Il Lavorante

Andrea Di Simone
Narrativa in Italiano
17 min readMay 13, 2014

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John stava volando in prossimita’ di Giove. Adorava Giove, la sua maestosita’, quell’occhio rosso che si muoveva, pacato e turbinoso allo stesso tempo. Mentre era al lavoro passava spesso del tempo li’, sospeso nel vuoto, ad una distanza che gli permettesse di avere una visuale completa dell’enorme mole gassosa.

Semplicemente se ne stava la’ a guardarlo. Di solito andava senza vestiti: gli piaceva sentire il freddo dello spazio sulla sua pelle, o almeno quella parte della sensazione di freddo che raggiungeva la sua coscienza.

Di tanto in tanto qualche detrito lo trapassava il suo corpo, ma anche questo veniva automaticamente attutito, in modo da permettergli di continuare in tutta tranquillita’ a rilassarsi, mentre procedeva nella sua orbita attorno al gigante del Sistema Solare.

Si accorse che gradualmente tutto attorno a lui diventava piu’ luminoso. Il cielo da nero andava facendosi pian piano grigio, fino ad arrivare ad un bianco quasi accecante. Sapeva cosa stava per succedere…

All’improvviso si trovo’ seduto alla sua postazione: il turno di lavoro era terminato, ed il suo neurochip era stato disconnesso dal sistema che forniva alla sua mente i dati sensoriali artificiali. Ci sarebbe voluto ancora qualche secondo prima di poter riprendere il controllo del suo corpo.

Nel frattempo, osservo’ le sue mani che, precise e delicate come solo un umano puo’ essere, ma veloci come solo il controllo di un computer puo’ permettere, assemblavano i componenti elettronici di un’interfaccia per neurochip. Era l’ultimo grido in fatto di gadget tecnologici: poteva collegarsi con gran parte dei modelli di neurochip esistenti, anche i piu’ vecchi, permettendo oltre alle funzioni base (controllo motorio e stimolazione sensoriale), anche operazioni tra le piu’ avanzate, come l’interazione con un Sognante.

Le sue mani smisero di lavorare sull’ultimo pezzo di quella giornata, scollegarono i tubi che avevano fornito al suo corpo il nutrimento necessario durante il periodo di operativita’ controllata, e si misero a riposo sulle sue gambe. Un leggero formicolio sulla nuca era il consueto segnale che indicava che il computer della fabbrica stava per restituire al cervello il controllo del corpo. Con un rumore schioccante, il braccio meccanico dell’interfaccia si scollego’ dal neurochip, lasciando libero lo spinotto sopra l’orecchio sinistro di John. Lentamente, con le mani di nuovo sotto il suo controllo, ma esauste per il lavoro, John posiziono’ l’apposita copertura sullo spinotto per proteggerlo da polvere e umidita’, e nascose il tutto con i capelli. Si alzo’ e si avvio’ verso l’uscita.

Sua moglie lo stava aspettando a casa. Nel parcheggio, invece, lo aspettava la sua macchina: si sedette e collego’ rapidamente il computer di bordo al suo neurochip. Alcuni trovavano ancora piacevole la guida manuale, e anche lui un tempo non disdegnava la sensazione che si prova stringendo in mano un volante, il corpo schiacciato contro il sedile dall’accelerazione. Nei periodi in cui era di turno alla fabbrica pero’, i suoi muscoli erano decisamente troppo provati dalle dieci ore di lavoro ininterrotto (anche se indubbiamente corroborati da quella roba che gli iniettavano nel corpo) per potersene fidare al punto da guidare una macchina. Percio’ semplicemente lascio’ al computer il controllo del suo corpo e prese lui il controllo della macchina. Era come essere la macchina. Sentiva il vento sulla carrozzeria, la potenza del motore, captava le altre macchine intorno a lui. Bastava che guardasse in una direzione perche’ la macchina docilmente vi si dirigesse. Di accelerare o frenare ovviamente non ce n’era bisogno.

