L’ABC dei radicali

La vita, l’universo e tutto quanto c’è da sapere sul Transnazionale

Notizie Radicali
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22 min readFeb 28, 2017

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Questo post nasce dopo una discussione in mensa con alcuni amici per fare un grande «spiegone delle puntate precedenti» del Partito Radicale. Ovviamente è impossibile spiegare sessanta anni di storia, forse è inutile, ma chi proprio non riesce a raccapezzarsi in questo magma informe che è la galassia radicale può forse trovare qui le coordinate di base per comprendere i temi più importanti e come siamo arrivati a questo punto.

La stampa ha spento i riflettori sui radicali. Meno male. Altrimenti in questi giorni avremmo vissuto un’altro psicodramma sulla spaccatura del partito con tutto il suo condimento di lotte intestine e scontri di «potere».

Invece nessuno se n’è accorto.

Fa molta più notizia il quadretto familiare di Pannella e Vasco Rossi che parlano come buoni vecchi amici. Eh… già. E noi radicali ne siamo felici.

Tutte le volte che nel passato ci sono state occasioni di dissidio tra i radicali, specie se in mezzo c’era Pannella, i commentatori non sono mai riusciti a non applicare categorie di pensiero del tutto inadeguate al mondo radicale dando rappresentazioni non solo parziali ma spesso completamente errate.

I radicali sono «diversi».

Però è vero, oggi nel piccolo mondo antico radicale, c’è una contrapposizione. Ci sono due «fazioni». C’è un’aspra lotta e non mancano neppure parole grosse, tra quelli che ancora e forse per ultimi si ostinano a chiamarsi «compagni».

Però, questa volta, non c’è lui.

Per la prima volta un’assemblea radicale non vede la partecipazione fisica del leader. All’ultima assemblea mancava Marco. Almeno non si potrà dire che come Crono, Pannella ha mangiato un’altra volta i propri figli, come si dice da quarant’anni. Sarà chiaro (forse adesso che non c’è lui) che questi figli si mangiano da sé. Come poi è sempre successo in passato.

Un’avvertenza. Non aspettarti un pezzo facile ed immediato da leggere. I radicali non sono così perché il mondo non è così. Take your time. Se hai testa e pazienza per voler capire vai pure avanti, altrimenti scrivi pure un’offesa a caso («Capezzone!» essendo sempre la più gettonata) e passa oltre, grazie. Se non ti va di capire, questo pezzo non ti servirà a nulla, e stanne pur certo le tue offese non cambieranno una virgola per me. Ma invece se hai dubbi o domande cercherò di risponderti molto volentieri. Se ci sono cose che «non ti tornano» (o su cui puoi dare una interpretazione migliore della mia) sarei felice che tu commentassi con una nota a fianco o con un commento sotto. Ah, per favore premi sul cuoricino che c’è in fondo alla pagina per permettere anche ad altri di vedere quest’articolo se lo ritieni utile (costa poco ed è utile), oppure condividi questo post su Facebook o Twitter. Grazie.

Un manifestante urla offese a Pannella.

È veramente difficile spiegare «i radicali» a chi non ha avuto la pazienza di star loro dietro e ha ascoltato, almeno sporadicamente, la quantità di argomenti che questi hanno prodotto in questi anni.

Servirebbe un sunto, uno «spiegone» come questo, praticamente ad ogni riunione (finanziatemi e lo farò io 😀). Servirebbe qualcuno che intermedi e che filtri, che comprenda e riduca a dimensioni trattabili tutta questa complessità per renderla comprensibile in parole semplici, che snodi le formule e che disambigui i significati.

Insomma servirebbe una stampa degna di questo nome.

Negli ultimi quarant’anni l’informazione italiana ha prodotto solenni boiate. Se si esclude qualche outsider, la stampa italiana (ne sei convinto tu più di me) non ha mai brillato per onestà e correttezza, nemmeno quando il tema era già semplice e alla portata di tutti. Sono pochi gli italiani che leggono i giornali e che guardano i telegiornali, e praticamente nessuno crede a ciò che dicono i giornalisti. Per lo più è propaganda. Ma poi, chissà come, quando si tratta dei radicali, le ricostruzioni giornalistiche diventano magicamente autorevoli per tutti. Le opinioni balorde della Repubblica di Eugenio barbapapà Scalfari, che ha un particolare zelo nel travisare le cose radicali (e lui era radicale, lo sai sì?), o quelle di Marco Travaglio (o Travisaglio, come lo chiama Massimo Bordin), diventano Cassazione a Sezioni Riunite anche quando affermano qualcosa che è facilmente confutabile. Basterebbe leggere le fonti. Basterebbe solo informarsi per capire che l’informazione fa acqua da tutte le parti.

