COME SI TRASMETTE IL VIRUS SARS-CoV-2 → Ovvero cosa serve sapere per scegliere come difendersi utilizzando i DPI più utili

a cura del gruppo di lavoro COVID-19 INFO START|FINISH “progetto satellite” dell’iniziativa degli operatori sanitari siciliani: APPELLO A… in realtà alla cittadinanza attiva della SICILIA

Maria Grazia Lunetta
COVID-19 INFO START|FINISH
21 min readApr 10, 2020

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Riassunto

Questo è il primo di un gruppo di articoli dedicati alla comprensione dei dispositivi di protezione individuali (DPI) che gli operatori sanitari possono utilizzare per difendersi dal SARS-CoV-2. Non avevamo dubbi circa il primo tema su cui fare chiarezza: la modalità di trasmissione, nonostante apparentemente tutti conoscano tutto di questo argomento. In realtà, studiando e discutendo molti articoli, ci siamo accorti di avere anche noi molta e rilevante confusione. Abbiamo ritenuto utile approfondire maggiormente, soprattutto per evitare che gli operatori sanitari fossero in balia della confusione che viene fatta persino dai “tavoli tecnici” istituzionali.

Molte delle nozioni che abbiamo sintetizzato sono però utili anche per i comuni cittadini. Ci scusiamo con tutti, ma, data la gravità della situazione, per il momento i nostri interlocutori principali saranno gli operatori sanitari e il linguaggio utilizzato sarà a volte troppo tecnico per gli altri. Nelle prossime edizioni cercheremo di migliorare anche questo aspetto.

Questo primo articolo, come quello dedicato alla presentazione del progetto, è solo una bozza migliorabile grazie al contributo di vostri suggerimenti e revisioni. Una bozza che affidiamo alla vostra lettura ancora prima di poter registrare, per via della mancanza di tempo, persino i suggerimenti e le revisioni esterne che abbiamo già ricevuto. Di queste terrà conto la prossima versione e i revisori verranno chiaramente indicati nelle informazioni iniziali (pag. 2). Per il momento ci scusiamo con tutti, ma questo articolo è il prodotto che siamo riusciti a realizzare nei tempi dettati dalla pandemia. Anche così però ci sembra utile sottoporlo alla vostra attenzione: il modello di trasmissione utilizzato dalle principali organizzazioni istituzionali ha molte e rilevanti criticità scientifiche ed è in netta contraddizione con le scoperte fatte non solo nelle ultime settimane, ma da molti anni.

INTRODUZIONE

Questo è il primo di un gruppo di articoli volti a chiarire come noi, operatori sanitari, possiamo difenderci dal SARS-CoV-2 con appropriati dispositivi di protezione individuali (DPI).
Molte nozioni sono però utili anche per i comuni cittadini, ancor di più se lavoratori di alcuni servizi e istituzioni (esempio: case di riposo, carceri, caserme) o che si ritrovano in particolari condizioni di rischio (per esempio, aree di accesso agli ospedali, convivenza o assistenza di parenti malati e situazioni analoghe). E potrebbe essere molto utile anche per alcuni soggetti ad alto rischio, come portatori di alcune patologie croniche o utilizzatori di farmaci che aumentano il rischio di contrarre forme gravi di COVID-19. Sebbene queste categorie di rischio non siano ancora del tutto ben definite, ricordiamo che il principio di precauzione deve valere per gli operatori sanitari come per tutti i comuni cittadini di cui solo si sospetti l’inclusione in categorie ad “alto rischio” di contrarre forme gravi di COVID-19.

La scelta del dispositivo di protezione dipende dalla modalità di trasmissione dell’agente infettivo, dalle aree in cui si opera, dalle procedure che si stanno attuando e dalle caratteristiche tecniche del dispositivo. In questo articolo ci limiteremo a trattare le modalità di trasmissione che prevedono l’ingresso del patogeno per le vie aeree e di definire la trasmissione per aerosol che è al centro di numerosi equivoci oltre che di un “vivace” dibattito scientifico a proposito della sua reale esistenza come modalità accertata di contagio da questo virus. Per mancanza di tempo e almeno in questa versione non si farà riferimento alla trasmissione per via oculare, oro-fecale o anche materno-fetale, per quanto i dati disponibili permetterebbero già di trasferire rilevanti informazioni a tutti gli operatori sanitari.

