Quando lo sport diventa racconto: come i wrestler sono diventati personaggi di una storia senza fine.

Davide Costa
N3rdcore
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7 min readDec 22, 2016
Ed Strangler Lewis vince la cintura nel 1920

Ogni storia deve avere un inizio ben preciso, soprattutto quando si scrivono storie di finzione. E dato che il Wrestling è tanto vero quanto sceneggiato, prendiamo una decisione e cominciamo col Gold Dust Trio.

Negli anni ’20 il campione del mondo Ed “Strangler” Lewis, il suo manager Billy Sandow e il wrestler col pallino delle storie Jospeh “Toots” Mondt diedero inizio a una delle più importanti e profonde rivoluzioni subite dal wrestling. I tre dovettero fare i conti con un problema che loro, e i loro colleghi in tutte le parti degli USA, incontravano ad ogni match: gli incontri, quasi sempre legittimi, potevano durare anche ore. Spesso i lottatori rimanevano avvinghiati in prese di finissima tecnica per minuti e minuti, rendendo lo spettacolo miele per i fini conoscitori della lotta, ma noia per i palati meno educati. Decisero quindi di adottare delle strategie per rendere i match qualcosa di più avvincente, immediato e vendibile, magari più vicino al gusto del pubblico moderno che si era appassionato al cinema. Qualcosa di più vicino a delle storie.

Il dinamico trio tirò fuori in quegli anni alcune delle idee divenute poi la base del wrestling: una suddivisione netta ed evidente tra il buono e il cattivo, tempi ben definiti per la durata del match, un ruolo più attivo da parte dell’arbitro, l’uso di un ring da box e l’uso di mosse specifiche per ogni lottatore, in particolare il colpo di grazia, quelle che, con termine ora divenuto videoludico, vengono definite finisher.

Ma l’intuizione forse più ardita è stata quella di rendere i match parte di una storia più grande, più lunga e più appassionante. Se prima del Trio, bene o male, gli incontri avevano ragion d’essere solo in quanto dimostrazione di chi fosse il più forte e degno di detenere la cintura, ora divenivano l’apice di drammi tra personaggi che si rincorrevano per mesi, se non anni, in lungo e in largo per l’America. Fedele alla sua origine di spettacolo itinerante legato al circo e alle fiere di paese, il Wrestling trovava modo di fidelizzare il pubblico inscenando sfide, rivincite, tradimenti, salvataggi dell’ultimo minuto e grandi alleanze che creavano attesa e discussione tra un match e l’altro. Una quindicina di anni prima che venissero creati i supereroi, se un bambino voleva vedere un Buono e un Cattivo con le mutande sopra i pantaloni darsele di santa ragione doveva solo aspettare che il wrestling arrivasse in città. Lewis, Sandow e Mondt praticamente sono gli Stan Lee e Jack Kirby del wrestling.

Grazie alle idee del Gold Dust Trio il Wrestling si crea e mantiene una solida posizione nell'immaginario popolare americano, rimanendo però sempre un pelo sotto altri tipi di spettacolo e sport che sono sinonimi di USA. Per vederne un’esplosione in popolarità dobbiamo aspettare l’arrivo nei salotti americani della TV, e in particolare di Gorgeous George.

Gorgeous George viene pettinato da sua moglie Cherie prima di un match

L’11 novembre del 1947 il pubblico americano vede spuntare sul tubo catodico e dentro il ring un uomo atletico, vestito con una veste da camera di seta, i boccoli biondi e tutta la strafottenza di questa terra. Gorgeous George diventa, nel giro di poco tempo, uno dei personaggi televisivi più conosciuti d’America, trainando con sé il Wrestling come spettacolo e fenomeno. I match di wrestling vengono trasmessi, inizialmente, per un motivo preciso: costano poco, rendono molto e le stazioni televisive cittadine o statali vedono una piccola ma molto produttiva gallina dalle uova d’oro. Secondo alcuni si tratta del tipo di spettacolo che, per primo nella storia della TV americana, abbia portato profitto. Secondo altri il successo di George è da ringraziare per la vendita di milioni di apparecchi televisivi. Sia come sia, per il wrestling è un momento di cambiamento: la presenza scenica e la parlantina di George dimostrano che il pubblico non vuole solo un match, ma vuole un motivo per guardare il match. E questo motivo è semplice: la strafottenza che George irradia, gli insulti che lancia ai suoi avversari e al pubblico stesso (che non è bello, non è talentuoso e non è ricco come lui!) e i suoi vezzi strani fanno venire voglia di vederlo battuto.