Ma chi ha il tempo di informarsi?

Marco Pannella (e Eugenio Scalfari) sono i giovani del gruppo riunito attorno a Mario Pannunzio, il direttore de «Il Mondo» (clicca la foto per leggere un articolo di Pannella su Pannunzio)

Quindi, per favore, dimentica tutto quello che sai sui radicali ed iniziamo daccapo.

Eran trecento…

Ultimo (e ormai unico) partito italiano della storia repubblicana, il Partito Radicale ha una storia che è Storia. Nessun minuto dei suoi sessant’anni di assemblee, congressi, comitati, riunioni è passato invano e con quel «privilegio della parola», che è la forma più intima del pensiero radicale, il partito ha accumulato una tale quantità di «costruzione» politica, di argomenti, di immagini e di modelli che non ci sono eguali nel panorama politico attuale. Una pesantezza inaudita.

Ma allo stesso tempo è il partito delle cose semplici e dirette, anche ingenue, come i tavolini per strada, come le proposte referendarie, i sit-in, i cortei in fila indiana (per non bloccare il traffico) con i palloncini, i comizi con l’orchestrina jazz, e con la comunicazione efficace delle sue trovate (Pannella con il bavaglio per mostrare la mancanza d’informazione, tutta la dirigenza nuda per mostrare la «nuda verità», la distribuzione in piazza dei soldi, la marijuana lanciata al pubblico). Una felice leggerezza.

La pesantezza — leggerezza della storia radicale fa in modo che i quattrocento iscritti al PR parlano tra loro con un «codice» e si ritrovano in alcune «formule magiche» che comunicano molto oltre del significato delle parole.

A volte sembra che certe «formule» sono comprensibili solo agli iniziati.

Eppure è tutto così semplice…

Entrare in questo mondo è meno complicato di quello che si pensa.

Il linguaggio modella il pensiero e il pensiero radicale ha modellato il linguaggio radicale. Basta solo capirlo. Per fortuna i radicali hanno sempre avuto un particolare predilezione a non buttar mai via nulla. Proprio perché è un partito così inclusivo, ogni discorso, ogni intervento, ogni analisi, anche quella più apparentemente lontana, è parte integrante del discorso politico radicale e va, integralmente, preservata. Non si registra solo Pannella, si registra tutto di tutti sempre.

Non esiste nessuno al mondo che coltiva di più i propri archivi come i radicali. E poiché per i radicali non esiste mai una netta separazione tra il noi e gli altri, quando si può questa conservazione si estende a TUTTO.

Quindi negli archivi radicali ci trovi i discorsi radicali, quelli comunisti, fascisti, ambientalisti, innovatori, tradizionalisti, cattolici, buddisti, omosessuali, vabbé insomma qualsiasi cosa.

Nemmeno la RAI ha archivi così.

Gli archivi radicali sono una risorsa per tutti.

L’ABC del Partito Radicale

Il nome. Non è Partito Radicale ma per essere precisi è

Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito (PRNTT)

Per i radicali le parole sono importanti e la scelta di questi aggettivi è determinante. Il PRNTT