Dal parcheggio si immise direttamente in una delle superstrade sotterranee che, a raggiera, collegavano il centro con la periferia. La fabbrica dove il suo corpo lavorava era abbastanza rinomata, detentrice di diversi brevetti all’avanguardia, e quindi poteva permettersi uno stabilimento relativamente vicino al centro cittadino. Mentre questo aumentava certamente il prestigio della compagnia, di fatto rendeva la vita piu’ difficile ai suoi impiegati, che, come quasi tutti i Lavoranti, potevano permettersi solo un alloggio in periferia. Per fortuna quella sera non c’erano molte macchine in giro, e in venti minuti arrivo’ a casa.

Non che di solito ci fosse traffico: a questo pensava la Regolazione del Traffico, che imponeva automaticamente la velocita’ di crociera alle vetture in modo da mantenere la circolazione fluida. Ciononostante non mancava mai qualche sprovveduto che volesse a tutti i costi provare la guida manuale quando il suo corpo non era in grado di sopportarla, oppure qualcuno che in stato confusionale decidesse di escludere il pilota automatico e connettere il proprio neurochip alla macchina. In questi casi la conclusione era sempre la stessa: una vettura schiantata contro una parete e carreggiata parzialmente impraticabile, con velocita’ ridotta per tutti gli sfortunati che percorressero in quel momento quel tratto di strada.

Il malcapitato quasi sempre ci lasciava le penne, ma si trattava per la maggior parte di Lavoranti, quindi non era un grosso problema. Ovviamente la faccenda era molto diversa se a perdere il controllo della vettura era un Sognante. In quel caso arrivava addirittura la polizia per controllare che si trattasse veramente di un incidente. Quelle (rarissime) volte in cui poi moriva un Curvante, la superstrada restava chiusa per giorni per accertamenti.

Finalmente a casa. La porta dell’appartamento si apri’ automaticamente, dopo aver rapidamente letto l’impronta mentale che il neurochip aveva trasmesso via etere su richiesta. Dentro c’era Anne, sua moglie.

Si erano conosciuti nove mesi prima, quando entrambi avevano fatto domanda per un partner alla Gestione Rapporti Personali. Dopo un’approfondita analisi psicologica ed un attento studio del loro DNA, la Gestione aveva concluso che non solo sarebbero stati una coppia affiatata, ma dalla loro unione c’erano altissime probabilita’ di ottenere un Sognante. Un Sognante per figlio! Avrebbe significato finalmente un posto di rilievo nella societa’.

I Normali avevano ormai da tempo adottato una politica di scrupoloso bilanciamento dei Talenti dei nascituri. Servivano un gran numero di Lavoranti, ovviamente. L’idea di costruire macchine che sostituissero il lavoro umano era stata abbandonata da diversi decenni. Il passo decisivo in questa direzione fu l’invenzione del primo neurochip, che consenti’ di interfacciare il cervello umano con un computer per lo scambio reciproco di dati. Le ricerche si intensificarono allora soprattutto nell’ambito della realta’ virtuale, ma un tenace gruppo di scienziati si concentro’ invece sul controllo motorio. Sembrava pero’ che il cervello umano fosse stranamente restio a cedere il controllo del proprio corpo. Gli studi stavano ormai arenandosi, quando finalmente venne scoperto il primo Lavorante. Un’anomalia genetica consentiva ad uno speciale neurochip di assumere il completo controllo delle funzioni del suo corpo, mentre il cervello poteva essere tenuto in stato di sonno, oppure stimolato con sensazioni artificiali.

Quella scoperta segno’ la piu’ grande svolta nella storia dell’umanita’. Ben presto il fattore genetico che rendeva i Lavoranti cosi’ speciali venne identificato, e la Gestione Rapporti Personali venne incaricata di predisporre unioni appositamente studiate per trasmettere alla prole questa preziosissima abilita’. Ormai i Lavoranti erano la maggior parte della popolazione, anche se una piccola percentuale delle unioni veniva ancora pianificata in modo da dar luogo a individui senza alcun Talento (i Normali, appunto) che si sarebbero occupati della gestione attiva della societa’.

C’erano poi i Talenti rari.

