Il Nastro d’inchiostro

Federico Ruysch
Nulla Dies Sine Linea
2 min readApr 28, 2016

Ho un vago ricordo del giorno in cui mio padre — non saprei dire in quale occasione, né come si fosse arrivati a quello — prese una fascetta di carta e la chiuse ad anello. Ci giocherellò un po’, poi la aprì e, dopo averla ritorta, la chiuse a formare una curiosa figura. Una corona sghemba, ammaccata, eppure, a suo modo, assai bella:

«Guarda, questo è un Nastro di Möbius.», mi disse, con il tono di chi non stesse svelando, in fin dei conti, nulla di eccezionale.
Poi, invitandomi a percorrere il nastro con il dito, senza mai staccare la mia pelle dalla carta ruvida e bianca, aggiunse:

«Puoi farlo all’infinito, senza fermarti mai…».

Non ho alcun ricordo del giorno in cui, studiando su un libro di matematica o curiosando in qualche articolo di filosofia, appresi qualche nozione in più di matematica topologica, scoprendo che il Nastro di Möbius, oltre ad essere una delle più affascinanti rappresentazioni dell’infinito, è anche uno strano oggetto, dotato di un’unica superficie e di un bordo soltanto.
Pertanto, per chi dovesse vivere nell’ansa più ombrosa del nastro, un abitante dell’ansa illuminata sembrerebbe irraggiungibile, confinato in un piano di realtà separato. Eppure, quello che il Nastro di carta mi ha insegnato è che non esiste alcuna “altra parte”.
Tutto ciò che ci pare agli antipodi, antitetico, e antipatico… non è altro che qualcuno con il quale condividiamo lo stesso lato del mondo. L’unico lato che esista, a ben guardare, di questo strano mondo di Möbius che, a causa di pieghe, anse ed ansie, torsioni e tensioni, ci fa sentire distanti e impossibili storie e persone che, invece, non sono nient’altro che noi…

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