  • è Nonviolento perché il partito ha scelto questa «modalità nonviolenta» come forma di azione politica. La nonviolenza è uno di quei «valori non derogabili» dal partito non solo per gli strumenti di lotta civile ma come modello di riferimento. Ok, i radicali non mettono bombe e non fanno lotta armata, da sessant’anni, nemmeno quando era una opzione credibile ed efficace per molti altri. Soprattutto spesso e volentieri i radicali «cedono» di fronte alla violenza, svestendosi anche di quello che hanno, cioè non reagendo a violenza con violenza ma, allo stesso tempo, non «retrocedono» mai anche a rischio della vita (i digiuni) quando questo può effettivamente trasformarsi nella «speranza» di creare un cambiamento e mai per la semplice dimostrazione di una «disperazione». Sulla nonviolenza radicale come forma di lotta politica con le sue connotazioni peculiari si potrebbero scrivere enciclopedie, ma non è questo il luogo.
La classe dirigente radicale spogliata di tutto.
  • è Transnazionale perché non mette al centro della propria riflessione teorica e della propria azione un «luogo fisico» (città, paese, nazione, continente), ma agisce in una universalità indistinta che è quella del «genere umano», quale che sia la sua forma sociale e dovunque questa si trovi. Tibetani, Montagnard o bolzanini hanno la stessa identica considerazione nel partito e «il privilegio» si essere vicini (per esempio, alla sede di Torre Argentina per esempio) non ti dà alcun valore aggiunto nell’ambito delle priorità politiche del partito.
Pannella con il Dalai Lama
  • è Transpartito perché agisce con una logica inclusiva di qualsiasi tendenza o idealità politica. Il che non significa che il partito non ha una propria chiara «ideologia» ma questo è uno «strato ideale sottilissimo» vissuto come «comune sentire», per il resto nessuna preclusione per nessuno, non ci sono professioni di fede da fare per essere radicale, non ci sono «probiviri» negli statuti radicali per decidere chi è «degno» di rimanere all’interno. Un gatto lanciato in acqua avrebbe una reazione più posata di un radicale che scopra l’esistenza della proposta di introdurre i probiviri in uno statuto associativo. E poiché per essere radicale puoi essere chi vuoi, puoi anche avere qualsiasi tessera ti pare, per un radicale la tua tessera di qualsiasi partito è solo l’indicazione che puoi migliorare la storia del Partito grazie alla ricchezza di una nuova storia individuale. Il PR è il partito della «doppia tessera».

Quello che questi aggettivi (nonviolento, transnazionale, transpartito) lasciano sullo sfondo e non affermano direttamente è la caratterizzazione identitaria della persona che partecipa al Partito. Cioè la domanda è: come deve essere fatto l’«uomo radicale» (sarebbe meglio dire la «persona radicale», che chiamerò per semplicità, e anche come azione affermativa nei confronti del sessismo della lingua italiana, «la radicale»)?

Il partito ha, ed è giusto che abbia, le proprie «regole», ma nulla viene detto — per rispetto di ogni individualità — sul partecipante al partito.

La «persona radicale» è totalmente indistinta se non per l’accettazione della regola costitutiva del Partito.

Un famoso volantino di una qualche campagna degli anni ’90 rende benissimo quest’idea quando afferma: «Chiunque tu sia, quale che siano le cose in cui credi, la tua storia, il tuo gruppo, il tuo partito… ».

«La radicale» ha una sola caratteristica: paga.

Questo è il massimo articolo di «fede» che gli si chiede (590 € in Italia, la quota d’iscrizione varia in relazione alla ricchezza del paese, ad esempio in India bastano 3,33 €).

Il pagamento della quota d’iscrizione è l’espressione più formalisticamente corretta della volontà di essere parte della «società radicale».

Ma il pagamento è atto formale di accettazione di cosa?

Il contratto sociale. La forma del «contratto sociale» radicale è un’altro dei temi di base del mondo radicale (ormai troppo spesso dimenticato anche dai «giovani radicali») e discende da quella «teoria della prassi» che ha permesso al PR di sviluppare la propria peculiare forma per essere una «forza collettiva organizzata basata sull’autonoma individualità».

Il PR è uno dei pochi esempi di partito libertario, come contrapposizione con i partiti di ispirazione autoritaria (fascisti, socialisti, comunisti).

Il PR si estende oltre il modello di partito liberale quanto questo si estende oltre il modello di partito autoritario.

La forma partito non è qualcosa di teorico e vago né una costruzione culturale su cui fare solo convegni e chiacchiere.

La forma partito è scritta nello «statuto del Partito Radicale (NTT)» (lo statuto più bello del mondo, ah ah 😀) che discende da tutta la precedente storia di statuti radicali e riverbera negli statuti delle organizzazioni radicali (dai club locali alle grandi associazioni costitutive del partito).

Esistono congressi e congressi radicali che dibattono la «forma partito» (e non sarebbe male che oggi qualcuno li riascolti per rendersi conto della modernità di quelle considerazioni, anche delle più «perdenti» nei congressi rispetto alle forme di taluni «movimenti» odierni). Ci vorrebbe un bello spiegone delle forme-partito qui.

