Perché i wrestler combattono per la cintura?

Quando i match sono definiti a tavolino, che significa essere un campione?

Davide Costa
N3rdcore
6 min readJan 26, 2017

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Se Leonardo DiCaprio nel 2016 ha, finalmente, vinto l’Oscar come migliore attore lo si deve, in parte, anche al clamore e al buzz virale che i suoi fan hanno fatto montare in rete negli anni precedenti. Leo che non vince l’Oscar era divenuto ormai un meme pronto ad essere scatenato durante la notte degli Oscar, quando milioni e milioni di fan trattenevano il respiro insieme a lui mentre il presentatore della categoria “Miglior attore” proferiva le parole “And the winner is…”.

Forse è dietrologia, forse è una sparata un po’ grossa, ma se nel 2016 Leo si è portato a casa la statuetta non è solo per le sue doti di attore, ma anche perché il suo seguito di fan è numeroso e stacca i biglietti per andare in sala. Che c’azzecca col wrestling e le sue cinture?

Se per molti il wrestling è uno spettacolo televisivo o, sempre più, digitale e godibile sui propri device, larga parte del suo successo è stato creato e viene mantenuto grazie agli spettacoli dal vivo. Spettacoli a pagamento che a seconda del livello della promotion possono costare una manciata di dollari fino a centinaia di bigliettoni per una prima fila (i posti a bordo ring per Wrestlemania partono da 480 dollari.).

Convincere le persone ad assistere a uno spettacolo dal vivo e tirare fuori soldi non è mai una facile impresa, ci vuole un buon motivo, qualcosa che renda l’evento importante, un’occasione da non perdere e che permetta di poter poi raccontare agli amici “Io quel giorno ero lì e l’ho visto coi miei occhi!”. Assistere alla consacrazione di un lottatore negli annali dei campioni è sempre un buon motivo, e nel wrestling, come in ogni sport di combattimento, questa consacrazione coincide con la conquista della cintura.

Se negli sport legittimi la cintura di campione ha il suo senso e peso intrinseco in quanto simbolo dell’aver sconfitto gli avversari uno via l’altro fino a far capitolare il migliore, nel mondo narrativo e spettacolare del wrestling le cose sono un po’ diverse e più sfumate di quanto possa sembrare. Potremmo considerarla una sorta di MacGuffin, ovvero quell’oggetto che viene usato nei film come espediente narrativo per far muovere i protagonisti lungo la storia. Per farvi un esempio famosissimo: la valigetta di Pulp Fiction.

Un oggetto importante per le persone coinvolte ma la cui natura può rimanere labile e indefinita, una funzione narrativa necessaria come motore della storia. Nella sua versione più archetipica e banale può essere sufficiente anche nel wrestling: si mette in piedi un torneo, si creano dei gironi e chi vince diventa il campione della cintura in palio. Liscio e a suo modo soddisfacente.

The Young Bucks, campioni del non menarsela per le vittorie.

Ma un premio è molto più appetibile quando il suo possesso porta un cambiamento nella vita di chi lo detiene, e per poter avere quel potere questo premio deve portare con sé un peso simbolico, una storia pregressa che dia prestigio, oneri e onori a chi lo detiene. Una catchphrase ben nota nell’ambiente del wrestling è ottima sia per definire il suo autore, Rick Flair, che l’idea che sta dietro al prestigio di una cintura dice che “If you wanna be the man, you gotta beat the man!” ovvero “Se vuoi essere il migliore, devi battere il migliore!”.

Dopotutto, che vanto potrà mai dare l’essere il miglior wrestler del proprio condominio? Il bullarsi a pieni polmoni può cominciare solo quando ci si può cingere i fianchi con la cintura di campione del mondo, dopo averla strappata a quello che, ora, campione del mondo non lo è più. E il vanto assume legittimità e porta rispetto solo se il precedente campione del mondo si è scontrato contro lottatori che gli hanno dato del filo da torcere, ogni incontro per difendere la cintura combattuto all’ultimo, ogni attacco resistito tirando fuori risorse inaspettate, ogni seggiolata alla testa incassata stringendo i denti, togliendosi il sangue dagli occhi e ricominciando a lottare.

Se il motivo narrativo che spinge gli impresari a dare la cintura ad un wrestler è quello di mantenere viva l’idea di una competizione sportiva, le motivazioni pratiche sono da ricercarsi in quel confine tra realtà e finzione molto labile tipico del wrestling. Il fine ultimo di un impresario è sempre e comunque quello di dare agli spettatori un motivo valido per seguire lo show un match dopo l’altro.

