La storia dell’autoscatto del maker suicida che inventò la fotografia

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12 min readDec 10, 2015

Nessuno ricorda Hippolyte Bayard, maker. Non lo ricorda più nessuno perché Hippolyte Bayard ha fatto un grande errore: fidarsi di una persona importante.

di Emmanuele exedre Somma

Era il 1840, che a dispetto dei tempi non fu un brutto anno: la Francia era tra le rivoluzioni ma in quell’anno si stava abbastanza tranquilli.

Hippolyte Bayard «Le Noyé (l’Annegato)» https://www.flickr.com/photos/puntopixel/2660835671/in/gallery-uwe_kulick-72157631825995989/

Si preparava il secondo funerale di Napoleone che, da grande uomo qual era, ne ebbe due. Il funerale serviva alla seconda destra di Francia per legittimare la traballante monarchia degli Orleans. Le barricate del ’48 erano ancora tutte di là da venire e Luigi Filippo gestiva il potere, con i lealisti che mugugnavano da un lato e i repubblicani che bofonchiavano dall’altro. Luigi Napoleone, il fratello, organizzava golpi, veniva arrestato ed evadeva a giorni alterni e il parlamento stesso non aveva una chiara idea della propria collocazione nell’universo della politica.

C’era aria di innovazione e questa moderna, strana, originale monarchia costituzionale nata grazie alle barricate dei moti insurrezionali, che però tanto voleva rinnegare la sua nascita, doveva avere la facciata della novità per barcamenarsi in una situazione esplosiva. Era un periodo in cui stavano tutti a blaterare di progresso, modernità e futuro, di scienza e di tecnica, ma sotto sotto ognuno brigava e maneggiava per restaurare i privilegi aristocratici o semplicemente per fare le scarpe a tutti gli altri.

Il 18 ottobre 1840, mentre la commissione nazionale francese era in spedizione in Inghilterra per riportare in patria le spoglie di Napoleone, il fotografo Hippolyte Bayard immortalò in una delle prime fotografie degne di questo nome, il cadavere di un uomo, un tal Hippolyte Bayard, fotografo, suicida annegato nella Senna.

Anche trascurando la misteriosa traccia che porta il fotografo e il soggetto della foto ad essere la stessa persona, al tempo esisteva un piccolo ma sostanziale problema nel raggiungere questo scopo. Il problema non stava nella difficoltà di sincronizzare lo scatto ad un evento mentre questo avveniva, e non era neppure che per impressionare una fotografia erano necessarie addirittura alcune decine di minuti, d’altronde va detto che un morto, suicida poi, non è che si facesse problemi a star fermo.

No il problema, piccolo ma sostanziale, era che non esisteva al tempo qualcosa come la fotografia. La fotografia non era ancora stata inventata o quasi. Anzi proprio.

La fotografia, a quel tempo, era cosa da maker. E Hippolyte Bayard maker lo era in pieno: aveva inventato un procedimento noto come stampa positiva diretta. Già il 24 giugno del 1839 aveva realizzato la sua prima mostra fotografica, o meglio come lui diceva:

“Mostra di disegno fotogenico scritto con la luce.”

Il processo di stampa positiva diretta utilizza fogli di carta immersa in una soluzione di cloruro d’argento che annerisce quando esposta alla luce. La carta è quindi prima immersa nello iodato di potassio e poi lavata in un bagno di iposolfito di sodio, infine asciugata. L’immagine risultante, a differenza delle moderne fotografie su film, è un positivo diretto come una Polaroid, per capirci. Però, a causa della scarsa sensibilità di questi componenti, il tempo di esposizione in piena luce era superiore ai dieci minuti.

Hippolyte Bayard ha inventato la fotografia. Punto.

Ma perché Bayard immortalò il proprio suicidio, ammesso e non concesso che vi riuscì?

Facciamo un piccolo salto indietro: chi è Hippolyte Bayard? Non è nessuno, o meglio è solo un misero impiegato del Ministero delle Finanze francese con la passione per la chimica e la pittura, non così bravo per fare il chimico e totalmente incapace di dipingere. Si mette in testa che pasticciando con sale, argento, iodio, potassio e zolfo è possibile impressionare la carta e sapete che? Ci riesce. Il culo del principiante, si vede.

Ha lo spirito dell’hacker e così dopo errori e tentativi mette a punto il suo procedimento che semplicemente funziona e che ne fa? Lo tiene lì. Organizza la sua mostra nel ’39 per una raccolta benefica e poi… niente altro. Non ha velleità imprenditoriali, non gli interessa diventare ricco. Fosse per lui spiegherebbe a tutti come fare.