Lo Statuto comunque si compone di due parti: una dichiarazione di principi nel Preambolo e un contratto sociale che stabilisce le norme di funzionamento dell’«apparato» nell’Articolato.

«La radicale» che si iscrive lo fa per l’intima adesione «ideologica» al Preambolo che rappresenta con tutta la forza espressiva ed ideale «l’essere radicale oggi e sempre».

Io ci sono particolarmente legato e non posso evitare di recitarlo:

PREAMBOLO ALLO STATUTO

Il Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito

proclama il diritto e la legge, diritto e legge anche politici del Partito Radicale,

proclama nel loro rispetto la fonte insuperabile di legittimità delle istituzioni,

proclama il dovere alla disobbedienza, alla non-collaborazione, alla obiezione di coscienza, alle supreme forme di lotta nonviolenta per la difesa, con la vita, della vita, del diritto, della legge.

Richiama se stesso, ed ogni persona che voglia sperare nella vita e nella pace, nella giustizia e nella libertà, allo stretto rispetto, all’attiva difesa di due leggi fondamentali quali:
La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo (auspicando che l’intitolazione venga mutata in “Diritti della Persona”) e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo nonché delle Costituzioni degli Stati che rispettino i principi contenuti nelle due carte; al rifiuto dell’obbedienza e del riconoscimento di legittimità, invece, per chiunque le violi, chiunque non le applichi, chiunque le riduca a verbose dichiarazioni meramente ordinatorie, cioè a non-leggi.

Dichiara di conferire all’imperativo del “non uccidere” valore di legge storicamente assoluta, senza eccezioni, nemmeno quella della legittima difesa.

La spiegazione di ogni singola parola di questo testo ci porterebbe lontano e probabilmente sarebbe pure inutile. Queste parole sono aperte all’interpretazione di ciascuno quindi è assolutamente razionale «capire» ( meglio sentire) questo testo in modo del tutto personale. Proprio come se fosse un’opera d’arte.

Non esiste un’interpretazione «autentica» del Preambolo. Fattela da te.

In queste parole del Preambolo c’è tutta la storia di questo Partito non-partitico. Un partito che non ha, come ben si vede, nulla in comune con la«politica nazionale» ma si pone «oltre, al di sopra» senza assolutamente essere «anti-politico» (anzi rivendicando proprio il primato della politica).

Ma se questa è l’affermazione ideale ed è «anti-partitica» senza essere anti-politica, le regole organizzative non lasciano dubbi su cosa vuole fare il PR.

L’art. 1 (anzi l’1.1.1) recita con estrema decisione:

1.1.1. Il Partito Radicale é un organismo politico transnazionale.

Il Partito Radicale in quanto tale e con il proprio simbolo non si presenta a competizioni elettorali.

Il problema non è che il PR non «vuole» essere un «partito nazionale» ma che:

  • la dimensione nazionale non appartiene ad un ideale che ha un respiro globale
  • una eventuale presentazione nazionale (quale che sia la nazione) indebolisce la battaglia transnazionale

Basta. Non ce n’è per nessuno. Qualcuno può dubitare di questo?

Non ci si presenta. Punto. Fuori discussione.

Il simbolo. Visto che viene evocato non si può non citare il simbolo del PR.

I partiti che si sono via via richiamati al mondo radicale hanno avuto tanti simboli, ciascuno dei quali fa storia (e talvolta aneddoto) a sé: la Marianna con il berretto frigio della rivoluzione francese, la Rosa nel Pugno del partito socialista francese che Pannella ha avuto da Mitterand in persona, il simbolo internazionale della pace, la foglia di marijuana, la striscia di stelle europee.

Uno solo è però il simbolo del PRNTT: il cosiddetto «faccione di Ghandi».

Il «faccione» è una invenzione grafica superba che riesce a rappresentare assieme un intero insieme di concetti molto forti come la non-violenza con l’icona di Ghandi che si staglia nella selva di scritte transnazionali del Partito Radicale. Nel mondo radicale le polemiche sul «faccione» non sono certo mancate, come non mancarono per la «svolta transnazionale».

