La domenica pensante

Roberto Maragliano
Nuovi Media NuovaMente
5 min readAug 27, 2017

--

Ricalcando la tradizione anglosassone, sia pure con colpevole ritardo, da qualche tempo i quotidiani italiani pubblicano, la domenica, articoli o addirittura grossi supplementi pensosi e pensanti: talora, ammettiamolo, un poco pesanti. Comunque, leggendoli o anche soltanto odorandoli (un titolo d’effetto qua, una frase evidenziata o un nome di quelli ‘sicuri’ là) si ha modo di individuare i temi che la parte considerata illuminata dell’intellettualità, e quella che aspira a farsi illuminare, valutano come degni di seria attenzione.

Constatando la veridicità di una simile regola su quanto di più rilevante l’edicola fisica o virtuale propongono nella giornata di oggi (27/08/17), salta subito agli occhi che alla questione del digitale e della rete e soprattutto a quella del futuro che si prospetta per il mondo della cultura e del lavoro è riservato un posto di rilievo.

Almeno questa volta, i toni prevalenti non sono quelli del lutto per ciò che si starebbe perdendo, ma riflettono, piuttosto, la necessità di una razionale presa d’atto dei cambiamenti già intercorsi, accompagnata dal bisogno di individuare quanto si dovrebbe e potrebbe mettere in cantiere, o addirittura si sta già allestendo, al fine di fronteggiare tali novità. Lo sguardo, insomma, è una volta tanto volto al futuro, e non si alimenta solo di preoccupazione.

“Ogni rivoluzione storica è stata accompagnata e in parte guidata da una rivoluzione concettuale. In altre parole, ogni epoca ha la sua filosofia, che la interpreta e la guida. Oggi è chiaro che più viviamo iperstoricamente, in simbiosi con il digitale e le sue ICT, più la filosofia di cui abbiamo bisogno deve occuparsi del fenomeno dell’informazione. E’ per questo che la filosofia del nostro tempo per il nostro tempo è la filosofia dell’informazione. Elaborarla non sarà facile, ma è possibile, è soprattutto necessario, se vogliamo creare un’iperstoria migliore della storia che ci ha preceduto”: questo sostiene Luciano Floridi (su Repubblica) invitandoci a riflettere sul rapporto fra storia e scrittura e sull’addensarsi di tale rapporto per effetto di due fenomeni costitutivi della mutazione digitale, la moltiplicazione e l’impossibile cancellazione delle scritture: quanto, cioè, ci farebbe vivere dentro una condizione ‘iperstorica’, diversa da quella ‘storica’ di ‘prima della rivoluzione’.

Gli fa eco, da Il Sole 24 Ore, Luca De Biase quando afferma che “il futuro non è un destino ma un progetto”, e lo fa a conclusione di un ragionamento sulla necessità di prepararsi e preparare al lavoro del domani: “…l’intelligenza artificiale aumenterà le capacità degli umani analizzando per loro molti dati, immagini e informazioni, ma è ben lungi dal poterli sostituire … questo può trasformare il lavoro in diversi modi, tutti da approfondire. Ma l’impressione è che a uscire dal mercato più velocemente saranno i professionisti che non impareranno a comprendere queste tecnologie: chi le conoscerà sarà più produttivo. Come dicono all’Ocse, solo un 10% -non un 47%- dei posti di lavoro sparirà: ma un 30–40%, semplicemente, cambierà. L’intelligenza delle macchine sarà definita dall’intelligenza delle persone che le progettano e le producono. E le usano. Questo modificherà il lavoro, dalla gestione aziendale alla fabbrica, dalla sanità alla scuola”.

In sintonia con questo modo di vedere le cose c’è infine l’editoriale del direttore de La Stampa, Maurizio Molinari, soprattutto quando, citando il Nobel dell’Economia del 2007 Maskin, sostiene che gli Stati sono chiamati a “investire in maniera energica nell’istruzione creativa” e a dedicare particolare attenzione alla necessità di “nuove forma di insegnamento”.

Allora, che problema c’è? C’è che le volte che sugli stessi fogli si parla direttamente di scuola lo si fa totalmente al di fuori di questo impegno di concettualizzazione. Ne fa fede, il modo con cui, dalle pagine di Repubblica, prendendo spunto dal monito formulato il giorno precedente da Alberto Asor Rosa, cioè di “ entrare nel merito” della duplice proposta della ministra Fedeli (riduzione sperimentale di un anno del ciclo conclusivo della formazione scolastica, innalzamento dell’età dell’obbligo), oggi, domenica, la domenica pensante, non si riesce a far di meglio e di più elevato che proporre agli insegnanti, secondo un mero ed esplicito approccio manualistico, di “innovare il metodo didattico” e, si badi bene, di “sfruttare di più le nuove tecnologie, senza feticizzarle”. Come, di fatto? Trovando in ambito letterario “collegamenti per anticipare autori del ‘900; Ariosto porta a Calvino, Boccaccio si accosta a Dario Fo, Petrarca sull’accidia si affianca a una poesia di Montale”. Da non credere. Viene da chiedersi cosa sia che acceca questa intellettualità quando parla direttamente di scuola. Ignoranza? Conservatorismo? Interesse? Tutte e tre queste cose assieme? Già qualche decennio fa il buon Umberto Eco faceva notare che questi discorsi sono sempre in aggiungere e mai in levare. E allora, si arrivi pure alla letteratura del Novecento risparmiando su qualche capitolo precedente, ma mai si proponga di individuare in che cosa la letteratura e, soprattutto, manuale e antologia, contribuiscano a risolvere la questione di preparare non al mondo che cambierà ma a quello che è già cambiato.

C’è insomma un evidente squilibro tra il livello delle considerazioni di Floridi, De Biase, Molinari e di queste ultime che ho citato. Per mettersi al livello delle prime occorrerebbe infatti chiedersi, e seriamente, se e come la “letteratura” intesa come “materia” accademica, tutt’al più da sottoporre ad aggiustamenti locali, possa essere funzionale all’obiettivo di promuovere un’istruzione creativa al passo con le mutazioni in atto, o se, proprio in forza delle possibilità offerte dal digitale (ma anche del portato storico del cultura del secolo scorso), non sia possibile, anzi doveroso, iniziare ad associare intimamente al letterario scrittorio il letterario sonoro e pure quello visivo (una questione recentemente sollevata anche dal Nobel, e su cui i giacimenti culturali nazionale si mostrerebbero particolarmente ricchi, come sanno tutti al mondo, salvo i ‘nostri’).

Non sono in grado di ipotizzare quale sarà, se mai ci sarà, la domenica in cui potremo iniziare a leggere di questo anche negli articoli dedicati alla scuola. So però che cominciano ad essere non pochi gli insegnanti che, nei giorni feriali, il problema del costruire un’iperstoria educativa migliore della storia e delle storie ereditate se lo pongono regolarmente e, grazie all’inventività distribuita tra macchine e umani, gli danno pure una risposta positiva.

--

--

Roberto Maragliano
Nuovi Media NuovaMente

Già Università Roma Tre. Mi occupo di educazione e media. Molto di quanto ho scritto e detto sta in rete su Scaffale Maragliano (https://goo.gl/XbT62M)