Da che mondo e’ mondo, c’era sempre stato qualche ciarlatano che diceva di essere in grado di leggere i pensieri, o di predire il futuro. L’invenzione del neurochip rese definitivamente possibile smascherare gran parte di questi truffatori. Allo stesso tempo pero’ si scopri’ che nei cervelli di alcuni di questi “ciarlatani” avvenivano veramente dei processi anomali.

Uno studio approfondito su un gruppo di sedicenti telepati porto’ alla scoperta del primo dei Talenti rari: quello che poi sarebbe stato chiamato un Sognante. In questi particolari individui, il cervello aveva sviluppato la capacita’ di percepire, seppur debolmente, i campi elettromagnetici prodotti dall’attivita’ cerebrale di altre persone, e di trasmettere a sua volta segnali. Purtroppo il cervello umano non si era evoluto per esser usato come ripetitore o antenna, quindi l’efficienza della ricezione e della trasmissione era cosi’ bassa, e la potenza del segnale cosi’ debole, da escludere qualsiasi uso pratico dei Sognanti.

Questo fino a quando a qualcuno non venne in mente di produrre un neurochip leggermente modificato: invece di interfacciare informazioni digitali (provenienti dal computer) con informazioni analogiche (proprie del cervello umano), il nuovo modello interfacciava direttamente due sistemi analogici, cioe’ due menti umane. Un Sognante poteva cosi’ collegare con un cavo il proprio neurochip a quello di un’altra persona ed usare il proprio Talento per tramettere/ricevere direttamente nel cervello ricevente.

Le prime applicazioni riguardarono la lettura del pensiero, in particolare in campo giudiziario, ma il vero potenziale dei Sognanti si rivelo’ a pieno solo piu’ tardi, nel campo della realta’ virtuale. I computer erano da tempo in grado di presentare scenari naturali anche molto complessi e di simulare pressoche’ qualunque sensazione che il cervello umano potesse ricevere, ma restavano incredibilmente carenti nella simulazione di individui umani. Se ci si accontentava di volare attorno a Giove, un computer poteva andar bene, ma se si voleva simulare un incontro con una persona… beh, non si era ancora trovato un software in grado di riprodurre in maniera realistica il comportamento umano. A questo punto entrarono in gioco i Sognanti. La mente umana infatti e’ sempre stata in grado di simulare il comportamento di altre menti, proprio nei sogni.

All’inizio i Sognanti si connettevano con altre menti mentre dormivano, e trasmettevano i propri sogni. Mano a mano si svilupparono tecniche di concentrazione e trance che permettevano non solo di sognare quando lo si volesse, ma anche di decidere cosa sognare. Questo fece si’ che presto i Sognanti divenissero gli individui piu’ ricercati e meglio pagati del mondo. Per loro fortuna, il loro Talento era estremamente raro, e difficile da produrre, anche con i potenti mezzi di cui disponeva la Gestione. Per diverse decine di anni i Sognanti occuparono insomma la vetta della societa’.

Almeno fino a quando non venne scoperto il primo Curvante.

La sua casa era in un tranquillo quartiere residenziale, di livello medio-alto. Non avrebbe potuto permettersela col suo solo stipendio, ma la Gestione Rapporti Personali preferiva che i futuri Talenti rari crescessero in un ambiente pulito, sicuro e benestante, quindi non era raro che fosse la Gestione stessa a procurare alloggi alle coppie di potenziali genitori.

A loro era andata abbastanza bene: erano in una graziosa palazzina con altre quattro famiglie. Ogni appartamento aveva addirittura un piccolo giardino. I vicini erano simpatici, e non poteva essere altrimenti dato che la Gestione controllava l’affinita’ dei nuovi arrivati con il gruppo gia’ esistente prima di assegnare la casa. Dentro c’era Anne, che, col neurochip collegato all’unita’ di intrattenimento, seguiva il suo programma preferito. L’unita’ la avverti’ che John era tornato e lei si scollego’ per salutarlo.

“Com’e’ andata oggi?”

“Giove, come al solito”

“Dovresti cambiare simulazione ogni tanto… perche’ non provi qualche bel paesaggio montano?”