L’ONG. Al di là della sua «idealità» e del «metodo» con cui lavora, se il Partito Radicale, attraverso la sua creativa contraddizione, non è un Partito (e quindi non si presenta alle elezioni), cos’è?

La sua definizione è molto semplice:

« Un’associazione di cittadini, parlamentari e membri di governo di differenti nazionalità che intendono utilizzare mezzi nonviolenti per creare un corpo effettivo di legge internazionale in merito agli individui e l’affermazione della democrazia e della libertà nel mondo. »

Poiché non potrai «votare» il Partito Radicale, quello che ti viene chiesto è così semplice: iscriverti a quest’associazione, che è proprio un’associazione «come le altre sebbene sia diversa da tutte».

Iscriversi (o contribuire economicamente) è la forma attiva per costruire con il Partito Radicale questi «ideali». Quali?

Creare un «corpo effettivo di legge internazionale in merito agli individui e l’affermazione della democrazia e della libertà nel mondo».

Non finanziare il Partito Radicale se per ciò che ti riguarda anche una sola di queste cose ti lascia indifferente: adottare strumenti non-violenti, credere che si possa costruire una legge internazionale, agire per migliorare la vita degli individui, sostenere la democrazia o credere nella libertà, e non ritenere che ciò debba o possa essere fatto solo in qualche specifico paese ma debba essere patrimonio di tutti dovunque.

È tutto così semplice.

Se invece tutto questo è ok per te, allora puoi considerare l’iscrizione al Partito. Forse la tua prima iscrizione ad un Partito. Perché non sempre un Partito deve essere una cosa brutta e sporca.

Iscriversi? Ma per fare cosa?

Lo so: non ci si iscrive per gli «obiettivi», per quanto nobili siano, e neppure per un Preambolo allo Statuto particolarmente ispirato. Molti dei Radicali «storici» lo fanno esattamente per questo, e per continuare a dare una speranza a questo che è un grande sogno civile che abbraccia l’intera Umanità, ma io so bene che

«uno normale» si iscrive perché si vuole che si «faccia qualcosa».

Se ti iscrivi a Greenpeace non è per l’ambientalismo come ideale, ma perché vuoi che gli attivisti si vestano in mute plastiche (derivate dal petrolio), saltino sui gommoni (derivati dal petrolio) sgasino in mare coi loro potenti motori a benzina (derivata dal petrolio), scalino le piattaforme petrolifere per stendere dei grandi striscioni di nylon (derivato dal petrolio) per protestare contro il petrolio. E non c’è nulla che tu ritenga infelice nella contraddizione tra questi mezzi e questi obiettivi perché l’azione ha una sua evidente efficacia e Greenpeace fa acquistare a questo ideale più visibilità di altre associazioni che, eventualmente, sono anche più eco-friendly nei loro mezzi.

Le contraddizioni sono il sale della politica, basta riconoscerle.

Spesso Pannella e gli altri radicali che hanno sfondato il muro dell’indifferenza sono stati catapultati nella vita politica come portabandiera di una «campagna».

Sono anche un po’ noiosi quando continuano a ripeterlo come dei dischi rotti: e il divorzio, e l’aborto, e l’obiezione di coscienza, e il voto ai diciottenni, e lo sterminio per fame nel mondo, e il maggioritario uninominale, e la legalizzazione delle droghe leggere, e l’eutanasia e l’amnistia ecc. ecc.

La politica dei radicali, che non è mai stata una politica «di partito» non è pensata per affrontare qualsiasi tema del «teatrino della politica». Questa non è una debolezza ma la forza di un partito che, ricordiamolo, conta più o meno quattrocento iscritti. I radicali si concentrano su pochi temi, anzi spesso addirittura uno solo, e provano a «sfondare» il muro del silenzio per permettere all’opinione pubblica (che a scanso di equivoci siamo tutti noi) di confrontarsi con qualcosa che probabilmente gli è alieno, ma su cui è giusto che esprima un’opinione (altrimenti quest’opinione la esprimerà solo chi è interessato a quella cosa, a discapito di tutti gli altri).

Proprio perché i temi sono scelti dai radicali con un profondo lavoro di analisi della realtà (e proprio perché liberi dai legami della «politica di partito» senza vincoli di potere), è facile «azzeccare il tema giusto» (ma anche no, a volte capita) e comprendere, interpretare ed entrare in sintonia con «la maggioranza degli italiani».

