Servizi Fungibili e Cryptosfera

Economie crypto: fungibilità, passi falsi e opportunità.

Filippo Albertin
Nakamotas
5 min readOct 29, 2023

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Facciamo un esempio pratico.

Supponiamo che io abbia a disposizione una cifra pari a mille euro. Fees a parte, ammettiamo che io compri l’equivalente di mille euro in satoshi. Che ci faccio?

Le strade sono due:

  1. Li tengo, in attesa che, tra una fluttuazione e l’altra, come effettivamente è capitato e continua a capitare, valgano di più e mi consentano o di monetizzare una cifra in euro più alta di quella spesa per acquistarli, o di spenderli direttamente per comprare più prodotti di quelli che avrei potuto comprare a suo tempo.
  2. Li spendo più o meno immediatamente per acquistare esattamente mille euro — centesimo più, centesimo meno — dei suddetti prodotti.

Nel primo caso sto facendo una cosa sensata. Nel secondo, a meno di motivazioni specifiche (anonimato, riservatezza, esercenti che accettano solo satoshi, etc…), la sensatezza scompare, limitandosi al puro gusto di acquistare in BTC ciò che ben più agevolmente avrei potuto acquistare in euro, senza inutili passaggi intermedi.

Qualunque sia la cifra tradotta in BTC (o in qualsiasi altra valuta digitale, con le sue caratteristiche specifiche), 5K o 500K in valuta fiat, i casi sono dunque quelli derivati dalle due opposte fattispecie citate.

Più precisamente, andando a dipanare meglio la casistica, i casi effettivi sono:

  • Acquisto per detenzione a scopo di investimento, o conservazione, o incremento del valore, quale che sia l’orizzonte di monetizzazione o uso spicciolo (nel caso del trading, per esempio, è chiaro che l’orizzonte sarà quello di una vera e propria compravendita ripetuta, a breve-medio termine, mentre ben altre tempistiche saranno proprie di una capitalizzazione in quanto tale).
  • Acquisto per detenzione a scopo di protezione del valore da soggetti terzi, sfruttando l’evidente intoccabilità delle crypto in genere.
  • Acquisto per “cambio valuta" a scopo di implementazioni particolari (pagamento di soggetti che intendono essere pagati solo in crypto, pagamenti anonimi, pagamenti non tracciati, etc…).

Investimento (moneta deflativa o crypto dotate di particolari caratteristiche valoriali) e anonimato (decentralizzazione) sono dunque le due grandi variabili della sensatezza operativa delle crypto, e nello specifico di Bitcoin.

Alla luce di questo semplice esempio appare abbastanza ovvio l’interesse di determinate istituzioni o nazioni per Bitcoin, e in generale per la cryptosfera. Prendiamo la Svizzera, che per anni è stata il forziere segreto dell’Europa, e da non molto ha perso il primato della riservatezza bancaria per effetto di normative che bene o male sono state recepite e accettate. Che oggi intenda trovare nuove strade per tornare ad essere quella che era credo appaia piuttosto comprensibile, e renda altrettanto comprensibili i conflitti, per quanto occulti, che sono recentemente affiorati tra fazioni di stakeholder ticinesi e progetti quali il PlanB di Lugano.

Se la premessa è eloquente, altrettanto lo può essere quanto sto per dire:

Una moneta per definizione globale come Bitcoin ha senso come mezzo di pagamento “comune" a livello consumer locale solo se diventa “globalmente” a corso legale. Ossia, se è accettata tanto dal negozio sotto casa quanto, statisticamente, da qualsiasi negozio nel mondo.

Mi spiego.

Nella summenzionata città di Lugano sono molti gli esercizi commerciali ad aver abbracciato la proposta di entrare a far parte del PlanB, accettando crypto come mezzo di pagamento. La stessa cosa vale però anche per singoli esercenti disseminati in tutto il globo, nonché per varie altre città a vario titolo designate come crypto-friendly.

Senza tanti mezzi termini, la cosa sembra essere piaciuta poco agli esercenti locali, che non hanno visto chissà che incremento degli affari in questi due anni di progetto.

D’altra parte che senso ha, per me che sto a Vicenza, nel nord Italia, fare un viaggio a Lugano per spendere i miei satoshi per un caffè e una pizza? Evidentemente nessuno, a meno che ovviamente io non mi trovi già da quelle parti per altre faccende, cosa che certamente non mi indurrà comunque a prendere due caffè e due pizze.

Il solo significato di questa opzione sarebbe legato all’eventuale adozione globale e uniforme di Bitcoin come strumento di pagamento o obbligatorio e a corso legale, come avvenuto per El Salvador, o talmente diffuso da essere presente anche nel bar sotto casa mia, a Vicenza.

Ecco perché, pur ribadendo la pregevolezza di iniziative di networking come quelle sottese dal PlanB, io ritengo che la componente “circolare e locale” di certe sue proposte laterali sia una sostanziale aporia, che finisce per attirare le critiche che abbiamo imparato a conoscere. Ossia, il manager in visita a Lugano si trova lì non certo per pagare il caffè e la pizza in satoshi, ma per fare affari, al limite, in satoshi. Una banale carta di debito o credito in franchi svizzeri da questo punto di vista fa il suo mestiere molto meglio, visto che, con opportuno cambio automatico, presente ormai in quasi tutti i servizi fin-tech mediati da una Visa o Mastercard fisica o virtuale, può permettere al manager di acquistare caffè e pizza ovunque.

In definitiva, una crypto-city deve evidentemente essere un luogo dove l’uso delle crypto vada ben oltre il folklore o la banale curiosità di chi prenderà caffè, pizze, panini, birre, utilizzando satoshi due o tre volte nella vita. La fungibilità resta infatti il nemico più grande per la mass adoption, in qualsiasi settore innovativo tecnologico, blockchain inclusa.

Ci sono eccezioni a questo? Ovvio che sì. C’è il tipo che forse a Lugano si reca per comprare uno smeraldo per l’amante, e usa i satoshi per evitare un possibile tracciamento da parte della moglie. Oppure chi intende acquistare, che so, droghe leggere, di cui peraltro non conosco minimamente il mercato generale, figuriamoci quello elvetico. Ma le eccezioni, come tutti sanno, confermano la regola, nel senso che sono appunto isolate deviazioni da una regola che rappresenta la parte macroscopica di un dato fenomeno, per esempio, come nel nostro caso, di mercato.

Riassumendo, il disegno a tavolino di una ipotetica crypto-economia centrata in una certa territorialità o municipalità deve avere un senso compiuto, la cui vera e propria costruzione è sviluppabile da abili amministratori senza tanti peli sulla lingua. Pensando anche a una mass adoption del 100% in Bitcoin, non sarà certo il fatturato spicciolo di esercizi come bar e ristoranti, o concessionarie auto, o agenzie immobiliari, ad aumentare per effetto di queste politiche — diciamocelo chiaramente — spesso e volentieri di solo marketing.

Serve invece immaginare nuovi servizi che rendano non fungibile una certa entità territoriale. E questi servizi non possono prescindere da quanto precedentemente detto in materia di peculiarità crypto: investimento, deflazione, sicurezza, anonimato. Piaccia o meno, da qui non si scappa.

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Filippo Albertin
Nakamotas

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