1. Quali sono le vie di trasmissione

Quali sono le vie di trasmissione con cui un virus respiratorio, a partire da un soggetto infetto, si diffonde nell’ambiente circostante e può trasmettersi ad altri soggetti suscettibili?
Le vie di trasmissione partono tutte dall’emissione di gocce infette, sotto forma di “droplet” e “microdroplet”. In realtà, per tutte le tipologie di gocce esistenti, la terminologia utilizzata in letteratura è molto ampia. Quello che qui interessa sottolineare è che tutte queste diverse forme di gocce sono emesse dalle mucose delle vie respiratorie di un paziente affetto da CoVID-19, così come da tutti i pazienti affetti da patologie respiratorie e da soggetti sani.

A lungo si è affermato che non è noto se un soggetto infetto da SARS-CoV-2 trasmetta anche aerosol infetto in grado di contagiare un soggetto suscettibile e che questa è una “incertezza scientifica”. È ancora davvero così? Ci torneremo più avanti. A lungo si è affermata l’incertezza scientifica della possibilità che un asintomatico possa emettere gocce infette. Ma ancora, è davvero così? Torneremo più avanti anche su questo. Per il momento si studi bene la FIG 1. In essa compaiono alcuni termini inglesi che a volte, tradotti in modo non uniforme nella letteratura scientifica italiana, possono generare confusione.

FIGURA 1: tratta dalla Fig 4 articolo alla [NOTA 5]

Per fare riferimento alla letteratura internazionale può essere davvero utile introiettare questa terminologia al completo. In realtà in questa figura è pure molto bene sintetizzata la distanza che possono raggiungere le varie gocce, anche quelle più piccole che costituiscono l’aerosol, a partire da un paziente e dove possono depositarsi. Cercate di tenere bene a mente questi concetti base e riprendiamo i termini essenziali e le possibili traduzioni in italiano.

“Fomite route”: trasmissione per contatto
“Droplet borne route”: emissione di gocce più pesanti a breve raggio di caduta
“Short range airborne route”: trasmissione per aerosol a corto raggio
“Long range airborne route”: trasmissione per aerosol a lungo raggio

Nel dibattito mediatico, e persino in quello scientifico attuale, molte imprecisioni e addirittura molti equivoci sono dovuti ad un uso approssimativo di questi termini.
Il più importante dei quali è la mancata consapevolezza da parte di molti operatori sanitari, e perfino di molti esperti, dell’esistenza e della rilevanza di quella che è definita “short range airborne route”.
In molti documenti ufficiali e in molta letteratura scientifica non c’è traccia di questa modalità di trasmissione dell’infezione. Vedremo che questo dipende non solo dalla terminologia utilizzata ma anche dal modello di riferimento di trasmissione assunto come “certezza scientifica”.
Infine nei media regna la confusione sul significato vero di “airborne route” fino talvolta a trasmettere ai cittadini il timore di poter assumere aerosol infetto anche durante una passeggiata all’aria fresca e lontano da esseri umani.

2. Produzione e tipologia di gocce in relazione alla loro formazione

Innanzitutto bisogna aver chiara una cosa: la sede di produzione delle gocce nei vari tratti dell’albero respiratorio. Ancora una figura: la FIG 2.

FIGURA 2: Sede di produzione nel tratto respiratorio e misura delle gocce emesse [NOTA 6]

Proviamo a sintetizzare con maggiore dettaglio le diverse tipologie di gocce emesse in fase espiratoria.
→ Gocce che provengono dalle basse vie (bronchioli): si formano e vengono emesse anche durante un respiro normale e non solo durante tosse o altri fenomeni che accompagnano lo stato di malattia.
Parliamo dunque di particelle ≤1 micron, definite, a seconda delle preferenze dei vari autori, “aerosol” o “microdroplet” o “nuclei”.
→ Gocce che si producono con la vocalizzazione e la tosse ad origine laringea: particelle di diametro >1 micron e che nella letteratura, a secondo le dimensioni, vengono denominate “aerosol”, “microdroplet” fino a “droplet” di medie dimensioni. Quelle < 5 micron (e quindi certamente aerosol) rappresentano la tipologia più numerosa, come si può cogliere dalla rappresentazione grafica della FIG 2.
→ Gocce che si producono con le parole e la tosse irritativa a provenienza più alta rispetto alla laringe e prevalentemente associate alla saliva della bocca: particelle del diametro > 20 micron, che arrivano a misurare anche millimetri: “droplet medie” e “droplet grandi”.