Il problema è che il tema giusto, il più urgente e rilevante, su cui esiste una maggioranza di italiani ampiamente favorevole è spesso quello che tutti gli altri assolutamente non vogliono che si tratti perché, il più delle volte, rende più forti le contraddizioni di una politica fatta da accordi sottobanco, favori e regali che si fanno tra loro i partiti che (come spesso dice Pannella) «come i ladri di Pisa, litigano di giorno e vanno a rubare insieme di notte».

La maggioranza degli italiani favorevoli al divorzio non erano radicali, erano cattolici, eppure i radicali a quel tempo (e c’è poco da argomentare contro) interpretarono meglio il loro modo di pensare, a differenza di quanto fecero i partiti cattolici che rispondevano più alle gerarchie ecclesiastiche che non al sentimento dei credenti.

Nessun radicale immaginò che dopo l’enorme successo dei referendum sulvinti si potesse scendere «in politica» e diventare il primo partito d’Italia.

Anzi. Per dirla tutta quando c’è stato il rischio che il Partito Radicale avesse un consistente successo elettorale si scelse (e il contributo di Pannella fu determinante in questo) di «biodegradare» quell’esperienza politica ed imporre la non-partecipazione del partito alle elezioni (da qui l’art. 1.1.1 dello statuto richiamato sopra).

Un partito «forte» nelle istituzioni avrebbe voluto dire un partito debole nel pensiero (e probabilmente un partito corrotto — perché i radicali non è che sono geneticamente meno ladri degli altri, solo che ci si sta attenti).

Elencare le «campagne» radicali è inutile. Ma si può notare che vista la consistenza numerica del partito, in media quattrocento iscritti (sì proprio 400) e le magrissime finanze utilizzate per raggiungere gli scopi (sempre auto-finanziate e mai a spese del cittadino italiano), l’«impresa radicale» potrebbe essere studiata come una delle organizzazioni con il ROI (return on investment) più alto del mondo in assoluto. Tutto sommato pochissime persone sono spesso riuscite (e qualche volta no) a mettere in moto meccanismi tali da trascinare i parlamenti di mezzo mondo a prendere decisioni rilevanti su temi molto sensibili (come la moratoria sulle esecuzioni capitali).

Il “ritorno sugli investimenti” si misura non solo nel cambiamento prodotto nel modo di essere e pensare delle persone, ma anche direttamente in riforme, cambiamenti legislativi, nuovi diritti e nuove possibilità, e non solo nei diritti di famiglia e nei diritti umani (dove i radicali hanno il loro core-business).

Ogni euro dato al Partito Radicale è stato fatto fruttare in libertà, democrazia e diritti.

La mozione ed oltre

La politica del PRNTT non è concentrata su i temi «classici» cari ai radicali, che spesso sono affrontati e superati. Il partito si lascia alle spalle organizzazioni o associazioni che presidiano quel particolare campo d’azione. Queste associazioni nascono con una forte connotazione radicale e poi la perdono per la strada, via via che il tema diventa più mainstream, visto che accolgono persone di altra estrazione politica e con altra forma-mentis. Non è raro che quando «il grande pubblico» si accorge di una battaglia politica radicale, i radicali stanno già facendo altro.

Le forze del partito sono limitate e la politica è quindi «scelta di priorità». Ma dove sono le priorità del partito?

Le priorità d’azione sono delineate nella Mozione del Congresso (l’ultima è del 2011). Per come viene realizzata, la Mozione è un documento lungo e complesso e non sempre di immediata lettura (pur essendo di gran lunga meno difficile di un articolo medio di Eugenio Scalfari, per dirne una).

La mozione è lo «strumento di lavoro» degli organi del partito, gli unici ad avere un «impegno», che dovranno «dare corpo» a quanto il Congresso gli chiede.

La mozione è un ponte tra quello che è stato possibile realizzare fino al Congresso e quello che si immagina di poter fare dopo e risente molto delle effettive presenze nel Congresso. Non tutto quello che c’è su una mozione potrà essere realizzato, a volte le condizioni politiche globali potranno superare immediatamente i desiderata di parti della mozione, per altre cose invece si deve semplicemente prendere atto che non esiste la forza e le condizioni per riuscire ad agire a livello locale o transnazionale.