Ancora un passo indietro. C’è qualcuno che su questo campo della proto-fotografia ci lavora da tempo in verità con magri risultati, è Joseph Nicéphore Niépce. Borghese, di famiglia ricca e destinato al sacerdozio, Niépce viene folgorato dall’età dei Lumi e dopo un periodo nelle armate rivoluzionarie scopre la sua vera vocazione: fare l’inventore.

Progetta con il fratello Claude un motore a compressione interna il cui brevetto fu poi assegnato nel 1807 all’imperatore Napoleone. Poi si mette con lena a lavorare su una nuova invenzione: fermare l’immagine sulla carta senza l’intervento dell’uomo. Ci va vicino, ma non ci riesce. Già nel 1827, per inventare quella che chiama eliografia, usa bitume di Giudea che indurisce alla luce, la lavanda che scioglie il bitume, e poi rame, argento, cristalli di iodio e alcol. Ferma al luce ma non abbastanza: le eliografie alla luce anneriscono presto e senza luce, bé non si vedono, no? Quindi non servono a nulla.

Caravaggio «La deposizione di Cristo»

Nel ’29 però conosce un altro inventore che come lui sta lavorando in questo campo, è Louis Jacques Daguerre, uno scenografo teatrale che gioca da tempo con la camera oscura per proiettare fondali a teatro e che dopo molti tentativi mette a punto un nuovo procedimento chiamato dagherrotipia. Il dagherrotipo si ottiene con una lastra di rame spalmata d’argento e sensibilizzato da vapori di iodio. Ci vogliono una quindicina di minuti per impressionare la lastra che poi va sviluppata con i vapori di mercurio ad alta temperatura e infine bagnato con tiosolfato di sodio, insomma un bel bordello che soprattutto ha un difetto: non si possono fare copie.

Niépce e Daguerre sono ben consapevoli dei limiti dei loro procedimenti e si mettono assieme per realizzare quella che oggi potremmo chiamare una startup. Vogliono assolutamente inventare un processo fotografico che abbia successo e sfondi nel mercato e allora che fanno? Brevettano e tentano di vendere quello che hanno inventato? Sì, ci provano, ma nessuno sano di mente comprerebbe l’eliografia che scompare col tempo e o il dagherrotipo che crea opere uniche. E quindi? Qui casca l’asino!

Hic fefellit ciuccium!

Nell’incapacità di trovare un procedimento valido e un mercato disposto a sostenerli i due cosa fanno? Niépce si limita a morire nel ’33 che è pur sempre un modo elegante per evitare le frustrazioni del fallimento. Deguerre invece tenta la strada, tristemente nota a noi italiani, di trovare una spalla forte su cui piangere miseria: quella dello Stato.

François Jean Dominique Arago

A questo punto della storia entra in scena il nostro ultimo e più importante personaggio. È François Jean Dominique Arago. Per capire quanto è importante si consideri che dopo solo otto anni, a seguito dei moti rivoluzionari del ’48 sarà nominato, nell’arco di un anno, prima Ministro delle Colonie, poi Ministro della Guerra e infine addirittura Capo di Stato della Seconda Repubblica Francese.
François Arago aveva dedicato la sua vita alla scienza e a soli 23 anni era stato nominato all’Accademia delle Scienze, insegnato geometria analitica e infine Napoleone in persona lo aveva voluto come astronomo principale dell’Osservatorio Reale. Sebbene il suo nome è raramente ricordato nei libri di storia e ancor meno in quelli di scienza destinati al grande pubblico, Arago fece contribuzioni importanti alla teoria della misura, al magnetismo e all’ottica e in particolare fu colui che riportò su carta insieme a Humbolt le scoperte di Fresnel sulla teoria ondulatoria della luce.

Daguerre, aveva tentato in tutti i modi di disfarsi della sua invenzione, vendendola, ma non vi riuscì. Attraverso influentissime conoscenze ebbe gioco facile nel convincere Arago della bontà del suo processo fotografico senza che questi, in effetti, capisse nulla della cosa. Ma la sua storia era facile e bella da vendere.

Arago fu abbacinato della portata rivoluzionaria della nuova invenzione che prometteva di propagandare facilmente le idee in forma di immagini, senza rendersi conto quanto il procedimento dei dagherrotipi fosse impossibile da usare per riprodurre opere in serie. Arago diventò il principale sponsor di Daguerre presso l’Accademia delle Scienze Francesi che decideranno il 19 agosto del 1839 di scucire, sulla fiducia, a Louis Jacques Daguerre una ricca pensione a vita e la fama imperitura di inventore della fotografia. Anche il figlio di Niépce ebbe un lautissimo premio. Dagherrotipi e eliografie, tecnologie già morte, saranno presto dimenticati nel mondo reale sostituiti dalle stampe in positivo.