3. Produzione e tipologia di gocce in relazione a differenti fenomeni fisiopatologici

Tosse, conversazione e starnuti determinano l’emissione di una vasta tipologia di gocce. Alcune gocce sono prevalenti per quantità, ma un variabile numero di gocce più piccole e differenti quantità di aerosol sono emesse con tutti questi fenomeni. Anche queste conoscenze preliminari aiutano a capire più a fondo la trasmissibilità di una malattia infettiva come la COVID-19. Si veda la FIG 3.

FIGURA 3: Droplet: dimensioni e spettro in relazione a vari fenomeni fisiopatologici [NOTA 7]

4. Dove possono finire queste gocce?

Le gocce medie e grandi, per effetto della forza di gravità, se >100 micron cadono in pochi secondi entro un metro, se più piccole in pochi minuti. Le microdroplet (ovvero e meglio: tutto ciò che è abbastanza piccolo da trasformarsi in aerosol) risentono poco della gravità e restano in sospensione per un periodo di tempo non perfettamente noto e diverso a seconda delle differenti dimensioni, diffondendosi poi a varia distanza dal soggetto che le emette e persino in tutto l’ambiente di una stanza, potenzialmente anche in apparati di aerazione. Per essere infettanti le gocce devono inoltre e ovviamente contenere virus vitali. Nelle fasi sintomatiche delle malattie respiratorie, l’emissione di gocce di tutte le dimensioni aumenta considerevolmente. FIG 4

FIGURA 4: tratta dal Blog di Ian M Mackay Feb 9, 2020 [NOTA 8]

5. Contagio di un soggetto suscettibile

Tutte le affermazioni fatte nei precedenti paragrafi, apparentemente banali, hanno molte ripercussioni importanti sulla comprensione del contagio e soprattutto per il focus di questo ABC, cioè la possibilità di prevenirlo. Tra gli operatori sanitari c’è confusione su molti termini utilizzati, persino nelle raccomandazioni delle varie linee guida in itinere di organismi nazionali e internazionali. Punto per punto cercheremo di analizzare almeno gli aspetti chiave degli equivoci più diffusi che abbiamo notato. Su un punto però bisogna essere chiari sin dall’inizio, anche se poi l’approfondiremo in dettaglio: aerosol non è solo quello che può stare nell’aria di una stanza in cui dieci soggetti con COVID-19 respirano all’unisono a finestre chiuse e senza meccanismi speciali, quali le camere a pressione negativa, che cercano di aspirarlo. Nessuno mette in dubbio l’esistenza di aerosol a breve distanza da un soggetto mentre parla, tossisce, espira e compie altri atti fisiopatologici. Alcune note che richiameremo più avanti permettono di prendere visione di video pubblicati in letteratura che consentono persino di “vederlo” questo aerosol, insieme a tutto il resto, fatto di droplet di varia misura.
Questo grazie a sofisticate tecniche e a riprese di avanguardia.
Che questo aerosol sia infetto e infettante è un altro problema, ma procediamo con ordine.

Con la normale espirazione, la conversazione, la tosse o gli starnuti, le gocce emesse da un soggetto sano o infetto da SARS-CoV-2 possono arrivare a un soggetto suscettibile con diverse modalità:

(a) per contatto (fomite route) cadendo su superfici varie (anche computer, cellulare, maniglie, mani del soggetto infetto, ecc) e attraverso le mani del soggetto suscettibile possono raggiungere le mucose della bocca e poi delle vie respiratorie. Da qui l’importanza dell’igiene delle mani, della pulizia degli oggetti, di non toccarsi bocca, naso e occhi.

