La Cavia molto savia
La luce dei neon, pallida e diffusa, si rifletteva su mobili bianchissimi e su ripiani d’acciaio, rendendo la stanza del tutto simile ad un paradiso dai tratti celestiali ed industriali, insieme. Era un luogo asettico, seppur rassicurante ed inquietante, insieme.
Al centro dello spazio — ch’era un labirinto di tavoli da lavoro, carrelli colmi di provette piene di liquidi colorati, faldoni di fogli, bloc-notes traboccanti di appunti, e lavagne dalle superfici ricolme di grafici, formule e schemi — vi era un altro labirinto, su di una scrivania, ed era costruito con plastica e legno, a dimensione del suo piccolo ed unico abitante: Poldo, un curioso e tondeggiante porcellino d’India, dal manto bianco e beige, e dagli occhi neri, grandi, e perennemente terrorizzati.
Il professor Loch — uomo alto e composto, dai tratti somatici duri e l’espressione severa scolpita nel volto — si avvicinò al labirinto nel quale il porcellino d’India correva, avanti e indietro:
«Buongiorno, Poldo. Vediamo quanto tempo impieghi, oggi…», disse, inforcando gli occhiali ed adagiandoseli sul naso, con un tono di voce che pareva più quello di un uomo intento a parlare tra sé e sé, piuttosto che quello di una persona onestamente convinta di poter intrattenere una conversazione con una Cavia da laboratorio. Poi, il professor Loch prese una piccola rondella di carota, e la nascose in una stanza del labirinto che poteva essere raggiunta soltanto attraverso uno specifico percorso.
Non appena Loch ebbe adagiato quel succulento premio, Poldo arrestò la sua corsa, e annusò l’aria. Poi andò ancora un po’ avanti e indietro, si alzò ritto sulle zampe posteriori, ed annusò nuovamente, come a voler scoprire quale fosse l’aroma di quel cielo di cemento e neon che sovrastava ogni cosa, nella stanza incolore nella quale, ne era sempre più certo, doveva esservi, da qualche parte, un succulento dischetto di color arancione brillante.
Rapido e goffo, Poldo si mise a correre, guidato dal suo olfatto e da quella che pareva essere una genuina scintilla di intelligenza. Svoltò a destra, poi a sinistra, poi ancora a sinistra e subito a destra. E raggiunse, in un istante, il meritato premio, che lesto afferrò tra le zampe anteriori, prima di iniziare a rosicchiarlo con gusto.
«Ben fatto! Ottimo risultato…», constatò Loch, tra sé e sé, allontanandosi dal labirinto di Poldo, per andare ad annotare qualcosa su una pila di fogli ammonticchiati su un altro tavolo.
Non visto, Poldo ripercorse il labirinto e tornò nella piccola tana di legno, portandosi appresso ciò che restava del suo dischetto di carota.
Una volta dentro, adagiò la ricompensa sul minuscolo tappeto orientale, finemente intrecciato, che impreziosiva il pavimento della sua tana, sulle cui pareti facevano bella mostra di sé le riproduzioni delle più belle opere d’arte — umane ed animali — mai vedutesi sulla terra. Un piccolo schermo digitale si accese, accanto alla poltroncina di paglia, in un angolo della tana. Vi comparve il muso di un porcellino d’India più anziano che, con tono marziale, domandò:
«Come procede l’esperimento, Poldo?».
«Va tutto per il meglio, professor Pallino. L’umano non sospetta nulla… è fermamente convinto di essere lui a condurre lo studio…».