“No, lo sai che preferisco lo spazio”

“Ok, ma allora almeno prova anche l’alba su Mercurio, o il centro della galassia”

“Mah, non saprei… Giove mi sembra piu’ rilassante. Ho una fame incredibile! Ti va di cenare subito?”

“Certo, come vuoi. E’ gia’ tutto pronto”

I rapporti con Anne erano molto buoni. La Gestione raramente sbagliava nell’assortire una coppia, e dopo qualche giorno dal loro primo incontro era gia’ nato un certo affiatamento, che ormai si era trasformato in un profondo affetto.

Si stavano per sedere a tavola, quando improvvisamente Anne si immobilizzo’, fissando pallida un punto dall’altra parte della stanza. John segui’ il suo sguardo, e quello che vide gli fece gelare il sangue.

L’aria sembrava tremolare, cambiare spessore, era come se li’ nella loro sala da pranzo ci fosse una lente di ingrandimento che deformava l’immagine della parete retrostante. Ne’ John ne’ Anne erano degli stupidi: sapevano bene quale fosse l’unica cosa in grado di produrre quell’effetto.

Dopo la scoperta dei Sognanti, le ricerche sui cosiddetti fenomeni paranormali si intensificarono, ma senza grandi risultati. Il piu’ snobbato dei filoni di ricerca era quello sulla chiaroveggenza, per ovvi motivi. Eppure fu proprio da li’ che venne l’ultima (e la piu’ grande, fino a questo momento) scoperta nel campo dei Talenti rari. Alcuni dei soggetti esaminati sembravano veramente in grado di estendere la propria consapevolezza a punti del tempo nel futuro. La capacita’ era innata e, come pure per i Sognanti, incredibilmente debole al suo stato naturale.

La sola idea che il viaggio nel tempo fosse possibile pero’ fece si’ che una valanga di finanziamenti si riversasse su quelle ricerche. In pochi anni, attente misurazioni rivelarono una cosa sbalorditiva: i nuovi Talenti erano in grado di perturbare il tessuto stesso della realta’ intorno a loro. La loro mente era cioe’ in grado, con meccanismi tuttora completamente ignoti, di curvare lo spazio-tempo. La curvatura che un Curvante riusciva ad imporre allo spazio era naturalmente debolissima, a causa dell’energia (per forza di cose molto limitata) che la sua mente aveva a disposizione. Tuttavia, con un apposito neurochip ed una fonte di energia adeguata…

In breve tempo i Curvanti rivoluzionarono completamente la societa’ umana in maniera molto piu’ profonda di quanto i Sognanti avessero fatto. Improvvisamente si apri’ la possibilita’ di viaggi interstellari, limitati solamente dalla disponibilita’ di Curvanti e dalla loro volonta’ di collaborare. La seconda difficolta’ fu facilmente superata dai Normali semplicemente ritoccando qui e la’ i diritti civili attribuibili ad un Curvante, in modo che ora i Curvanti erano da una parte gli individui piu’ benestanti del pianeta, dall’altra gli unici che non potevano mai smettere di lavorare.

Anche la definizione di “lavoro” nel caso di un Curvante era in realta’ un po’ da rivedere: la curvatura dello spazio veniva effettuata a livello totalmente inconscio. Questo significava che tutto quello che un Curvante doveva fare era connettersi al computer di bordo della sua nave e cedergli il controllo delle sue capacita’. Essendo funzioni inconscie, l’effetto sulla sua consapevolezza era pressoche’ nullo: in pratica i Curvanti dovevano solo essere fisicamente presenti sulla nave, collegarsi via etere al computer, e poi andarsene a passeggio, dormire, fare insomma quello che volevano (tranne, ovviamente, uccidersi). Il computer avrebbe attinto l’energia necessaria dai motori, incanalandola nel loro Talento per potersi muovere nell’universo senza alcun limite di velocita’. L’unico neo di questo scenario era l’estrema rarita’ dei Curvanti: il Talento era a tutt’oggi impossibile da fissare geneticamente, ed appariva praticamente a caso nella popolazione.

