mio studio anche fuori dalle ore di lezione, perché volevo che vedessero che io praticavo su di me ciò che io chiedevo loro di praticare e quella è una forma didattico/pedagogica potente. Mi sono accorto di quanto mi piacesse farlo, il docente. E mi sono accorto, soprattutto negli ultimi anni, all’Accademia di Bologna, laddove avevo creato una didattica in cui volevo insegnare l’arte facendo l’artista in classe. Anche con le parole, non solo che le azioni. In realtà l’artista è portatore di un ruolo di solitudine che necessita di relazioni, la complicità con amici come Sandro, con le persone che frequentano lo studio. Si è comunque sottoposti e ci si rimette volentieri a questo ruolo: quello di essere soggetti ad un continuo esame».

«Quest’anno ho fatto tre mostre, e dopo centoventi/centotrenta mostre in tutta la mia vita — continua Benaticredetemi, è sempre come la prima volta, perché non ci si abitua agli esami. Ma non per dire “gli esami non finiscono mai”, è che è giusto che, esponendosi, accetti anche di essere esaminato. La cosa bella del mio lavoro è proprio questa: di avere anche vanitosamente il desiderio di essere messi alla prova. Quindi è una costante ricerca di sfida con gli occhi degli altri».

«Brevemente — riprende la parola Parmiggianitorniamo su questo aspetto dell’insegnamento. Nel mio percorso professionale e umano mi sono imbattuto in artisti che sono stati allievi di Davide a Brera. E di te hanno tutti un ricordo indelebile. Delle tue lezioni. Soprattutto, la cosa che mi ha colpito è il ricordo indelebile del contenuto delle tue lezioni, della civiltà e del rapporto con la persona. Anche, in un qualche modo, la tua capacità di trasmettere l’etica, una disciplina del lavoro, una capacità di tenere duro per arrivare dove si vuole arrivare. Tu ne eri consapevole durante il lungo esercizio della professione di insegnante? Che occorreva sì, trasmettere gli strumenti, il fascino, il desiderio della pittura, ma anche qualcosa di più…»

«Quando andai a Brera, come studente, nel ’68, ricordo che le distanze erano enormi, le notizie erano generiche, non è come oggi che si sa tutto in tempo reale. Io mi ero iscritto alla scuola di Cantatore perché se ne sentiva parlare. Però c’era anche una consapevolezza ulteriore, perché c’era già la Pop Art, qualcosa di moderno, contemporaneo. Quando entrai in Accademia, ricordo, che il primo impatto con questo insegnante che si chiamava Domenico Cantatore, fu di grande delusione, in parte perché fuori dalla scuola stavano accadendo cose incredibili. Ci apparve ed avemmo, tutti, la sensazione che fosse un uomo dell’Ottocento. O meglio, il suo modo di essere docente, la cultura che esprimeva, e le cose che ci chiedeva erano tragicamente vecchie. Lo sentivamo con un istinto primario. Poi, dopo qualche tempo, all’interno dell’Accademia entrarono dei docenti nuovi, più giovani, che sentivo “contemporaneamente contemporanei”, non perché ci parlassero di cose stravaganti, ma, forse, era proprio un metodo, che sentivo più affine al mio sentire. Ecco, tutto questo per sostenere quanto, credo, sia molto importante far sentire agli studenti, giovani o meno giovani, una vicinanza, culturale e umana. Consapevole che, tutto questo, non sarebbe possibile se dietro non ci fosse quel lavoro sull’arte, con l’arte, e per l’arte. Perché proprio questa disciplina del “fare” l’arte, sto parlando per me stesso naturalmente, presuppone che anche nella relazione con gli altri, didattica e umana, essa debba possedere le stesse caratteristiche e lo stesso affetto che provo nel momento in cui faccio il mio lavoro. Per esempio: rivedendomi un attimo con i bambini che mi circondano e mentre stavo facendo un piccolo “origami” con la mia tela, mentre la preparavo con quei gesti di piegatura, mi è venuto in mente per un attimo, quando mio padre mi fece, con un foglio di carta bianca, un primo aeroplanino di carta. E’ un ricordo preciso. Ero molto stupito nel vedere lavorare queste mani con un foglio di carta piegandola e dare vita a questo oggetto. Poi fece un gesto molto curioso che ricordo ancora adesso, quello del soffiare sulla punta di questo aeroplanino; e io non capivo che cosa fosse, cosa servisse quel gesto. Ecco, in quel momento, mentre ero in studio con i bambini di Mus-e che mi guardavano e con gli occhi spalancati, ed io stavo piegando la tela, mi è venuto in mente quel gesto. Allora ho pensato che quei bambini erano come quegli aeroplanini di carta e che io ero lì per fare quel gesto… (quello di soffiare sulla punta dell’aeroplanino). Per farli staccare da terra e farli volare nelle cose dell’arte».

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Nicola Bonafini
Mus-e Reggio Emilia

journalist, blogger, writer, media manager, editor. Sports, mainly… but not only. Italian is my language, English is my passion