Ben prima della concessione del premio a Daguerre, qualcun altro si era presentato a François Arago per proporgli un procedimento fotografico ed ottenere un premio dall’Accademia delle Scienze. Sì, era proprio il nostro Hippolyte Bayard e aveva tutte le carte in tavola per vincere ma purtroppo la sua storia non era altrettanto buona.

Sebbene la sua invenzione fosse migliore e più adeguata ad un tempo che pretendeva la riproducibilità tecnica dell’opera d’arte per farla diventare un’arma di propaganda, un repubblicano di sinistra come Arago non avrebbe mai potuto sostenere presso l’Accademia delle Scienze questo misero signor nessuno che peraltro era anche impiegatuccio della monarchia e soprattutto non aveva amicizie nel giro degli intellettuali che contano.

Ah capisco, pensate che la spocchia intellettualoide di certa sinistra fosse una cifra distintiva della modernità? No, no. Tutto il mondo è paese.

Bayard si vide rifilare una miseria in contanti e gli fu intimato di tenere ben nascosta la sua invenzione per attendere il momento buono. Ma buono per chi? Bayard si fidò di Arago e attese tranquillo il suo turno. Nel frattempo Arago metteva fretta all’amico Daguerre. Alcuni mesi dopo, eliminato dai giochi il «disegno fotogenico scritto con la luce» di Bayard, il repubblicano Daguerre presentò all’Accademia delle Scienze il suo dagherrotipo e nessuno gli fece ombra, intascò il premio e la fama.

Il povero Bayard non aveva mezzi contro chi aveva abusato del suo potere. Con l’inganno era stato indotto a presentare in ritardo la sua invenzione. Non poteva rivolgersi a nessuno che fosse libero di dire la verità. Mandò giù il boccone amaro, andò avanti e reagì come un vero artista, riuscendo a conquistare sul campo un altro primato. Il secondo, di seguito, nell’arte fotografica.

Jean Louis David «La morte di Marat» oggi al Louvre http://www.panoramio.com/photo/53129496

Bayard scovò un morto annegato e mise in piedi un set fotografico in cui, nel solco della tradizione delle Deposizioni di cui è piena l’arte figurativa sia sacra che rivoluzionaria (chi dimentica “la morte di Marat” di Jean Louis David?), compose la propria stessa deposizione: un quadro fotografico noir che rappresenta (ma non è) il composto e disgustoso suicidio dell’autore stesso.

Il positivo fotografico della propria morte crea, con l’arte della fotografia ancora in fasce, il primo falso fotografico della Storia.

La fotografia, ars gratia artis, diventa strumento di propaganda con il falso di Bayard che dietro al foglio impresso scrive a chiare lettere anche il proprio stesso epitaffio:

“Il corpo dell’uomo che vedete nell’immagine sull’altro lato è quello del signor Bayard, inventore del procedimento di cui avete appena visto, o state per vedere, il glorioso risultato. Sono a conoscenza del fatto che questo talentuoso e instancabile scienziato ha lavorato per circa tre anni al fine di perfezionare le sua invenzione. L’Accademia, il Re, e tutti quelli che hanno visto questa immagine sono rimasti molto colpiti, proprio come voi, sebbene (l’artista) consideri l’immagine insoddisfacente. Gli è valsa infatti grandi onori, ma neanche un centesimo. Il governo, che tanto ha elargito al signor Daguerre, si è detto impossibilitato a fare qualcosa per il signor Bayard. Come risultato lo sfortunato uomo si è annegato. O volubilità umana! Artisti, scienziati e giornali si sono interessati a lui per un lungo periodo, ma oggi, dopo alcuni giorni trascorsi all’obitorio, ancora nessuno lo ha riconosciuto o ha reclamato le sue spoglie. Signore e signori, passiamo a un altro argomento per evitare di recare offesa ai vostri organi olfattivi, in quanto, come voi stessi avrete avuto modo di notare, il volto e le mani del gentiluomo hanno già iniziato a decomporsi”. (op. cit.)

Per il tempo, questo era uno scherzo di indubbio cattivo gusto. Una bestemmia alla Ragione. Mentre raccontava agli astanti increduli del suo primato e del suo suicidio rituale a Bayard non rimase altro che riderne amaramente nelle osterie di Parigi, perché poi in fondo sono le osterie che raccolgono gli umiliati e gli offesi della storia, «fino a questi ultimi» che non sono neppure lontanamente presi in considerazione dai fortunati che hanno in mano tutte le leve della fama.

