Uomini e Topoi

Ovvero, quei trucchetti narrativi che mi fregano sempre e mi portano ad apprezzare un’opera nel 90% dei casi.

Lorenzo Fantoni
N3rdcore
5 min readJul 22, 2017

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Ogni storia ha i suoi trucchetti narrativi visti e rivisti che non annoiano mai perché hanno quel gusto familiare di qualcosa che ci piace. Situazioni che conosciamo benissimo, ma che quando troviamo in un film, un fumetto o una storia possono ancora confonderci. E visto che in questo articolo parliamo di topos narrativi arcinoti ma sempre belli, mi sembrava giusto utilizzare una forma che ormai è diventata un classico di internet: l’articolo in cinque punti.

Lo so, ormai sono diventati come i tormentoni estivi quando arriva settembre. Ecco dunque i cinque topos che mi farebbero venire voglia di leggere persino un racconto pubblicato a puntate su Libero, scritto da Gigi D’Alessio con i disegni di quel vostro cugino bravissimo che vi fa il sito web a metà prezzo.

Divinità e modernità

Il tema centrale di American Gods e The Wicked + The Divine, due opere estremamente interessanti che affrontano la questione in modo diametralmente opposto. Da una parte il libro di Gaiman diventato una delle serie TV più belle del 2017 vede nelle divinità antiche e nel loro rapporto con la modernità una metafora del tempo che passa e un’occasione per parlare del rapporto dell’uomo di oggi con il divino. Dall’altra il Pantheon di adolescenti trasformati in dei della musica di Kieron Gillen sono il simbolo di un’adolescenza in cui ci si sente onnipotenti o assolutamente inutili, in cui il nostro mondo viene capovolto e dobbiamo trovare una nuova chiave di lettura. Da questo punto di vista mi sono piaciuti anche gli ultimi racconti dell’Ercole Marvel, personaggio tormentato in cerca di un’identità che deve fuggire dall’alcolismo e riguadagnare la fiducia degli Avengers, o tutte le storie in cui Dracula si ritrova nel ventesimo secolo. Le divinità del passato altro non erano che supereroi e l’idea di vederli alle prese con il mondo di oggi mi è sempre piaciuto. E questo ci porta al punto due.

Persone fuori dal loro tempo e contesto

Ash che si ritrova nel medioevo, Wonder Woman che quasi si commuove di fronte a un gelato, Captain America scongelato nel ventunesimo secolo che applica i codici morali degli anni ’40, Javik in Mass Effect che ogni cinque minuti ricorda come ai suoi tempi i Prothean governassero la galassia, Demolition Man, Spock contro i nazisti e tutto Ritorno al Futuro. Non chiedetemi perché ma è una di quelle trovate che su di me ha sempre presa, sia dal punto di vista puramente comico che allegorico. In mano al regista giusto può essere uno strumento potentissimo, ce lo dimostrano Captain Fantastic e la storia di padri che crescono i figli fuori dal consumismo americano, ma riesce persino a rendere piacevole una roba bruttissima che ricordo solo perché sfrutta questo topos: Le ragazze della terra sono facili.

Training montage

Il classico dei classici, la base dei film d’azione. Il momento in cui il protagonista (e anche l’antagonista) sfidano i propri limiti fisici in vista dello scontro decisivo e tu sei là che li guardi, ti esalti e sei pronto a gustarti l’epilogo. È il classico momento in cui ti senti in colpa perché forse dovresti tornare in palestra, forse perché il tuo cervello per secondo pensa realmente che basti una sessione di allenamento di pochi minuti per battere Ivan Drago. In alternativa il Training Montage può essere sostituito dal suo fratello cattivo: il momento in cui il protagonista si arma, con la telecamera che indugia con misurata lentezza su decine di armi differenti e su dettagli come un colpo che viene messo in canna, un coltello che entra nella fondina e due dita che tracciano una linea nera sotto l’occhio. Stallone e Schwarzenegger da soli detengono il 90% delle quote di questa sezione.

I gruppi

Quella sporca dozzina, i magnifici sette, il mucchio selvaggio, l’Emobranco, i Goonies, gli Expendables, Voltron, l’equipaggio di Alien: La clonazione, persino Suicide Squad. Ho un debole per i gruppi di personaggi che combattono insieme per una causa comune, soprattutto se si stanno antipatici. Di solito non sono meno di cinque e hanno ruoli ben precisi. C’è un leader, un comandante in seconda che ha il carattere opposto a quello del leader, quello sveglio, la ragazza e non può mancare l’esperto di demolizioni. Ciascuno è particolarmente bravo con un’arma e ci sarà sempre quello che si sacrifica per salvare gli altri o che muore male. Di solito questa morte serve a dare importanza al’ultimo e più importante simbolo narrativo di questa cinquina, forse uno dei più importanti di sempre.

Il mostrone

Lo Squalo, i draghi, Godzilla, la Regina Aliena, King Kong, il Tirannosauro, il Metal Gear, Moby Dick, insomma una creatura con cui non scendi a patti, per il semplice fatto che non ti capisce o non è umana, un essere molto più forte di te e in grado di annientarti con un colpo solo. Una forza della natura o un esperimento fallito che caccia l’uomo e che si svela piano piano fino a mostrarsi in tutto il suo orribile aspetto o titanica bellezza. I mostri sono uno degli strumenti narrativi più importanti della nostra tradizione. Possono essere l’esempio di tutto ciò che è sbagliato, rappresentare le giuste leggi della natura o semplicemente una forma di vita così lontana da noi da non percepire l’esistenza umana come degna di esistere.

Ogni mostro ha bisogno di almeno due o tre persone a caso di un equipaggio/gruppo di amici/team di ricercatori/gruppo di soldati che devono morire in maniere sempre più splatter e rivelatrici, così da permetterci di intuirne le forme. Questo a meno che non siano una sorta di minaccia sullo sfondo che si scatenerà solo nel finale. Di solito la bravura di un regista sta tutta nello svelare il mostro al momento giusto e nel modo giusto. Troppo presto e il film perde forza, troppo tardi e resti insoddisfatto. Un buon mostro può tenere in piedi una storia da solo, ma ciò che conta non sono tanto i suoi poteri, ma il modo in cui viene ucciso.

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