Mentre il viaggio spaziale fu subito sviluppato, la potenzialita’ piu’ affascinante dei Curvanti (cioe’ il viaggio nel tempo) restava ancora, per ironia della sorte, un mistero, e in nessun modo si era riusciti a trasferirne il controllo ad un computer, ne’ a collegarla ad una fonte di energia esterna.

Quello che John e Anne stavano vedendo in salotto era il tipico effetto generato dalla mente di un Curvante attorno alla sua nave.

Improvvisamente, lo spazio che si era curvato fino a sembrare quasi una bolla di vetro, si riempi’ di una luce abbagliante, e poi torno’ perfettamente liscio e spento. Insomma normale.

Dove poco prima c’era stata la sfera luminosa pero’ giaceva ora immobile un essere umano. John era troppo sconvolto per l’accaduto, e forse anche troppo provato dalle molte ore di lavoro. Fatto sta che fu Anne a prendere l’iniziativa. Si avvicino’ lentamente alla figura esanime, e le sfioro’ un polso per sentirne il battito.

“Sembra un uomo. E’ vivo.”

“Voltalo!”

Anne lo giro’ supino, e finalmente videro la faccia dell’intruso. Un viso del tutto normale, come se ne vedono molti in giro. Cio’ che maggiormente colpi’ Anne e John fu il suo abbigliamento: non avevano mai visto modelli simili ne’ dal vivo ne’ in simulazione, e perfino i materiali gli erano per la maggior parte sconosciuti.

“A giudicare da come e’ apparso, deve essere un Curvante. Non c’e’ da stupirsi che si serva in boutiques diverse dalle nostre…”

“Un Curvante?”, chiese Anne, “E da quando in qua i Curvanti se ne vanno a spasso liberamente per la citta’? Dove avrebbe lasciato la sua nave?”

“Non so che dirti… hai visto anche tu il lampo?”

“Gia’… da quel che ne so io i Curvanti possono solo spostare gli oggetti, mica li fanno apparire dal nulla in un lampo di luce”

“Magari e’ una variante del Talento standard”

“Gia’, magari e’ cosi’. Comunque sembra solo svenuto. Penso che si riprendera’ presto. Mi dai una mano a metterlo sul divano?”

In due riuscirono a sollevarlo e a spostarlo in salotto. Anne gli stava bagnando la fronte con un panno inumidito, quando inizio’ a muovere la testa e a sussurrare qualcosa. Dopo poco apri’ gli occhi e si guardo’ attorno.

“Ci sono riuscito…”

“Salve, mi chiamo John, e vorrei sapere che ci fa in casa nostra…”

“Io sono Anne. Non faccia caso a John. Come si sente?”

“Ci sono riuscito…”

John e Anne si scambiarono un rapidissimo sguardo.

“Perche’ non ci dice come si chiama, tanto per cominciare?” chiese Anne, dolcemente.

“Mi chiamo Mark. Mi dispiace di essere piombato qui da voi in questo modo. Tolgo subito il disturbo”.

Fece per alzarsi, ma le gambe gli cedettero all’improvviso.

“Io direi che il disturbo non lo potra’ togliere ancora per qualche ora”, fece Anne mentre John la aiutava a sostenerlo. “Mettiamolo giu’ di nuovo”.

“Il viaggio deve avermi provato piu’ del previsto, mi dispiace. Non e’ che per caso…”

“Stia tranquillo Mark, vado a vedere cosa abbiamo in cucina”

“Grazie, Anne, e’ molto gentile”

In un batter d’occhio Anne era di ritorno con un panino ed un bicchiere di latte, che Mark ingurgito’ in tempo da record.

“Grazie, va molto meglio adesso”

“Allora magari potrebbe darci qualche spiegazione…”

“Ha ragione John, direi che ve ne devo almeno un paio…”

“Lei è un Curvante?”

“Sì, immagino che a questo punto sia difficile da nascondere”

“Cosa ci fa qui?”

“Si tratta sicuramente di un errore. Sarei dovuto finire in uno spazio

aperto, senza nessuno in giro. Mi dispiace. Che giorno è oggi?”

Dopo uno sguardo perplesso Anne e John gli dissero la data.