Parlando direttamente in camera e al pubblico, George è tra i primi a capire la potenza dell’intervista promozionale, ora conosciuta come promo, da rilasciare prima dei grandi incontri. Un gioco di equilibrio verbale in cui il wrestler riesce a insultare l’avversario, pur sottolineandone la pericolosità (perché a battere una mezzasega ci riuscirebbe chiunque, e la gente deve rimanere col dubbio del risultato), insultare il pubblico che non è degno nemmeno di guardarlo, e decantare le proprie capacità di essere superiore e imbattibile. Se tutto questo vi ricorda un po’ Alì, sappiate che Cassius Clay vide alcuni incontri di George e ne rimase così folgorato da chiedergli un consiglio su come aizzare la folla per farsi un seguito. Pare che George gli disse “Tutti vogliono vedere uno con la lingua lingua prendere un pugno in faccia. Per cui, parla di continuo!”.

Dopo il boom degli anni ’50, il wrestling vede perdere progressivamente terreno negli ascolti fino alla fine degli anni ’70, quando la terza rivoluzione arriva armata di baffi a manubrio biondo platino, una comparsata iconica in Rocky III e tanto carisma da reggere sulle proprie spalle una intera industria.

E nelle orecchie ora avete Real American

Hulk Hogan è tutto quello che si possa desiderare da un wrestler: alto due metri con un fisico da bodybuilder, biondo e perennemente abbronzato, con un look preciso e riconoscibile, dotato di carisma e parlantina sciolta. Sembra incarnare e definire allo stesso tempo quello che dovrebbe essere un lottatore di wrestling. Forse è per questo che viene scelto da Vincent Kennedy McMahon, proprietario dell’allora WWF (ora WWE), come uomo su cui puntare tutto per espandere il proprio impero di impresario del wrestling. Vince ha bisogno di un personaggio che sia vendibile e riconoscibile da tutti, dentro e fuori dal ring, e trova in Hogan il partner perfetto, quel tipo di volto che piace all’appassionato e allo spettatore occasionale, che può vendere biglietti per i match e giocattoli per i bambini. Hogan tira così tanto da riuscire a funzionare anche fuori dal circuito di appassionati e fan di vecchia data, con cammei nella serie televisiva A-Team, interviste in tutti i maggiori late-show via cavo (con l’occasionale strangolamento del conduttore) fino ad arrivare a Hollywood.

McMahon si trova tra le mani una star che gli permette di fare pubblicità al proprio prodotto ovunque, sdoganando così il wrestling presso la TV, presso Hollywood, presso il mondo della musica. Grazie alla coppia McMahon-Hogan il wrestling cessa di essere uno spettacolo solo per appassionati divenendo un fenomeno pop, i wrestler non sono più visti solo come tizi muscolosi che fingono di combattere ma vere e proprie rockstar con un seguito di fan che non possono mai averne abbastanza dei loro beniamini.

Desiderio di facile avveramento nell’epoca dei social e della connessione 24/7, fenomeni che hanno permesso al wrestling l’ennesimo contrattacco per mantenere desta l’attenzione nei suoi confronti.

È ancora troppo presto, forse, per parlare di rivoluzioni e cambiamenti profondi causati dalla social era. Però, in una forma di intrattenimento che ha sempre giocato sul labile rapporto tra finzione e realtà, tra persona e personaggio, l’avvento dei social sta influenzando in maniera interessante la Kayfabe: il tacito accordo tra le parti che spinge i wrestler a mantenere il più possibile l’illusione del racconto anche al di fuori del ring. Quindi, per esempio, due wrestler nemici giurati dentro al ring farebbero di tutto per non farsi beccare a bere una birra insieme al di fuori dello stesso.

Se quella illusione poteva essere mantenuta con relativa facilità fino a pochi anni fa, ora diventa sempre più duro riuscire a non far crollare la suspension of disbelief quando un wrestler, nel ring cattivissimo, si mostra sul suo profilo Instagram mentre tiene compagnia ai bambini malati. Con nuovi mezzi tra le mani i wrestler si trovano nella stessa posizione dei creativi 2.0: crearsi un seguito online, creare contenuti originali e riuscire in qualche modo a dare qualcosa di unico e diverso dal solito. In un esempio che pare piuttosto unico, i wrestler hanno la possibilità di aggiungere sfumature, dettagli e sottintesi a quando succede nel ring, arrivando a una curiosa fusione di cross-medialità e realtà aumentata, in cui il personaggio interagisce spesso con il suo pubblico senza nessun tipo di filtro produttivo di mezzo.

Non è raro trovare wrestler che dai propri profili twitter o instagram insultino (provocati, sia chiaro) i propri fan e follower, dando vita a divertenti batti e ribatti che mettono alla prova le capacità dialettiche delle parti coinvolte. Mantenendo quindi vivissima la tradizione del wrestling in quanto spettacolo dal vivo, in cui il pubblico assiste e reagisce divenendo parte dello show quasi come un coro greco, l’era del wrestling social pare essere quella giusta per ricordare il consiglio che diede Gorgeous George ad Alì: “Continua a vantarti!” e qualcuno pagherà per vederti steso al tappeto.

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Davide Costa
N3rdcore

Scrivo fumetti e altre cose fiche per Disney e Sergio Bonelli Editore. Trapiantato epatico dal 2008. https://twitter.com/Baphomouse