(b) per droplet-borne route a breve raggio con cui, anche mentre il soggetto infetto sta semplicemente parlando, raggiungono direttamente le mucose di bocca, naso, occhi del soggetto suscettibile (su queste gocce hanno in linea di massima efficacia anche le mascherine chirurgiche). Questa è la modalità di trasmissione delle gocce di dimensioni > 5 micron che per effetto della gravità, se non trovano qualcuno o qualche cosa che le intercetta direttamente, cadono entro un metro da chi le emette (ancora una volta importanza della distanza di sicurezza). La tosse però proietta FIG 5 queste gocce fino a 2 metri [nella figura 5: U0 = 10 m/s di velocità] e lo starnuto fino a 6 metri [nella figura 5: U0 = 50 m/s di velocità] Da qui l’importanza di schermare le emissioni dei soggetti potenzialmente infetti (quindi in caso di epidemia tutti) con fazzoletto, gomito, mascherina.

FIGURA 5: Droplet: distanza e velocità. Tratta da: [NOTA 9]

(c ) per aerosol a breve e largo raggio con cui le gocce più piccole, di dimensioni < 5 micron, possono raggiungere direttamente le mucose di bocca, naso, occhi di un contatto vicino (short range airborne route), ovvero le stesse sedi dei casi precedenti, anche a distanza ben > di 2 metri (long range airborne route) dopo essere restate in sospensione nell’aria.

È rilevante tenere a mente un particolare. Proprio l’aerosol, se inalato, raggiunge direttamente le basse vie respiratorie FIG 6; quindi se l’aerosol contiene virus infetto e vitale, e in grado dunque di trasmettere l’infezione, può essere responsabile per esempio di una rapida deposizione proprio nelle basse vie e forse determinare per queste ragioni i casi severi di COVID-19. E chi, lo stesso giorno, sta normalmente a breve distanza da più persone affette da COVID-19? Chi gira all’aria aperta facendo bella mostra di un respiratore facciale N95 o chi per lavoro deve accudire questi pazienti? [NOTA 10]

FIGURA 6: Misura delle gocce e area di deposizione nel tratto respiratorio. Fig C [NOTA 6]

6. Le cosiddette “incerte evidenze” sulla trasmissione per aerosol

Per il SARS-CoV-2, la trasmissione per aerosol a breve e a largo raggio è stata al centro di un serrato dibattito mediatico e scientifico. In parte anche un po’ per via delle ricadute pratiche che ha l’eventuale “scoperta” di questa via sulla scelta (e i costi) del DPI più adatto per gli operatori. L’aerosol non è intercettato se non in minima misura dalle mascherine chirurgiche, solo i respiratori facciali filtranti sono in grado di bloccarlo in percentuale rilevante. In realtà se guardiamo gli effetti delle giuste precauzioni sulla salute degli operatori sanitari, tutti dovremmo avere qualche dubbio in meno.
Per chi non lo avesse già visto, il consiglio è di osservare bene questo video [NOTA 11]. Vi sembra un caso che in questo ospedale nessun operatore sanitario si sia ancora ammalato? Qui le precauzioni per gli operatori vengono affrontate con misure logistiche esemplari. L’attenzione alle potenzialità infettive dell’aerosol sono altrettanto impeccabili, a cominciare dai dettagli cui solo persone che conoscono davvero il problema possono pensare: fate attenzione alle aree in cui il personale si sveste e le micro-particelle depositate nei fomiti possono risospendersi come aerosol e diffondersi tra gli operatori sanitari nel momento in cui sono meno protetti.
E allora cosa sappiamo davvero della trasmissione di questo virus al centro della nostra odierna attenzione? Sappiamo davvero molto.
Su contatto (fomite route) e trasmissione a breve raggio di gocce più grandi (large droplet-borne route) non ci sono dubbi. Ne restano invece, soprattutto alle grandi agenzie governative, sulla trasmissione per aerosol (airborne route) di entrambi i tipi. Si veda la Fig 7 per un nuovo riepilogo.

