La convivenza? Rimane un’utopia

Cecilia Rossi
Next Stop Sarajevo
Published in
4 min readNov 7, 2016

Zoran Herceg, pittore e giornalista, sulla minaccia fondamentalista islamica in Bosnia.

Zoran Herceg

Pittore, giornalista, intellettuale. Nato a Sarajevo, un padre Serbo che ha combattuto nell’esercito bosniaco, una madre che vive in Italia, diplomato all’Accademia di Brera, Zoran Herceg è un under 40 sagace e diretto.

Abbiamo sentito parlare di una minaccia di fondamentalismo islamico in Bosnia, cosa ci può dire a riguardo?

Al momento in Bosnia sono presenti circa centottanta fondamentalisti islamici. Molti di loro hanno combattuto in Siria e in altri paesi del Vicino Oriente ed ora sono tornati in patria. Qui in Bosnia sono considerati criminali e sono perseguibili legalmente perché la legge bosniaca impone che nessuno debba combattere per un paese che non è la Bosnia. In ogni caso, sono persone di cui si conoscono i dati personali e su cui si esercitano costantemente controlli da parte della polizia e dei servizi segreti bosniaci.

È un pericolo che si può equiparare a quello che viene percepito in Europa oppure è di natura diversa?

Innanzitutto è un pericolo non ancora radicato, ma in sviluppo in alcune zone. È diverso dal pericolo percepito nel resto d’Europa, perché l’obiettivo degli stessi fondamentalisti è diverso. Siamo abituati ad un integralismo religioso che vuole imporre un tipo di sharia alla cultura occidentale e che per farlo non esita ad intervenire con violenza. In Bosnia, invece, le cellule integraliste dovranno prima scontrarsi con la comunità musulmana ufficiale, che viene considerata infedele, al pari di cattolici e ortodossi. L’obiettivo è quindi un attacco, prima di tutto, ai musulmani che professano la loro religione nella tolleranza e nella pace. A mio parere questo scontro diretto avverrà e sarà pesante e difficile da gestire. Il dovere morale della comunità musulmana ufficiale è quella di dissociarsi da ogni loro provocazione, di marginalizzarli e di scomunicarli.

La comunità ufficiale ha già reagito in qualche modo?

Il capo della comunità spirituale musulmana ha più volte invitato le cellule isolate a chiudere le molte moschee “parallele” non dichiarate, che destano sospetto, ad abbandonare il fondamentalismo e ad aderire alla corrente ufficiale.
Si può dire che si sia instaurato un processo di dialogo che io considero positivo, almeno per evitare che la minaccia si estenda e diventi pericolosa. C’è un costante dibattito su quale sia il modo corretto di interpretare e professare la religione ed entrambe le correnti sostengono la loro opinione in modo molto deciso.

La guerra in ex-Jugoslavia sta influenzando queste correnti?

Essendoci stata la guerra dal ’92 al ’95, circolano ancora molte armi non dichiarate. Non è difficile esportarle e distribuirle e, di conseguenza, non è difficile offrire l’opportunità a chiunque di utilizzarle e di farne scorta.

Invece, i cittadini non musulmani come reagiscono? Che tipo di rapporto c’è tra le diverse comunità religiose?

Innanzitutto, i cittadini di Sarajevo sono per il 90% musulmani. La maggior parte di loro è di religione islamica ma non praticante: vi capiterà di vedere più ragazze con la minigonna che con il velo. Ovviamente loro si dissociano. Per il resto, la Bosnia è divisa in ovili. Le persone non convivono, ma sono raggruppate in base alla religione che professano. Tra di loro c’è pochissimo dialogo, anzi, musulmano per musulmano, si preferisce l’estremista a colui che professa un’altra religione.

Nessuno fa autocritica?

Il problema della Bosnia è che nessuno riconosce i propri estremisti. Come i serbi non riconoscono tutt’ora il genocidio di Srebrenica e come i cattolici croati non riconoscono le loro colpe ad Orašje. Oggi i musulmani si dissociano formalmente, ma fanno fatica a marginalizzare l’integralismo in modo decisivo. Questo è il problema della politica: è basata sulle divisioni. Le persone di cultura religiosa diversa non vivono più insieme e integrate, ma le une accanto alle altre, senza instaurare un rapporto di dialogo e condivisione. Sembra una differenza piccola, ma per una città che è stata paladina dell’integrazione è un enorme passo indietro. Così si trasforma la convivenza del passato in un’utopia.

Ilaria Loda, Cecilia Rossi, Francesca Poli

(Liceo scientifico Calini di Brescia)

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