“Almeno questo è giusto” disse Mark, visibilmente sollevato.

“Cosa intende dire?”

“Beh, posso essere sincero con voi, tanto ci sono altissime probabilità che mi prendiate per pazzo e vi dimentichiate di me tra qualche settimana… Io vengo dal futuro. Trent’anni, due mesi e ventun giorni, per la precisione”

“Questa poi!”, fece Anne.

“Certo, come ho fatto a non pensarci?” continuò John con un tono a metà tra il polemico e l’ironico. “Viene dal futuro, ed è stato così impegnato a concentrarsi sull’istante nel quale voleva apparire, che si è dimenticato di stare attento a non finire nella sala da pranzo di qualcuno…”

“Beh, in realtà ci sono stato molto attento, è solo che si tratta di una tecnica ancora sperimentale…”

“Sperimentale? Perché sperimentale?”

“Beh, sapete… il viaggio nel tempo..”

“Continui, voglio proprio sentirglielo dire!”

“Ok, il viaggio nel tempo è la più elusiva tra le potenzialità dei

Curvanti…”

“Non ci siamo ancora, Mark. Non è semplicemente una potenzialità elusiva, come dice lei. La verità è che non affatto è una potenzialità. E’ un sogno, un miraggio, una favola per bambini! Perciò ora ci faccia il piacere di piantarla di prenderci in giro e ci dica la verità. Oppure non ci dica nulla, che è meglio.”

John non sapeva se essere arrabbiato o divertito dalla sfacciataggine di questo tipo che non solo gli era piombato in casa come se niente fosse, ma pensava anche di poterli prendere per i fondelli a piacimento. Mark pero’ non sembrava per nulla imbarazzato. In realtà pareva divertito dalla reazione di Anne e John. Continuò a spiegare.

“Io sono il primo del mio tipo. Per quelli come me non c’è neppure ancora un nome. Nel mio tempo, intendo. Figuriamoci nel vostro… Quando i Normali scoprirono il mio Talento persero la testa. Ero esattamente il tassello che mancava loro per diventare imbattibili.”

“Imbattibili? Ma di che sta parlando?”

“Mi dica un po’, John: lei che ne pensa dei Normali?”

“Quello che ne pensano tutti, ovviamente. Sono meno fortunati di noi, visto che non hanno ricevuto alcun Talento. Tuttavia anche loro hanno trovato un loro posto nella società: ci sono un sacco di compiti, per lo più di servizio, per i quali non occorre avere un Talento, e ai Normali permettiamo di occuparsene.”

“Compiti di servizio! Questa è proprio bella! E sareste voi, nella vostra magnanimità che permettereste loro di occuparsene?”

John ed Anne di nuovo si guardarono, perplessi.

“E non vi è mai passato per la testa che, magari, sono loro a costringere voi Talenti a servirli?”

Solito sguardo, stavolta seguito da un fragorosa risata.

“Sì, ridete, voi! John, mi dica un po’, quanti Normali conosce di persona?”

“Nessuno di persona, ma…”

“E tra quelli di cui ha sentito parlare, quanti svolgono un compito che sia meno che dirigenziale?”

“Ora non me ne viene in mente nessuno, eppure…”

“Eppure cosa? Mi sta dicendo che per quanto ne sa lei i Normali hanno in mano le redini della società, e che voi glielo consentite perché siete buoni? Ma andiamo! Anne, John, sinceramente: se un alieno venisse a descrivervi una società come la vostra, cosa ne pensereste?”

Dopo qualche istante di silezio, fu Anne a prendere la parola.

“Certo le apparenze sembrano darle ragione, ma deve ammettere anche lei che quello che dice non sta né in cielo né in terra. Noi non siamo sfruttati, Mark, e lo sa benissimo anche lei. Ognuno fa ciò che è più portato a fare, e la Gestione si assicura che non ci siano squilibri tra bisogno e disponibiltà di esseri umani con un certo Talento. Siamo felici. Ognuno sa qual è il suo posto nel mondo, e ci si trova più che bene. A nessuno manca da mangiare, o il divertimento, o un partner da amare, o una famiglia di cui occuparsi. Insomma Mark, se un alieno le parlasse di una società come quella che le sto descrivendo io, cosa ne penserebbe? Una tirannia, oppure il paradiso?”