FIGURA 7: The three major transmission routes: Long-range airborne, close contact and fomite
Tratta dalla Fig 1 dalla fonte di [NOTA 12]

Le “raccomandazioni” circa i DPI da utilizzare ruotano tutte intorno alla mancata “dimostrazione certa” della trasmissione per aerosol (airborne droplet) ovvero le sue cosiddette “incerte evidenze”.
Un esempio di malattia “storica” per capire meglio: della tubercolosi sappiamo ormai bene che la trasmissione è esclusivamente per “airborne droplet”, ovviamente con maggiore carica a breve raggio Fig 7, e che per questa malattia tutte le precauzioni sulla “fomite route” sono quasi tutte superflue, ma il principio di precauzione aveva sempre obbligato a queste abitudini (invero poco costose per i sistemi sanitari, ma molto impegnative per le famiglie). Oggi però sappiamo che un semplice respiratore facciale (in era pre-pandemica molto economico) può evitare al medico il rischio di infezione tubercolare, e ciò nonostante questa conoscenza è raramente messa in atto nella pratica clinica. A dimostrazione che la disattenzione verso gli operatori sanitari è antica e non è una novità di questa pandemia, che pure l’ha fatta esplodere per la rilevanza di casi affetti tra gli operatori sanitari: i numeri della pandemia di queste settimane sono molto diversi da quelli della tubercolosi.

Perché i principi di precauzione non valgono nella realtà odierna? Talvolta si ha davvero l’impressione che l’unica trasmissione per aerosol, che perfino le grandi agenzie e gli organismi istituzionali come i “tavoli tecnici regionali” fingono di conoscere, sia quella descritta nei vecchi testi, cioè quella a distanza, ovvero le goccioline che saturano la stanza e di cui, per liberartene, non hai alternative a una salutare “corrente” per arieggiare bene tutto l’ambiente, e che le prove che cercano siano proprio solo quelle di questa “airborne route”. Oltre a prove epidemiologiche che dimostrino che la trasmissione avviene prevalentemente in quel modo. Nessuno invece sembra interessarsi come possibile fonte di contagio dell’airborne route a breve raggio e delle prove epidemiologiche indistinguibili da quelle di tutte le altre vie di trasmissione a breve raggio.
Si è detto di tutto ma in realtà l’airborne trasmission è quasi del tutto sconosciuta ai più e il suo ruolo in tutte le forme di trasmissioni “accettate” è largamente misconosciuto. Si guardi a questo utilissimo riepilogo [FIG 8] l’airborne route contribuisce in modo rilevante a tutte le forme di trasmissione “accettate dalle evidenze”. E allora vogliamo ignorarla? Solo fin quando non troviamo il virus dentro l’aerosol? Va bene. E adesso lo hanno anche trovato [si veda il paragrafo successivo]

FIGURA 8: Effetti della “Close range airborne trasmission” e della “long range airborne trasmission” sulla formazione dei “fomite” [NOTA 13]

Prima però un’ultima riflessione: le sole indagini epidemiologiche non potevano distinguere quest’ultima modalità dalla classica trasmissione ravvicinata per droplet. La convinzione che solo le grandi droplet si ritrovino vicino al paziente e le microdroplet lontano è stata abbandonata:
“It has since been shown that both small and large particles can exist at short distances from the patient, and that aerosolised transmission can occur at close proximity. […] transmission is more complex than assumed by traditional classifications […] both large and small droplets are present close to the patient, and that aerosol transmission may occur for presumed “droplet” infections. Respirators are designed to provide respiratory protection through filtration and fit, and properly fitted respirators provide better protection compared to medical masks.” [NOTA 14]

Ancora più chiaro il commento recentissimo di Donald Milton (lo stesso autore citato nella nota 6) a proposito della distinzione OMS tra “droplet trasmission” e “airborne trasmission”:
“I think the WHO is being irresponsible in giving out that information. This misinformation is dangerous, if it’s ‘close contact,’ then it’s not airborne! That’s baloney. When epidemiologists are working in the field, trying to understand an outbreak of an unknown pathogen, it’s not possible for them to know exactly what’s going on as a pathogen is spread from person to person. Epidemiologists cannot tell the difference between droplet transmission and short-range aerosol transmission.” [NOTA 15]

