Snapchat per il giornalismo: usare i filtri per proteggere le fonti

Marianna Bruschi
Nerdismi Sparsi
Published in
3 min readNov 25, 2016

Possono i filtri per il volto essere usati per raccontare una storia sul profilo di un giornale o di un giornalista? La risposta è sì. Le lenses di Snapchat in alcuni casi ridicolizzano, in altri semplicemente aggiungono dei dettagli. In molti casi coprono. Mascherano, oscurano, rendono irriconoscibile. In quest’ottica li usa Yusuf Omar, giornalista dell’Hindustan Time

Yusuf Omar mostra a una il suo volto coperto da un filtro di Snapchat

Per intervistare donne che hanno subito violenza sessuale Yusuf Omar ha coperto loro il volto. Lo ha fatto a luglio, durante una marcia contro gli abusi sessuali, e poi ancora nelle scorse settimane per dare voce a donne sopravvissute alla tratta umana.

Il filtro sul volto assume un altro significato. Esce dalla dimensione di gioco ed entra in quella di protezione dell’anonimato, di tutela della fonte. E mette i testimoni nella condizione di poter parlare senza timore di essere riconosciuti, senza avere paura di ritorsioni.

Il 15 novembre Yusuf Omar ha condiviso su Twitter e sul suo profilo Snapchat alcune immagini del backstage di un’intervista a una ex schiava del sesso ad Abu Dhabi. «Tutto quello che devi fare — dice il giornalista alla donna — è premere il pulsante». Sullo schermo dello smartphone il volto è irriconoscibile. E il racconto inizia: era costretta a fare sesso con 10–15 uomini ogni giorno e ora chiede aiuto, non è sposata, è incinta: «Aiutatemi, per favore»

In India ogni 22 minuti una donna viene stuprata. Si apre così il video realizzato durante una marcia contro gli abusi. L’Hindustan Times ha raccolto le testimonianze di alcune donne.

Una donna racconta la sua storia col volto coperto da un filtro Snapchat

«Per preservare la dignità delle persone questa storia è stata girata con uno smartphone. Le donne sopravvissute hanno scelto un filtro Snapchat per nascondere la propria identità». Sono donne rapite e violentate, torturate, segregate in casa. Il volto è la maschera di un drago, sputa fuoco. Le parole sono quelle di una donna ferita: «Avevo cinque anni quando mi hanno rapita».

In un’intervista a Journalism.co.uk Yusuf Omar ha raccontato come questo espediente dei filtri sia riuscito ad aiutare le ragazze a sentirsi più a loro agio. «Non raccontavano una storia a me o a una telecamera — spiega il giornalista — stavano semplicemente guardando loro stesse al telefono, rievocando le loro esperienze. E c’era qualcosa di molto intimo e sincero in questo».

But very few people are realising that this is a powerful content creation tool with all the ingredients that digital natives love, whether it is the ability to add filters, put text at the bottom for auto-play videos, or add emojis that convey emotions that we can’t sum up in words”, Yusuf Omar.

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Marianna Bruschi
Nerdismi Sparsi

Genovese di nascita, nomad worker. Giornalista dei quotidiani locali di GEDI Gruppo Editoriale S.p.A. Vivo a Roma. Member @ona