Pasticcio di realtà

Roberto Maragliano
Nuovi Media NuovaMente
4 min readNov 14, 2017

Questa, francamente, me l’ero persa. Forse perché distratto da altro. Forse perché insensibile, ormai, nei confronti di simili avvenimenti, dopo i tanti che m’è capitato di incrociare. Parlo della resistibile fortuna di determinate formule verbali, in ambito scolastico.

Va sempre così, ed è diventata ormai una sorta di legge. Qualcuno s’inventa o recupera da altri lidi una parola o una frase d’effetto, profumata di educazione; il detto piace e comincia a circolare, fino a che, accolto nei documenti ministeriali, è elevato ‘al rango di nobile, conferendo o trasmettendo un titolo di nobiltà’ (come dice il vocabolario Treccani) a chi se ne fa veicolo e interprete. Fin qui nulla da eccepire. Ma ciò che fa problema è che un simile meccanismo è tanto più destinato a funzionare quanto più poggia su termini ambigui. Date queste condizioni, alla formula è riconosciuto universalmente autorevolezza, importanza, eleganza, insomma successo. E così nel giro di pochissimo tempo la dizione fa capolino negli articoli accademici, diventa titolo di rubrica nelle riviste didattiche, crea attenzione e discussione persino nei social. Tutto ciò va avanti fino a quando non capita che con la stessa naturalezza con cui s’è imposto lo slogan perda di mordente e rifluisca nel dimenticatoio, lasciando spazio a nuovi ingressi. Il cimitero degli elefanti pedagogici è sconfinato, qui da noi. Ma non fa fino visitarlo. Ve la immaginate la figura che farebbe un povero malcapitato, insegnante dirigente ricercatore, allorquando si mostrasse intenzionato a portare fiori alla tomba del ‘curricolo’ o della ‘creatività’?

La formula che m’era sfuggita e che improvvisamente mi s’è riversata addosso è quella del compito di realtà. Un bel caso, non c’è che dire. Ho l’impressione che abbia buone possibilità di essere accolta tra le più significative (almeno per quanto riguarda il funzionamento storico della regola), ma che di suo aggiunga qualcosa di decisamente originale al fenomeno. Segno dei tempi. Il titolo nobiliare, infatti, se l’è conquistato sul campo non solo per i meriti classici, ossia ambiguità e vuotaggine, gli stessi che hanno garantito fortuna a tanti altri motti. Qui c’è dell’altro. Ed è roba sopraffina. Parlerei di filosofia, o, se più vi aggrada, di epistemologia (sia pure, detto tra parentesi, nella chiave della protervia e dell’arroganza). Eh sì, la classe non è acqua. Ammettiamolo, si vivono e si parlano i tempi della complessità.

Non vorrei adesso figurare da volgare materialista, ma mi piacerebbe che qualcuno dei promotori chiarisse sinonimi e contrari di questa bella dizione. Dunque, ci sono compiti che non sono di realtà? E se sì, in che cosa consistono? Mi viene il sospetto che possano essere i compiti scolastici. Se vado alle Linee guida ufficiali il sospetto diventa certezza, ahimè: si tratta, letteralmente, dei ‘contesti e ambiti di riferimento … resi familiari dalla pratica didattica’. Ai quali limiti (la realtà dell’irrealtà, insomma) si provvederebbe invitando gli studenti a misurarsi con compiti ‘reali’. Non c’è che dire: è una bella botta, questa, inferta alla scuola! Con tutto il pensiero che è stato impegnato nel sostenere l’istituzione in quanto baluardo e diga di difesa rispetto all’invadenza dell’illusorio e del fittizio! Dunque, vade retro principio di realtà!? Ma da che parte state, signori miei? E da che parte li facciamo stare, questi nostri ragazzi?

Se poi volessi poggiare queste mie veloci osservazioni su più meditate considerazioni storiche, beh non potrei evitare di mostrare come in tutto ciò si faccia sentire il residuo di una scelta classica, quella che, dai collegi gesuitici in poi, ha chiesto appunto alla scuola di fare politica e morale ed estetica (insomma ‘fare e far fare vita’) soprattutto (o esclusivamente) attraverso il classicismo.

Dunque, noi contemporanei saremmo decisamente più evoluti e generosi. Invitiamo infatti i nostri ‘collegiali’ a mettere talvolta il naso fuori, e odorare realtà, sia pure provvisoriamente. ‘Domani, ragazzi, facciamo compito di realtà. Preparatevi’.

E’ un peccato, davvero un peccato, che la realtà stessa sia oggetto, argomento, ente di difficile inquadramento. Lo dicono pure, fin dall’inizio, le voci che troviamo nei repertori frequentemente usati nelle scuole. ‘ Questo concetto pone diverse questioni sia nella scienza sia nella filosofia, entrando in contatto con la domanda ontologica dell’essere’ (Wikipedia). ‘ La nozione di r. è legata al problema tipicamente moderno dell’esistenza del mondo esterno’ (Enciclopedia Treccani). Certo, capisco che con tutto il dire e il disdire che si fa attorno al virtuale e all’‘invasione digitale’ piace avere un concetto toccaccione. Ma quanto ci costa proporlo e imporlo?

Una cosa comunque è chiara, o almeno lo è a me. Quando si parte con queste idee e per queste mete, quando si usa non già il rasoio ma l’accetta per isolare e usare concetti, si rischia di approdare al contrario di quel che si desidererebbe. Volete una prova? Prendete l’esempio di ‘compito di realtà’ più gettonato in rete. Si chiede ai ragazzi di produrre un video sull’eruzione di un vulcano per un’edizione speciale del telegiornale che ne dia notizia. Realmente? No, ovvio che no. Di fatto, quel che realmente si pretende da loro è una ‘simulazione’. Capito? La realtà più reale, quella che si contrappone alla non realtà scolastica, è la realtà simulata. Un bel pasticcio, insomma.

‘Povera, e nuda vai, Pedagogia’.

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Roberto Maragliano
Nuovi Media NuovaMente

Già Università Roma Tre. Mi occupo di educazione e media. Molto di quanto ho scritto e detto sta in rete su Scaffale Maragliano (https://goo.gl/XbT62M)