I volti della fuga, i volti dell’approdo

Testimonianze dal Blue Refugee Center di Salonicco

Martina Spini
Next Stop Salonicco
3 min readMar 24, 2019

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Mohammad, Taseen, Lava, Ibrahim

“Mio figlio di 8 anni sa riconoscere il nome delle armi dal loro suono”: con questa frase Mohammad, rifugiato palestinese, descrive un contesto sociale nel quale la guerra è normalizzata e legittimata, quasi come se non esistesse alternativa, neppure per i più piccoli.

“Sono scappato dal mio paese in quanto ateo”, spiega Mohammad. In effetti, l’ateismo non è conciliabile con una società costellata da discriminazioni e fanatismo religioso. Ciò accade in Palestina, che anela ad avere un riconoscimento internazionale e si considera ormai da cinquant’anni occupata dallo Stato di Israele, ma anche in altri Stati mediorientali come Siria e Iraq. Vi sono addirittura minoranze come quella curda, che non solo non godono di alcun diritto, ma non hanno nemmeno un paese nel quale potersi riconoscere. È importante, quindi, comprendere come la fuga sia forzata dalla mancanza di diritti umani basilari, come possono essere la libertà di pensiero, di professare la propria religione o di non professarne alcuna: tutte cose che i paesi occidentali danno per scontate e che i rifugiati del Blue Refugee Center di Salonicco faticano a spiegare a parole.

“Quando chiedete ad una persona perché è scappata dal suo paese, provate ad immaginare che vi chiedano di raccontare la cosa peggiore che vi sia mai successa: è impossibile rendere l’idea” afferma ancora Mohammad, che è anche professore di inglese al centro di accoglienza.

Il Blue Refugee Center, infatti, è un punto di riferimento per i migranti sotto diversi aspetti: il centro assistenza psicologica, aiuto nel reperimento dei documenti, corsi di lingua greca e inglese al fine di facilitare l’integrazione linguistico-culturale, corsi di avviamento di formazione professionale e numerosi altri servizi. Si può dire, quindi, che questa zona della Grecia di confine sia particolarmente attiva sotto questo punto di vista.

“Sono arrivato prima sull’isola di Lesbo e la polizia non è stata del tutto accogliente” — racconta Ibrahim, siriano — “Quando ho raggiunto Salonicco, invece, gli abitanti si sono mostrati subito amichevoli e disponibili.”

In effetti, il coinvolgimento che le istituzioni e la popolazione locale mostrano nei confronti della questione migratoria facilita di gran lunga l’integrazione e rende Salonicco una città multiculturale, nella quale diverse nazionalità riescono a convivere e valorizzare le proprie peculiarità.

Alla domanda “quali sono le vostre speranze per il futuro?” la risposta è unanime: ognuno dei rifugiati si augura, vivendo un giorno alla volta, di poter raggiungere una condizione di vita stabile. Non vi sono piani a lungo termine o sogni, se non quello di ricongiungersi con la propria parte di famiglia rimasta in patria.

Gli studenti incontrano le storie dei quattro ospiti del centro.

Il confronto con queste realtà così complesse dovrebbe far comprendere come la questione migratoria non sia riassumibile in qualche statistica o frase populista che è, in Italia come in altri paesi, all’ordine del giorno. È infatti una situazione che non solo va analizzata con delicatezza, ma che non può essere vista in altro modo se non con umanità e solidarietà.

di Alexia Bohus e Martina Spini

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