Charlotte Flair, prima detentrice del WWE Women’s Championship, chiamato ora WWE RAW Women’s Championship

Questo accade solo se i suoi wrestler sono in grado di catturare l’interesse del pubblico grazie alle loro capacità atletiche, grazie alle loro interviste promozionali (conosciute come promo), grazie al loro essere in grado di raccontare i combattimenti in maniera credibile e avvincente. Quando un wrestler dimostra con mesi di performance di alto livello di saper conquistare, e soprattutto tenere, il pubblico, allora l’impresario decide di affidargli la cintura.

Un gesto che è allo stesso tempo una dimostrazione dell’apprezzamento di quanto fatto fino ad ora, e un’espressione di fiducia nei confronti delle capacità del campione di tenere alto il proprio livello, quello della cintura e con essa quello dell’intera federazione. Se nel racconto del wrestling i personaggi interpretati inseguono la cintura perché è quello che ci si aspetta da un lottatore, i performer che li interpretano la inseguono al di fuori del racconto perché è la dimostrazione di essere un bravo wrestler e la differenza tra avere un lavoro e non averlo.

Quando un wrestler si trova sul ring e, dopo aver sconfitto il suo avversario, riceve dall’arbitro la sua prima cintura, assistiamo a un personaggio che vince il premio e allo stesso tempo all’investitura di un professionista che ha passato anni a girare il paese da un’arena all’altra, anni di combattimenti che hanno lasciato il segno indelebile sul suo fisico, anni di dubbi, fatica, sudore e (letteralmente) sangue per dimostrare di essere in grado di fare il proprio lavoro al massimo delle proprie capacità.

Un momento di estrema soddisfazione, il coronamento figurativo e letterale di un percorso lunghissimo che premia quanto fatto fino a quel momento. Guardate ad esempio la reazione di Sasha Banks quando le consegnano la cintura di campionessa femminile di RAW:

L’emozione che vedete sul volto di Sasha, sono pronto a scommetterci sopra, non è recitazione ma l’esplosione di tutto quanto trattenuto dentro fino a quel momento. La consapevolezza di essere arrivati a un punto di svolta della propria carriera, un evento reale che entra nel ricordo della propria vita e che diventerà parte del canone del racconto del wrestling. Un evento che è un arrivo a cui tutti i wrestler tendono, ed è anche un nuovo punto di partenza, l’inizio del capitolo successivo della propria carriera.

Se la cintura che si è appena conquistata ha valore, lo ha perché il precedente proprietario l’ha difesa con tutte le sue forze, il suo cuore e i suoi trucchi. Quel valore è stato costruito in settimane e mesi di grandi match e grandi faide che hanno tenuto gli spettatori sulle spine. Questo significa che da quel momento in poi il peso e la responsabilità di mantenere alto quel valore sono sui fianchi e sulle spalle del nuovo campione.

Gli occhi del pubblico sono tutti sul nuovo campione: desiderano tutti un campione degno di tale nome che combatta e difenda la cintura, che non stia seduto sugli allori ma che dimostri di essere degno di tanta cintura. A meno che non si tratti di un cattivo, da cui ci si aspetta ogni tipo di trucco e bassezza per non perdere la cintura. Un cattivo che starà bene al pubblico, perché tanto più bieco si mostrerà ai loro occhi, tanto più sarà soddisfacente vederlo cadere e perdere la cintura in favore di un lottare più meritevole e apprezzato.

E sul campione sono fissati soprattutto gli occhi dell’impresario della federazione. Perché nel momento in cui il pubblico dovesse disamorarsi del nuovo campione, facendo scendere i ratings televisivi, facendo staccare meno biglietti agli spettacoli live o facendo vendere meno merchandising, l’impresario inizierà a sospettare di aver scommesso sul cavallo sbagliato e dal roster spunterà un nuovo pretendente al trono. Che dovrà dimostrare di essere all’altezza della cintura per poterla strappare di mano al campione e continuare l’infinito loop necessario a mantenere viva e importante la cintura.

In un’industria che fa del racconto seriale la sua ragione d’esistere, in cui lungo le decadi si affastellano e sfilano centinaia di lottatori in perenne rincorsa, anche quello sparuto gruppo di campioni che entrano nella leggenda e nel ricordo dei fan, non sono altro che staffette di passaggio. Solo la cintura e ciò che simboleggia rimangono una stella fissa che si nutre di loro e che richiede sempre nuovo sangue.

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Davide Costa
N3rdcore

Scrivo fumetti e altre cose fiche per Disney e Sergio Bonelli Editore. Trapiantato epatico dal 2008. https://twitter.com/Baphomouse