Ma se la mozione cristallizza ciò che va fatto, ovvero dove orientare l’impegno delle poche risorse disponibili, è importante anche ciò che i radicali (liberi) fanno, singolarmente o assieme per «dare vita» a questi impegni.

Ad esempio la parte della mozione che chiede agli organi dirigenti di impegnarsi

a operare per l’attivazione concreta delle giurisdizioni o quasi giurisdizioni internazionali a tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali;

Qui, per scendere nel dettaglio dei fatti attuali, si innesta tutta una riflessione che parte fin dall’impegno dei radicali per evitare la Guerra del Golfo proponendo la deposizione di Saddam, che poi divenne una campagna per evitare la pena di morte del dittatore iracheno e per conoscere la verità sulle condizioni che portarono alla guerra, fino alla scoperta delle bugie di Blair e Bush (la campagna radicale con il dominio più lungo del mondo http://bushblaircontrosicurapacefeceroguerrairakimpedendoesilioasaddam.it ).

Il risultato di questo lunghissimo percorso si è aggiornato, integrato e modellato via via nel tempo sotto gli slogan «Stato di Diritto contro Ragion di Stato» e, più recentemente come «S.O.S. Stato di Diritto» che sta definendo, ed era il tema del discorso della mensa, una battaglia radicale per l’affermazione del «Diritto alla Conoscenza» come diritto umano.

Il «fante radicale»

Il problema delle «campagne radicali» è che non esiste un apparato di partito e non c’è un granché di organizzazione neppure, anzi c’è una scientifica disorganizzazione. Esistono queste belle idee che sono formalizzate nelle mozioni dei congressi ma, bé… non c’è la truppa per «vita» a queste idee.

E allora come si fa?

L’ho già detto che quello Radicale è un partito libertario? L’art. 2.1.2 dello Statuto così recita:

2.1.2. Le mozioni politiche adottate con la maggioranza dei 2/3 dei votanti sono vincolanti per gli organi esecutivi.

Questo è il massimo impegno che lo statuto pone su qualcuno.

Sei sei organo esecutivo (presidente, tesoriere, segretario) e la mozione politica è stata adottata con il 2/3 dei votanti allora, e solo allora, la mozione è «vincolante». Altrimenti neppure.

Un’organizzazione con queste regole è del tutto inadatta a «realizzare» qualcosa

(almeno per il modo comune di pensare). In una organizzazione che funziona, si pensa di solito, dovrebbe esserci qualcuno che decide, qualcuno che esegue, e tutti che sappiano esattamente qual’è il loro posto e cosa devono fare.

Invece qui sembra quasi che nessuno voglia prendersi un impegno. E questo è bellissimo perché rispetta profondamente la natura libera della radicale. Una volta lanciata una campagna e decisi gli obiettivi, scelti gli strumenti, messi i passi uno dietro l’altro semplicemente non c’è nessuno che deve farli.

E quindi molti che li fanno.

In questo si misura la grandezza di Pannella. Lasciamelo spiegare. Pannella non è nessuno all’interno del Partito (non lo so, forse ha pure qualche carica credo Presidente Onorario, ma è del tutto ininfluente, avere una carica al limite vuol dire che LUI deve impegnarsi a fare qualcosa non che può chiedere a qualcuno di farla).

Quello che Pannella fa e ha sempre fatto meglio di chiunque altro nel mondo radicale è interpretare la battaglia radicale, usare letteralmente il proprio corpo per dare corpo all’obiettivo che si è deciso di raggiungere. Senza risparmiarsi mai. E in questo modo convince, prima i radicali e poi tutti gli altri a mobilitarsi per quell’obiettivo.

Io sono un «fante radicale», non ho mai avuto la velleità di fare altro (o il tempo o la voglia). Se uno viene da me e mi dice: sono un DIRIGENTE DEL PARTITO e tu devi fare questo per la nostra battaglia, allora io gli faccio marameo, scrollo le spalle e me ne vado, e se proprio sono in vena di feedback gli dico: «ah sì? E sticazzi!».

Invece se la campagna è valida, se muove un interesse personale, se le parole che la presentano sono convincenti e se è forte l’esempio di chi per primo la incarna (indipendentemente dal suo ruolo all’interno del partito) allora si crea quella magia per cui un partito di poche anime diventa un fiume impetuoso della più varia umanità in cui, qualunque sia il suo motivo, ciascuno contribuisce come può, dove può, con quello che può.

