I furbetti del parlamento, il dovere, la scuola.

Pietro Gavagnin
Nuovi Media NuovaMente
5 min readAug 10, 2020

In merito ai furbetti del Parlamento italiano che hanno approfittato indecentemente del bonus messo a disposizione delle partite IVA nel periodo di lockdown, a proposito della legittimità puramente formale (legale) del loro operato che cozza in modo vistoso e drammatico con la immoralità del loro stesso operato (Kant ha scritto pagine illuminanti sulla contrapposizione tra eticità e legalità) vorrei segnalare alcuni appunti da “uomo di scuola” visto che la scuola è la materia che conosco meglio avendoci passato da docente buona parte della mia vita.

Due sono le cose che mi sono venute subito in mente leggendo dello scandalo dei furbetti:

1) Durante il periodo di “chiusura forzata” e di DaD, nel cicaleccio del dibattito che ci accompagnò fino a giugno e soprattutto alla fine del periodo “a distanza”, in vista degli scrutini o degli esami finali, molti si “stracciarono le vesti” e si scandalizzarono per il fatto che la valutazione sommativa non fosse possibile e non si capacitavano di dover dare più spazio ad una valutazione “formativa”. Mi viene in mente tra le tante ridicolaggini lette nel periodo, le perplessità di un collega della scuola primaria (dicasi primaria, ex scuola elementare, voglio dire!) che non riusciva a capacitarsi del fatto di dover valutare i “suoi” bambini, che si immaginava tutti intenti a pensare al modo migliore per imbrogliarlo e gabbarlo (superare le prove da lui proposte con aiuti di tutti i tipi, utilizzando gli ultimi ritrovati della tecnica e con il benestare di mamme e papà o nonne disponibili all’uopo).

Mi aveva tanto colpito il messaggio (che è un messaggio di fiducia nulla per gli studenti e quindi del tutto antieducativo) che non ho potuto fare a meno di conservarlo. (a proposito sono da segnalare i quattro like)

Questo presunto maestro credo debba ricollocarsi con i piedi per terra: o crede di insegnare all’università o a un corso comunque di formazione superiore o deve riguardarsi alcune pagine importanti di pedagogia o di didattica che riempiono gli scaffali di chi si occupa di scuola almeno da 50 anni.

Non è accettabile entrare in crisi come insegnante solo perché non è possibile controllare fino in fondo i discenti. Lasciando pure perdere le citazioni dotte (mi viene facilmente in mente “Sorvegliare e punire” del filosofo francese Michel Foucault) è da sottolineare il fatto che tra docente e discente si deve necessariamente curare “la relazione” e che nella relazione una parte importante e fondamentale è fatta di fiducia dell’uno verso l’altro. Nel caso citato il docente sembra non avere alcuna fiducia del proprio discente (e della sua famiglia): allora non si capisce come mai il discente dovrebbe provarne verso il proprio docente!

Ma ritornando all’argomento in epigrafe, la fiducia dunque è ciò che sostanzializza la relazione; la fiducia è obiettivo fondamentale del processo educativo e, proprio nella fiducia, ci si deve riparare nei momenti di “crisi”. In tali periodi si devono accantonare le pratiche formali e abbandonarsi con fiducia all’altro.

I furbetti di Montecitorio probabilmente sono stati educati alla non-fiducia: quella che non non si abbandona, quella che anche nei momenti di difficoltà non vede “gli altri” ma sempre e solo se stessi, quella che non sente la moralità (l’imperativo categorico del dovere) non si inchina al “rispetto” di chi la incarna e si inchina sempre e solo ai propri affari personali.

Certo il Dpcm del “buono IVA” non fissava paletti: la situazione probabilmente non era tale da poter inserire lacciuoli legali e richiedeva la massima semplificazione. I parlamentari e tutti coloro che ne hanno approfittato non sono stati educati all’etica.

È tempo che la scuola educhi al dovere, al bene, alla relazione: in una parola alla moralità. Si lasci dunque perdere una volta per tutte il culto verso le nozioni fine a se stesse (che, si badi, pure ci vogliono). È questa la strada imboccata ormai parecchi anni fa dalla pedagogia delle competenze, la cui pratica, ahimé, è ancora molto lontana dalle consuetudini didattiche nella maggioranza delle scuole al di là delle formule, degli adempimenti e delle belle “facciate”.

2) La seconda considerazione che voglio sottolineare è invece un elogio della classe docente. Certo non tutti si sono comportati (e si comportano anche in periodi normali) secondo le buone norme di moralità, ma durante la situazione di emergenza molti sono stati coloro che si sono rimboccati le maniche senza alcuna considerazione personale o personalistica, senza badare se la strumentazione fosse della scuola e non dell’azienda (in quale altro lavoro il personale utilizza la strumentazione personale?), senza alcuna considerazione legale contrattuale (Chi mi paga per le cose che magari faccio in più rispetto a quello che mi viene richiesto? Perchè devo agire rispetto a una situazione non preventivata e non ipotizzata in fase contrattuale?), senza badare al tempo rubato alla situazione personale familiare (che in molti casi magari era problematica!), senza perfino alcuna garanzia meramente salariale (non pochi sono i casi di supplenti che hanno continuato il loro lavoro e la loro relazione con la scolaresca, al di là della fine temporale del loro contratto).

Certo come sempre ci sono stati anche coloro (i soliti furbetti che esistono, come si vede, in ogni categoria!) che hanno preso l’occasione della DaD per svignarsela. Conosco personalmente colleghi che si sono “rifugiati” nelle seconde case di vacanza o che si sono astenuti del tutto per una Dad, dicendo (soprattutto all’inizio del Lockdown) che avrebbero aspettato che tutto passasse (Ha da passà ‘a nuttata…) non rendendosi probabilmente conto di ciò che stava succedendo a livello planetario!

Ma al di là di casi veramente rari, la stragrande maggioranza dei docenti ha reagito mettendosi al lavoro alacremente, rimboccandosi le maniche e cercando di fare scuola anche alla meno peggio. Certo sbagliando anche, confondendo procedure e tempi in presenza con procedure e tempi a distanza, ma facendo, lavorando, progettando, formando gruppo, chiedendo consigli, studiando!

Bene, anche qui era questione di dovere, di etica. Di quella cosa a volte risospinta indietro e relegata nei recessi dell’animo di una categoria che ha subito negli ultimi anni, per più cause, una vera batosta sociale: non solo economico-salariale ma di prestigio o almeno di considerazione sociale. Una batosta che certo non favorisce il “dovere”, la “leatà”, il “coraggio”, la “fatica”, il “lavoro” ma che soffoca invece tutti questi positivi atteggiamenti, li spegne… Invece ecco: nonostante non ci fosse scritto da nessuna parte, nonostante i bastoni tra le ruote che mettevano talvolta i soliti burocrati, nonostante i dubbi dei soliti sociologi e dei tanti leoni da tastiera, eccoli là i docenti!! Lavorano, si collegano, si inventano attività, discutono, imparano anche loro, sperimentano!

Dunque hanno toccato con mano e sentito il senso del “dovere”! Non c’era bisogno di vederlo scritto da qualche parte. Lo sentivano e questo bastava. Così come sarebbe dovuto bastare il dpcm del “bonus partite IVA” se ci fosse sempre l’educazione all’etica del dovere e del rispetto, etica molto spesso — forse anche per colpa della scuola — nella nostra società del tutto dimenticata.

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