“Un formicaio” rispose Mark, la rabbia che cedeva il posto alla tristezza. “Ecco cosa ne penserei: un formicaio. Siete tutte formiche operaie, non esseri umani. Vi danno un contentino, ai più rari consentono di arricchirsi, così da lasciarvi un po’ di speranza, ma alla fine ecco quello che siete. Delle formiche.”

Dopo qualche istante di silenzio, John si alzò. “Vado a prenderle qualcosa da bere. Vedo che si è agitato.”

“Mi avevano già tolto tutti i diritti, come agli altri Curvanti. Ma io non avevo neppure quella parvenza di benessere e libertà di cui un Curvante gode di solito. Ero troppo importante per loro. Ma vi immaginate? Poter intervenire sul passato a piacimento! Però li ho fregati. Sono scappato dove non possono seguirmi… Ora devo riuscire a far vedere ai Talenti il lato oscuro di questa societa’, prima che nel mio tempo trovino qualcun altro come me.”

“C’è una cosa che non capisco, Mark” fece John dalla cucina. “Se lei ora innesca una rivolta mondiale contro i Normali, allora tra trent’anni, due mesi e ventun giorni, non ci sarà nessuno che voglia sfruttarla per consolidare il proprio dominio. Ma allora, tra trent’anni, due mesi e ventun giorni, lei non intraprenderebbe questo suo viaggio nel tempo, perché non ne avrebbe bisogno. Quindi, l’unica condizione per la quale lei può essere qui, è che la sua missione fallisca…”

“Sì, ha ragione, ma le cose non stanno proprio come dice lei.” rispose John “Altrimenti il viaggio nel tempo sarebbe inutile anche per i Normali del mio tempo. C’è un certo margine entro il quale si può modificare il passato. Il limite è che, come ha fatto notare, le modifiche non devono essere tali da eliminare completamente le cause che hanno portato al viaggio. Insomma bisogna evitare i paradossi. E’ come dire che durante un viaggio nel tempo si può modificare il passato solo un poco alla volta, e mai influenzando troppo da vicino le linee di realtà che convergono verso il punto da cui il viaggio ha origine. Ad esempio potrei preparare dei messaggi programmati per venire diffusi in tutte le unità di intrattenimento solo un secondo dopo la mia partenza dal mio tempo. Questo eviterebbe paradossi, e sicuramente darebbe un bel po’ di fastidio ai Normali. Il cambiamento che introdurrei nel futuro sarebbe inoltre così macroscopico da non poterlo eliminare successivamente con un altro viaggio nel tempo.”

John rientrò in salotto e porse una bibita fresca a Mark. “Grazie mille, John”, disse Mark bevendo avidamente. “Capisco che per voi deve essere sconvolgente tutto questo. Dovete capire che la società come la conoscete voi è una finzione, uno specchietto per le allodole. Vi tengono buoni riempiendovi lo stomaco, ma vi levano la libertà di decidere cosa fare della vostra vita”

“Sa Mark, io non credo affatto che una formica sia infelice nel suo formicaio.”

Mark avrebbe voluto rispondere, ma improvvisamente gli mancava il respiro.

“Le ho detto che Anne aspetta un bambino? Alla Gestione dicono che sarà un Sognante.”

Mark ora si contorceva, delle fitte tremende al petto. “Mark! Cos’ha? Si sente male: John presto aiutami!”

“Ma ci pensa? Mio figlio sarà un Sognante!”

Il colorito tendente ormai al bluastro, Mark non sentiva più niente. La vista gli si andava offuscando. Solo le parole di John rimbombavano nella sua testa.

“Andremo a vivere in una casa migliore, e magari potrò anche fare turni di lavoro più brevi. Lui avrà una vita felice, tranquilla e benestante.”

Mentre Mark moriva nella loro sala da pranzo, John guardò sua moglie e, sorridendo, le disse: “Veleno per formiche”.

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