Certo, ogni tanto un po’ di organizzazione non guasta.

Ma l’organizzazione più efficace che mi è capitato di vedere è uno che porta un tavolino pieghevole e un po’ di fotocopie da qualche parte e Rita Bernardini da Radio Radicale che dice: «a piazza Tal dei Tali ci stanno un po’ di compagni che fanno questo e quell’altro: andate ad aiutarli». E chi può schioda il culo dal divano e va, arriva al tavolino e nessuno ti chiede chi sei, che vuoi, che pensi, dove vuoi arrivare. Ti piazzano in mano i volantini, o ti fanno raccogliere firme o boh… fai quello che c’è da fare.

Ovvio che sto semplificando, ma veramente la cosa non è poi tanto più complicata di così.

E incredibilmente funziona.

L’eredità di Pannella

L’eredità di Pannella è il modo con il quale lui ha interpretato e ci ha insegnato ad interpretare le semplici regole dell’essere radicale, il metodo con cui si affrontano le cose e si costruiscono le agende (perché gran parte della politica — quella che non sempre ha a che fare con i partiti — è tutta una questione di timing). Su questo, Pannella è stato solo uno dei tanti che hanno contribuito.

Perché il problema della politica non è dirla, ma farla: cioè renderla agibile e alla portata di tutti, saper manovrare i pezzi come se fossero lego per avanzare il mondo anche di un solo passo.

Per chi vuole leggerlo esiste un breve pezzo di Pannella che spiega cos’è una «radicale», è illuminante:

Noi siamo diventati radicali
perché ritenevamo di avere
delle insuperabili solitudini e
diversità rispetto alla gente,
e quindi una sete alternativa
profonda, più dura,
più “radicale” di altri…
Noi non “facciamo i politici”,
i deputati, i leader …
lottiamo, per quel che dobbiamo
e per quel che crediamo.
E questa è la differenza
che prima o poi,
speriamo non troppo tardi,
si dovrà comprendere.

La «galassia radicale»

Non so chi ha usato per la prima volta l’espressione «galassia radicale» per rappresentare l’insieme, abbastanza informe, di organizzazioni, associazioni, etichette e gruppi che, in una forma o l’altra, si richiamano al Partito Radicale.

Il Partito Radicale (PRNTT) è però «costituito» da un piccolo numero di associazioni radicali che nel proprio statuto riportano la dizione “costituente il Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito”. Una associazione in regola deve presentare richiesta ed essere accettata dal Senato del Partito. Le associazioni costituenti sono attualmente:

L’ultima ad essere riconosciuta come costituente del partito, nel 2011, è l’«Associazione Certi Diritti».

A queste associazioni che possiamo considerare «primarie» del mondo radicale si affiancano le associazioni radicali previste dall’art. 3 dello statuto, che sono autonome sia in termini di statuti che di finanziamenti, parlano ed agiscono in nome proprio e non del partito e non «hanno titolo per esercitare il monopolio della presenza organizzata del partito radicale in un ambito territoriale».

Le associazioni radicali nascono per essere funzionali agli obiettivi del Partito e permettono di allargare l’influenza delle battaglie radicali ed evitare la confusione tra una specifica battaglia e tutto il resto delle attività delle varie etichette radicali. In tal modo si permette a persone che vogliono impegnarsi solo su specifici temi di rimanere focalizzate solo su quel tema.

La posizione di «Radicali Italiani» in questo panorama delle associazioni è particolare ma lascio questo ad un eventuale prossimo «spiegone» sulla non-contraddizione tutta radicale della presentazione di liste (non) radicali da quando i radicali si sono ritirati dalle competizioni elettorali e perché la decisione di farlo quest’anno sotto un simbolo denominato «Radicali» è una cosa strana e, per me, anche un po’ urticante.

Conclusioni

I radicali rappresentano una singolarità galattica nel mondo della politica italiana. È completamente incomprensibile l’azione politica dei radicali, e in particolar modo di Pannella e Bonino, se non si cala nel suo contesto transnazionale, per quanto questo sogno rimanga in gran parte ancora irrealizzato.

<L’ABC dei Radicali>

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