7. Incertezze o Evidenze?

In realtà le evidenze cominciano ad essere molto solide (altro che incertezze) sul piano del ritrovamento del virus perfino all’interno di stanze di degenza e negli spogliatoi dei medici [NOTA 15b]. Ricordate quello che avevamo scritto dell’ospedale di Napoli? Il vecchio paradigma di trasmissione dell’infezione da SARS-CoV-2 adottato ancora oggi dall’OMS e dalle grandi agenzie governative è stato meticolosamente analizzato e letteralmente demolito in uno splendido articolo di questi giorni [NOTA 16].

Si erano trascurate le numerose evidenze che provenivano da altre specialità già da alcune settimane. Per esempio:
(a) la sopravvivenza di questo virus vitale nelle gocce di aerosol sperimentalmente indotto [NOTA 17]
(b) l’accertata dimostrazione che tutti i virus respiratori compresi anche i Coronavirus sono presenti nell’aerosol di pazienti affetti [NOTA 18]

Negli ultimi giorni le criticità su cui puntavano i fautori dell’incertezza sono parzialmente mutate:
(a’) non conosciamo la carica virale in grado di determinare la malattia
(b’) la dimostrazione della sopravvivenza in forma vitale del virus è stata realizzata solo con aerosol sperimentale e non in vivo [NOTA 17]
(c’) nelle microdroplet emesse da un soggetto infetto non è mai stata dimostrata la presenza di virus SARS-CoV-2.

La “prova” che portava alla negazione dell’esistenza della modalità di contagio per aerosol erano gli studi iniziali condotti in Cina nell’aria delle sale degenza e nelle intensive di pazienti COVID-19 che non avevano mai dimostrato la presenza di virus SARS-CoV-2 in quelle sale (soltanto nelle ventole degli aeratori!) [NOTA 20].
E adesso? Sarà sufficiente la dimostrazione della presenza del virus nelle microdroplet rinvenute nell’aria delle stanze di pazienti COVID-19? [NOTA 19] Certamente no, servirà la prova della replicazione virale. Arriverà.
E i respiratori filtranti facciali quando li useremo: a prove consolidate? Quando sarà possibile farlo? Alla fine della pandemia?

Certo ancora oggi non si hanno dati sulla carica infettante necessaria per il contagio, ma questo vale appunto per tutte le modalità di trasmissione.
E siamo proprio sicuri che non ci riguardi anche una piccola carica virale ben depositata nelle vie aree inferiori attraverso la trasmissione per aerosol?
A fronte della strage di questi mesi, la storia non ci insegna niente, neppure un pochino di “principio di precauzione”?

Tutte le criticità venivano ricondotte sempre alla airborne long-range route. Ma non era piuttosto intuitivo capire che (c’) non era una vera prova mancante e che tutto poteva dipendere da circostanze molto specifiche dell’ambiente studiato, per esempio meccanismi che aspirino l’aria in queste stanze anche se spenti al momento dell’esperimento? Non si aveva chiara l’indubbia difficoltà di dimostrare la presenza del virus in quelle minuscole e instabili gocce? E in ogni caso questa “mancanza di prove” (che adesso è venuta meno) si riferiva ancora una volta alla long-range route e non alla short range route, sempre ignorata.

Quali evidenze servono per accettare finalmente e senza “incertezze” il pericolo che la letteratura internazionale ha reso ormai chiaro nell’incontro ravvicinato con pazienti COVID-19 di ogni tipo? Pazienti che nel loro albero respiratorio hanno cariche virali molto alte e che emettono, come tutti gli esseri umani, aerosol persino senza sintomi, per non parlare di quando sono sintomatici? La mancanza di prove della trasmissione per aerosol è stata in qualche modo tirata in ballo anche per spiegare le ragioni per le quali un asintomatico infetto non dovrebbe poter emettere goccioline infette. Dimenticando che, con la semplice conversazione, anche un paziente asintomatico genera aerosol e che, per capacità di diffondersi alle basse vie di chi gli sta vicino, questo aerosol è pericoloso quanto quello di tosse e starnuti.
Quanto alla contagiosità degli asintomatici sono arrivate le prove epidemiologiche dei primi studi fatti su campioni di popolazione [NOTA 21]. E cosa emettono gli asintomatici, che non tossiscono e non starnutiscono, se non e semplicemente aerosol fisiologicamente prodotto? Quello che genera qualsiasi essere umano nella sua vita normale in atti fisiologici come respirare o conversare con altri esseri umani.
Le linee guida ad itinere non dovrebbero basarsi sul principio di precauzione?
Ci torneremo in dettaglio nel prossimo articolo, qui però vale la pena ricordare un altro grave esempio storico che ha avuto al centro delle responsabilità degli organismi internazionali proprio la negazione del principio di precauzione.

