Perché i wrestler devono fidarsi dei propri avversari.

Davide Costa
N3rdcore
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5 min readFeb 16, 2017

Se cadrò mi afferrerai?

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Avete presente la così detta “caduta della fiducia”? È una di quella attività di gruppo usate per migliorare i rapporti di lavoro all’interno di aziende, uffici o qualsiasi altra situazione in cui ci sia un team costretto a lavorare insieme.

Una persona sta in piedi, alle sue spalle un’altra persona sta in piedi, guardano entrambe nella stessa direzione. La persona davanti si lascia cadere all’indietro, fidandosi che quella dietro l’afferrerà frenandone la caduta in maniera sicura. Di solito, per evitare problemi, sotto di loro c’è un cuscinone per attutire l’eventuale culata.

Non ho idea se questo esercizio funzioni sul serio nel creare fiducia tra impiegati, ma immaginate questo scenario: la persona che cade si trova a 3–4 metri di altezza e per terra non c’è nessun cuscinone ma, quando va bene, una copertura in gomma dura alta un paio di centimetri. Se chi ha il compito di afferrarvi sbaglia, il rischio di farsi male è altissimo.

Questa è la situazione in cui i wrestler si trovano decine di volte a settimana lungo tutta la loro carriera. Se nei suoi primissimi anni il wrestling era per lo più una versione narrativa della lotta libera, in cui i combattenti mostravano le loro capacità tenendo i piedi ben piantati sul ring nel tentativo di schienarsi l’un l’altro, la necessità di tenere desta l’attenzione del pubblico ha spinto ben presto i wrestler a incorporare salti e acrobazie nel proprio repertorio.

E quando un ring è dotato di paletti ai suoi angoli e corde ai suoi lati, le possibilità di usare questi come trampolini sono infinite. Un salto all’indietro è uno spettacolo per gli occhi e una strizzata allo stomaco che fa stare col fiato sospeso nell’attesa che i due lottatori entrino in contatto. E nel caso l’attaccato schivi, si spera sempre sia una schivata concordata, altrimenti significa che qualcuno ha sbagliato. Per mostrarvi un esempio pratico di quel che dico, mi mostro una suicide dive eseguita da Undertaker saltando fuori dal ring:

C’è un motivo se si chiama tuffo suicida, no? Quello che viene colpito è Dave “Drax the Destroyer” Batista. Il compito di Dave non è solo quello di reagire come se l’attacco di Undertaker lo avesse debilitato alla grande, ma è anche quello di rallentare la caduta del suo avversario, per ridurre al minimo il rischio che un uomo di quasi due metri di altezza per più di 100 kg si schianti a terra ferendosi. Cosa succederebbe se Dave sbagliasse qualcosa? Questo:

Il cameraman è in realtà un wrestler, si chiama Sim Snuka, e si è giocato buona parte della sua credibilità in una manciata di sfuggevoli secondi. Ha giocato la sua mano nella “caduta della fiducia” e ha perso.

Quando due wrestler entrano sul ring decisi a dare il meglio di sé per battere l’avversario lo fanno consapevoli di mettere a repentaglio la propria salute. Chiunque decida di intraprendere una professione che considera come normale l’essere colpito sulla schiena con una sedia in metallo, o con un bastone da kendo, o saltare in mezzo alle fiamme, lo fa con la consapevolezza che prima o poi si farà male. Ma lo fa anche col desiderio di minimizzare ogni rischio possibile e questo può avvenire solo se gli altri wrestler mostrano di essere persone degne di fiducia al di là delle rivalità, finte o vere che siano.

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Essere un wrestler sicuro, un performer di cui gli altri lottatori si possono fidare è una questione di vanto, una questione di moralità ma anche una questione di professionalità: i wrestler siglano contratti che li obbligano a mettere in scena un determinato numero di match lungo un determinato lasso di tempo. In caso questi match non siano combattuti, rischiano multe o il mancato rinnovo del contratto. E un wrestler infortunato è quasi sempre impossibilitato dal salire sul ring. Al di là del desiderio che abbiamo tutti di non infortunarci, l’infortunio per un wrestler significa il rischio di perdere il posto. Non solo perché una volta infortunato non potrà combattere, ma anche perché gli impresari non amano avere nei propri spogliatoi lottatori che si infortunano, o che fanno infortunare gli altri, con facilità, perché creano problemi dal punto di vista narrativo.

Immaginate che manchino solo un paio di puntate alla fine del vostro telefilm preferito, che questi due episodi debbano ancora essere girati, che debbano andare in onda entro una settimana e che al protagonista esplodano i legamenti di un ginocchio rendendogli impossibile girare le sue scene. Si tratta del protagonista, si tratta di un telefilm in cui le scene d’azione sono fondamentali e non c’è materialmente tempo per aspettare che guarisca. Che fai?

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Una situazione del genere, in uno show di wrestling, costringe impresario, sceneggiatori e wrestler coinvolti a cambiare i piani al volo, mandando a monte settimane se non mesi di lavoro durissimo, teso a creare uno spettacolo interessante che vuole tendere a un certo tipo di conclusione.

Se un wrestler si infortuna in maniera grave, tutto questo viene vanificato in un paio di secondi mettendo in discussione il proprio futuro e quello dei colleghi. Ogni volta che un wrestler entra sul ring la sua doppia vita viene messa a durissima prova sotto gli occhi di tutti: mentre il personaggio che interpreta deve annichilire nella maniera più spettacolare il suo avversario facendogliene passare di tutti i colori, l’uomo dietro la maschera, fisica o interpretativa che sia, deve assicurarsi che il suo collega sia il più possibile al sicuro.

Ogni calcio alla testa deve sembrare reale ma non provocare una commozione cerebrale, ogni strangolamento deve far strabuzzare gli occhi all’avversario ma solo perché questi interpreta un ruolo, ogni powerbomb deve schiantare l’attaccato con fragore ma minimizzare il rischio di infortunio. Con ogni attacco che va a buon fine il wrestler deve dimostrare al proprio avversario, ai colleghi che seguono dagli spogliatoi e all’impresario che non ha intenzione di ferire o fare del male al proprio nemico.

In una professione che per tradizione e necessità fa dello spettacolo dal vivo e del girare da una città all’altra alcuni dei suoi fondamenti, lo spirito di gruppo tra lottatori diventa un aspetto centrale e un collante necessario a reggere lo stress psicologico e fisico della disciplina. Ore e ore passate in auto o in aereo viaggiando da un punto all’altro del globo, chiacchierando del più e del meno, ragionando sui match fatti e su quelli a venire, scambiandosi foto di figli e persone amate, creano quei legami che sul lungo periodo tracimano in amicizie confluenti e solidissime.

Ma una volta che il gong suona è la fiducia reciproca a rendere forti le prese di sottomissione e forti le braccia che devono afferrare i corpi che cadono. Senza quella nessun wrestler salirà sul ring con il cuore tranquillo.

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Davide Costa
N3rdcore

Scrivo fumetti e altre cose fiche per Disney e Sergio Bonelli Editore. Trapiantato epatico dal 2008. https://twitter.com/Baphomouse