Siamo andati a vedere la mostra su Mirò

Non so se è legale parlarne e pubblicare queste foto, ma lo faccio

Federica Spampinato
mediapocalypse
4 min readFeb 15, 2016

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Questo post nasce con una grande preposizione avversativa: MA posso parlarne? Un po’ per gioco, un po’ per manie di persecuzione, ho deciso di relegare il racconto della mostra su Mirò all’interno di una più ampia discussione sul tragitto, perché ogni viaggio vuole essere raccontato.

Oggetto della narrazione, dunque, la mostra su Mirò a Villa Manin (UD), già sede di numerose e importanti retrospettive come la recente dedicata al fotografo Robert Capa.

Siamo partiti da Portogruaro, una delle ultime roccaforti della provincia di Venezia (anche se forse non se lo ricorda, dico bene?) verso Passariano, Codroipo, Udine. Una distesa di Friuli Venezia Giulia selvaggio, dove si possono vedere spesso falchi, meno spesso galline nere che in realtà sono tacchini, ma anche donne e uomini coraggiosi passeggiare all’interno della carreggiata, anche al ridosso del cavalcavia. E le montagne in lontananza.

La strada per Codroipo non passa per Bertiolo, ma il mio fidato complice e io decidemmo di virare per Bertiolo, in quanto Bertiolo è città del vino, ma anche città della musica, ma anche città di case basse tipicamente friulane, che sono bellissime.

Senza navigatore ma solo perché crediamo fermamente nella potenza dell’orientamento umano, seguendo un’eloquente “via Codroipo” – grazie, geometria napoleonica – arrivammo esattamente di fronte a Villa Manin. Meno facile capire dove parcheggiare, ma riteniamo questo dettaglio quanto mai vano adesso.

Joan Mirò – Soli di notte

Alla retrospettiva sul pittore spagnolo erano dedicate ben 17 sale, dislocate in due piani.

L’installazione video a tre pannelli riproduceva esattamente ciò che mettiamo a fuoco (nel pannello frontale) e ciò che vediamo con la coda dell’occhio, ma leggermente sfuocato (nei 2 pannelli laterali). Quando le installazioni video si propongono quasi fossero protesi del nostro corpo, io perdo coscienza e inizio ad apprezzare ogni cosa. O quasi.

Dico quasi perché, per esempio, a un certo punto Mirò iniziò a creare sculture. Ecco, non parlerò di Mirò-scultore perché credo che in quel momento della sua vita avesse semplicemente preso un grosso abbaglio in merito alla propria vocazione. Di Mirò pittore ho apprezzato, in particolare: la sintesi la ricerca dell’armonia compositiva, l’uso del rosso e del blu, il tentativo di rappresentare la femminilità.

Foto di citazione sul colore nero, che però si legge poco perché non so fare le foto con lo smartphone

Ho qui appreso con piacevole stupore che anche Mirò passò il “periodo nero”, in cui ha sperimentò la totalità dell’assenza/presenza di colore.

Il nero mi ossessiona. Non esiste altro colore con così tante qualità e sfumature; forse per questo mi piacciono ancora di più le litografie in bianco e nero piuttosto che a colori. Il nero è il paradiso della pittura. Il principio e la fine. Il colore è sempre un elemento addizionale, aggiunto a una struttura ben lavorata di bianco e nero.

Secondo me il fatto che una citazione del genere provenga dal pittore che più di tutti è noto al gran pubblico per i suoi colori primari vivaci è l’elemento addizionale di interesse e stupore che può appassionare la lettura di questa mostra.

Una delle numerose immagini denominate “Senza titolo”. Io non sopporto i “Senza titolo”
Spettatrice anonima che guarda un probabilmente “Senza titolo”
Il mio fidato complice che guarda un Mirò, anzi, 27 Mirò

Le pareti colorate, scenografia delle tele, furono una scelta molto gradevole e, anch’esse, un omaggio ai colori che tanto hanno caratterizzato la sua vita artistica.

Un Mirò che vuole essere un Fontana ma che è un Mirò
Gli esperimenti grafici del tardo Mirò presentati su parete rossa
Dalla sala precedente a quella successiva: apertura sul blu acceso, e su un Mirò molto grande. Mirò rappresenta la femminilità

Di Mirò scultore, invece, non ho apprezzato molto. Ci sono tuttavia alcuni esperimenti pittorici molto materici — come questo — e attribuisco all’esperienza della scultura la capacità di dare corposità alla materia densa del colore.

Le melodie di Teho Teardo che accompagnavano le proiezioni video e, in generale, tutta l’esposizione, resero molto godibile il tragitto.

Se, infine, volete sapere come è andato il viaggio di ritorno: forse passammo nuovamente per Bertiolo, forse no. Permane nell’aria ancora un acceso dibattito circa il fatto che Varmo sia già un degno spartiacque tra la pedemontana friulana e la pianura veneta.

E sono sicura che Napoleone direbbe sì, Varmo va bene, è proprio un degno spartiacque. E forse ci darebbe anche un attestato di pubblica benemerenza.

Il Friuli è sempre meraviglioso.

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Federica Spampinato
mediapocalypse

Di tecnologie digitali, cultura del rischio e fine del mondo