8. Il 2003 e la SARS: bisogna proprio ripetere gli stessi errori?

Cosa significa l’incertezza attuale dal punto di vista pratico? Lo si capisce facilmente se si ricorda che cosa è successo con la SARS.
Anche durante la pandemia di SARS del 2003 la modalità di trasmissione per aerosol era considerata dubbia, ma nell’incertezza già le linee guida ad interim del CDC raccomandavano fortemente l’utilizzo di respiratori N95 agli operatori sanitari a contatto con malati o sospetti tali.
Anche in quella occasione le linee guida dell’OMS erano tranquillizzanti e così nel 2003 gli operatori sanitari erano il 21% dei casi di SARS nel mondo, sino al 43% dei casi in Canada.
Come è possibile ignorare la somiglianza biologica, clinica, epidemiologica dell’attuale virus SARS-CoV-2 con il virus SARS-CoV della SARS del 2003?

A differenza di quelle dell’OMS le linee guida del CDC sulla SARS consideravano la trasmissione attraverso aerosol (microdroplet) incerta ma possibile e raccomandavano comunque per gli operatori sanitari l’uso dei respiratori: “The transmission of SARS appears to occur predominantly by direct contact with infectious material, including dispersal of large respiratory droplets. However, it is also possible that SARS can be spread through the airborne route. Accordingly, CDC has recommended the use of N95 respirators, consistent with respiratory protection for airborne diseases, such as tuberculosis.” [NOTA 22]

Solo a fine epidemia, finalmente l’ovvia verità: un documento stilato congiuntamente dalle maggiori organizzazioni sanitarie internazionali con l’analisi dei dati di tutti i paesi con casi SARS ricordava: “Nel 2003 gli operatori sanitari erano il 21% dei casi di SARS nel mondo, in Canada il 43% dei casi si sono verificati in operatori sanitari. […] In un ospedale di Toronto prima del riconoscimento della SARS tra i primi pazienti ricoverati la percentuale di casi tra il personale sanitario è stata in unità intensiva 10%, nell’area di emergenza 22%, e nel reparto di cardiologia del 60%.” Questo documento ribadisce l’importanza dell’utilizzo dei respiratori e di mantenere alta l’aderenza a tutte le raccomandazioni per la prevenzione della diffusione. [NOTA 23 & FIG 9 nella stessa nota].

Infine un’utile tabella per ricordare le raccomandazioni sulla prevenzione della diffusione di malattie infettive in base alla modalità di diffusione. Per la SARS considera tutte e tre le modalità di trasmissione e raccomanda di indossare i respiratori N95 o higher non solo nelle procedure che generano aerosol. [NOTA 24 & FIG 10 nella stessa nota]

9. I “NUMERI” finali

In Italia già adesso [NOTA 25] ci sono evidenze consolidate della letalità e della enorme suscettibilità degli operatori sanitari alla COVID-19, anche di quelli più avvezzi alla protezione con DPI. E questo per ovvie ragioni, dalla disattenzione alla logistica alla carenza/assenza di DPI adeguati. Drammaticamente alta la percentuale di personale sanitario infetto operante in ospedale e nel territorio tra i casi COVID-19 FIG 11

Non solo gli esempi più noti, come la percentuale molto alta registrata in Lombardia, ma anche eventi sentinella passati quasi del tutto inosservati, come le percentuali raggiunte in Sardegna: 122 operatori sanitari tra i 292 casi: 42% [dati dal bollettino ISS del 19–26 marzo 2020]. Per lo stesso evento sentinella i dati odierni parlano di 216 casi tra i 635 infetti [dati dal bollettino ISS del 3 aprile 2020].
Il bollettino ISS ci aggiorna periodicamente [NOTA 25] di questo dramma nel dramma.