Fine della storia? No. Ironicamente questo non fu il peggio che Bayard ottenne dalla nostra graziosa società. Il peggio infatti doveva venire ancora.

Passò un secolo intero in cui Daguerre e Niépce furono osannati antesignani inventori della fotografia, quando uno scrittore francese di origine italiana, critico cinematografico e studioso di fotografia, Gian Maria Lo Duca, dimostrò senza possibilità di smentita che a Hippolyte Bayard e a nessun altro poteva essere fatto risalire il procedimento fotografico originale.

E sapete cosa? Niente. A nessuno interessò mai più.

A dispetto della verità, la Storia sta dalla parte del più forte e, a dispetto della verità, i libri parteggeranno sempre per lo story-telling bugiardo di François Jean Dominique Arago, perché al suo tempo lui era un grande uomo contro una misera nullità.

Osservate con quanta nonchalance questo uomo potente, François Jean Dominique Arago, ebbe cura di distruggere i sogni di un uomo obiettivamente valente che non aveva dalla sua parte altro che la sua arte solo perché non gli faceva comodo ammettere che il suo amico Daguerre fosse stato immeritevole. Osservate come per la Storia, la condanna all’oblio e all’omissione di Hippolyte Bayard non merita un processo di revisione e nessuna grazia.

Come scrive Ando Gilardi nella sua bellissima Storia sociale della fotografia:

“La verità è un’altra: il riconoscimento dei meriti di Bayard comporta l’automatico riconoscimento dei demeriti di troppi famosi personaggi, la riscrittura di testi, di migliaia di voci di enciclopedia e dizionari, forse la rimozione di qualche targa e qualche busto: tutte cose che nuocciono al mito promozionale dell’industria fotografica.”

Alla fin fine da questa storia si possono trarre preziosi insegnamenti: a) che certe parole in bocca ai potenti sono tutta una retorica che serve a loro: è velleitario attendersi che sappiano riconoscere i meriti di qualcuno se non sono prima di ogni cosa funzionali a loro stessi e al proprio mito promozionale quindi, come si dice, fidarsi è bene…; b) che innovazione, maker, startup non sono quella cosa nuova che vogliono far credere: si usano per coltivare il consenso, se non c’è un ambiente fertile per l’innovazione indipendente dai governanti e quindi se in gioco ci sono solo le elargizioni dello Stato non si compete mai sul merito o sulla qualità ma sulla benevolenza del (pre)potente di turno, e infine c) che le osterie sono i posti ottimi dove bere pessimo vino forse ma sentire grandi storie di vita vissuta veramente, le storie di chi impegna la propria vita sui propri errori o ricava quanto è giusto e sa che non si può battere il banco, le storie di quelli che quando il vino è finito vedono il bicchiere vuoto se non sono già ubriachi e se hanno i soldi pagano l’oste che lo riempie e se non hanno i soldi tornano a casa a lavorare.

Poi c’è anche chi dice che quelli che salgono su un palco e fanno il mestiere di raccontare storie per ingraziarsi il proprio padrone si chiamano giullari e saltimbanchi e questi qua hanno veramente ragione a vedere il bicchiere sempre mezzo pieno perché è il loro padrone che glielo riempie sempre a metà. Il padrone deve fargli capire che senza di lui morirebbero di fame perché non hanno un altro mestiere e devono continuare a vivere sbranando i sogni degli altri.

Stare dalla parte dei perdenti, ricordare Bayard, saper vedere il proprio bicchiere vuoto e pagare in prima persona per riempirlo, frequentare a proprie spese le osterie e rifuggire dai balli in maschera del gregge nelle regge, avere la libertà di non lasciarsi sfuggire l’occasione per una battuta o uno scherzo noir, forse non servirà né a migliorare il mondo né a ripristinare la verità perduta, ma quantomeno permette di poter celebrare il proprio suicidio solo in effige piuttosto che nella realtà. E a me tanto basta.

Congregatione argenti et aeris et ferri et stagni et plumbi in medium fornacis ut succendam in eam ignem ad conflandum sic congregabo in furore meo et in ira mea et requiescam et conflabo vos.
Ezekial 22.20

R. Derek Wood, “A State Pension for L. J. M. Daguerre for the secret of his daguerreotype technique” 7/12/1996 (consultato il 9 dicembre 2015)

Ando Gilardi, “Storia sociale della fotografia” Feltrinelli, Milano, 1976

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