Sono stato fermato per essere rassicurato della mia innocenza civile ed intellettuale.

Non avevo fatto nulla: ero, dopotutto, semplicemente italiano.

V.M.Cristi
Non ero io
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4 min readAug 22, 2013

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Curiosa e maliziosa è la legge che sancisce il diritto di libero traffico e commercio tra le nazioni aderenti all’Unione Europea: stando alle più recenti indiscrezioni infatti, tramite l’utilizzo di un documento d’identità valido per l’estero si è in grado di viaggiare su confini ormai immaginari e frontiere apparentemente spente. È come se nel Vecchio Continente i limiti dettati dalla storia e dalla cultura geopolitica fossero definitivamente stati rimossi.

Eppure, nonostante lo sforzo di tale manovra caratterizzata dal più alto senso civico ed interculturale, alcuni confini rimangono ed appaiono insormontabili, anzi, immutabili ed immutati. Vogliamo disperatamente gridare al mondo il nostro desiderio di libertà ma siamo i primi a non volere che i nostri vicini occupino lo spazio che ci circonda con la loro presenza. Abbiamo paura ed alimentiamo la nostra paura attraverso la fede nella libertà, l’eguaglianza e la fraternità. La democrazia dopotutto non è mai stata un sinonimo di pura eguaglianza: se la si guarda da una prospettiva un po’ più anomala, a pensarci bene, nelle democrazie moderne una grossa fetta di popolazione comanda su un’altra grossa fetta di popolazione. Basti pensare alle elezioni politiche: se un partito vince sul suo avversario con uno scarto non molto elevato di maggioranza, allora vuol dire che la popolazione che ha eletto quel partito e quell’idea è di poco più numerosa di quella che ha parteggiato per l’idea avversa. Se volessimo potremmo definire tale sistema un più accurato e sviluppato modello di poligarchia. C’è dunque apparentemente un oppresso ed un oppressore.

Riconosco l’estremità di tale semplificazione ma dunque mi chiedo: come mai un furgone italiano che attraversa il suolo tedesco viene fermato e controllato puntualmente dalla polizia borghese autostradale addirittura due volte al giorno nello stesso distretto a cento chilometri di distanza, ed invece il contrario nel nostro paese non accade praticamente mai? Non mi si venga a dire che i tedeschi non visitano il Bel Paese perché non é vero. Non mi si venga a dire che i tedeschi non usano furgoni perché non è vero. Non mi si venga neanche a dire che i tedeschi non sono afflitti dai problemi di droga, alcolismo e guida irrispettosa della legge perché come noi sono umani, come noi sbagliano, e come noi hanno bisogno di regole. Si potrebbe obiettare che le nostre forze dell’ordine non sono tutte dotate della conoscenza della lingua ufficiale dell’Unione, ovvero l’inglese, ma questo è un altro problema. Tornando dunque al discorso iniziale, come mai mi ritrovo fermato e perquisito due volte nell’arco di tre ore in Baviera quando in Austria, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca nessuno ha osato neanche controllare se avessimo comprato o meno il tagliando autostradale?

“Forse non hanno la polizia” i più ignoranti scherzosamente direbbero. “Forse si fidano degli italiani” i più benevoli suggerirebbero.

Eppure i cechi e gli slovacchi sono sempre stati vittime di occupanti austriaci, ungheresi, prussiani, polacchi e comunisti. Un paese con un passato così faticoso e traviato non dovrebbe essere ancor più riluttante alla presenza dello straniero in terra propria?

“Forse è perché in Germania le cose funzionano” allora qualcun altro direbbe. Cosa si intende con “funzionano?”.

Se ci si riferisce al fatto che la burocrazia è più snella, che i salari sono più alti, e che le spese in rapporto con altri paesi sono più basse, beh allora sì le cose funzionano.

Ma quanti di voi sanno per esempio che società elettriche tedesche hanno costruito impianti nucleari in territorio Ceco, da cui comprano a prezzo ribassato l’energia che poi rivendono loro stessi ai poveri vicini che hanno in territorio i suddetti impianti?

La democrazia è pericolosa quanto lo è l’uomo che l’argomenta. Ci nutriamo d’ideali che vengono continuamente deviati, stuprati e smentiti dalla storia. Viaggiamo ad occhi chiusi verso un futuro incerto fatto di menzogne e promesse infrante. Ci facciamo forza con le nostre paure ed invece di alimentare il coraggio della conoscenza e dello scontro con l’ignoto lottiamo contro noi stessi per dimenticare piuttosto che imparare, per invecchiare piuttosto che crescere, per morire piuttosto che rinascere nella nostra quotidianità.

La verità è che abbiamo deciso di non credere più nella verità, nel rispetto e nelle scelte coraggiose che i nostri avi hanno più e più volte rimarcato. “Che cos’è la verità?” disse Ponzio Pilato al condannato Gesù di Nazareth.

Viviamo in un epoca dove abbiamo tutto: pace, cibo, igiene, salute, comunicazione. Abbiamo tutto eppure ci comportiamo come se non avessimo nulla: siamo alla continua e disperata ricerca di distrazioni. Non vogliamo soffrire e quando ci si prospetta la possibilità di scegliere tra amore e sacrificio piuttosto che noia e sicurezza noi scegliamo inevitabilmente queste ultime. Siamo il più grande fallimento di noi stessi e ci scandalizziamo quando subiamo i torti che per primi infliggiamo.

Crediamo nell’amore finché si rispecchia nei nostri desideri e lo condanniamo quando ci rende deboli, fragili, umani.

Ma non è questo a renderci unici nell’infinito universo che ci circonda dopotutto? La nostra umanità nell’affermazione della diversità attraverso il rispetto e la conoscenza?

“Allo specchio!” griderebbe Socrate. “Allo specchio la risposta”.

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V.M.Cristi
Non ero io

Being a musician and a producer doesn't make me any better