Conclusioni

Non si possono dimenticare le responsabilità istituzionali che hanno determinato questo stato di cose [NOTA 26]. Ancora più grave è decidere di ripetere esattamente gli stessi errori nonostante il cumulo di evidenze in nostro possesso e la somiglianza biologica, clinica, epidemiologica dell’attuale virus SARS-CoV-2 con il virus SARS-CoV della SARS del 2003.
Nel corso di una malattia virale respiratoria severa, come la COVID-19, dovendo stilare le linee guida ad interim per la scelta dei DPI da raccomandare al personale sanitario, si dovrebbe considerare, almeno sino a prova contraria, la trasmissione con aerosol (droplet < 5 micron). Questo asserisce con estrema ragionevolezza il dr Tang in un dibattito tra scienziati sulla posizione dell’OMS tenutosi su Nature del 2 aprile. Semmai l’assunzione di principio avrebbe dovuto essere sin dall’inizio a favore della possibilità della “airborne transmission” a meno di una esclusione certa delle evidenze sperimentali disponibili; non il contrario [NOTA 27].
Gli operatori sanitari non possono essere trattati come soldati al fronte in una guerra in cui il loro destino è già segnato. In emergenza, come in guerra, c’è una parola chiave da seguire: “obbedienza”. Ma quando chi ha il compito istituzionale di comandare mostra chiari segnali di incapacità all’attitudine di comando, allora diventa ancora più importante la parola chiave “disobbedienza”.
Le responsabilità istituzionali sono state e sono gravissime; in assenza di voci collettive che denunzino la gravità della situazione, le decisioni finali non possono che essere individuali:
- nessun operatore sanitario, secondo i suoi fattori di rischio personali (età o patologia cronica) o delle condizioni logistiche in cui dovrebbe operare, può ricevere l’ordine di suicidarsi.
Magari preceduto da quello ancora più vigliacco, emanato in queste ore in UK: “NHS staff forbidden from speaking out publicly about coronavirus” [NOTA 28].
Vigliacco perché palesemente destinato a proteggere i gravi errori istituzionali verificatisi anche in quel paese. Ordine che noi come italiani “ci siamo ancora risparmiati” solo ed esclusivamente per effetto della guerra tra governo centrale e governatori periferici. Proprio quella guerra che ha ridotto in ginocchio in questi anni il nostro SSN e ha lasciato gli operatori sanitari assolutamente inermi perché privi di qualsiasi protezione, ad affrontare la pandemia di questi giorni.
In tutto questo, in linea con la consueta indifferenza alla realtà dei fatti, gli “esperti” di due opposte “posizioni scientifiche”, si affrontano senza alcun pudore sui media e persino nella letteratura scientifica [NOTA 29] per decidere se per strada o nei luoghi chiusi la gente comune debba o no indossare mascherine chirurgiche. Anche su questo è facile rispondere e lo faremo al momento giusto: quando VIP, politici ed esperti… un giorno, magari a pandemia chiusa, smetteranno per sempre di indossare mascherine in TV come “REGGI MENTO” [NOTA 30].
Intanto una piccola proposta di legge di iniziativa popolare: si finanzino i DPI per gli operatori sanitari con 50.000 Euro di multa a chi continua ad offrire questo indegno spettacolo quotidiano, del tutto indifferente ai “NUMERI” di cui “non si conoscono le cause”.
La responsabilità penale di questo comportamento è del tutto evidente, ma il legislatore, come di consueto, non si accorge di nulla. Esattamente come per i “piani pandemici” tenuti nei cassetti da chi aveva l’obbligo di tirarli fuori ed è responsabile della strage di questi giorni.

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Maria Grazia Lunetta
COVID-19 INFO START|FINISH

Pediatra a Palermo. Partecipo alle attività della comunità di pratica webm.org