Che ci importa del Texas

Molto, a dire il vero…

Fabio Germani
Off The Benches
3 min readJun 19, 2020

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Il giornalista Cesare Alemanni parla di due Americhe, «portatrici di due memorie profondamente diverse e inconciliabili».

Da una parte l’America dei Pilgrim e Founding Fathers; degli immigrati che nel corso dei secoli, sono giunti nel Nuovo Mondo di loro spontanea volontà in cerca di opportunità che il Vecchio non era in grado di offrire. Dall’altra, l’America di milioni di uomini e donne che dall’Africa vi sono stati portati con la forza, per vivere e morire come bestie da soma.

Sembra una storia antica, che non ci riguarda ormai più. Invece è di fatto il preambolo ad un discorso tanto più ampio in cui Alemanni analizza (e contestualizza) la nascita e l’evoluzione dell’universo rap/hip hop. Non si tratta di attribuire un significato più profondo del dovuto alle cose che ascoltiamo su Spotify, sia MC Hammer o Kendrick Lamar. Si tratta, invece, di riuscire a comprendere come una storia abbia origine. Ce ne stiamo accorgendo in queste settimane di proteste in America e nel mondo: troppe faccende, anche se le consideriamo ancestrali, non sono state ancora superate del tutto (e oggi si celebra il Juneteenth).

L’idea delle «due Americhe» è la stessa che propone il premio Pulitzer Lawrence Wright nel libro Dio salvi il Texas, in Italia edito da NR edizioni. Il Texas non solo come Stato singolarmente rilevante, ma da sempre capace di anticipare trend e comportamenti poi rilevabili su scala nazionale. Uno Stato in generale conservatore, ma che al suo interno presenta tanti punti blu (il colore dei Democratici), che sono le città, in crescita demograficamente parlando e oggi più inclusive. Esistono due tipi di Texas — è la tesi di Wright, semplificando molto — , che non dialogano tra loro. Un po’ specchio dell’America attuale, polarizzata, divisa e in costante conflitto. Che ci crediate o no, il Texas non significa molto solo in termini politici (a novembre negli Stati Uniti si voterà per le presidenziali, ricordate?), ma ha avuto un impatto pazzesco nell’hip hop. Dite che è la patria della musica country e dei cowboys? Eppure il Dirty South non sarebbe quello che conosciamo, senza il contributo del Texas. Inoltre, a pensarci bene, dal country a Sua Maestà la Regina (la signora in alto, nell’immagine. Sì, lei) è un attimo. Due Texas, due Americhe. Appunto.
Link: https://bit.ly/3hG2EIs

Lo sfondo razziale delle due Americhe può essere percepito in ogni occasione, anche al cospetto dei rapper bianchi. Eminem è stato tra i pochi a rompere gli schemi, il primo dai tempi dei Beastie Boys. Anni fa girava una battuta negli ambienti hip hop statunitensi, più o meno di questo tipo: Eminem è l’unico MC a passare nelle radio country. Non è una battuta innocua. Se Em critica l’attuale inquilino della Casa Bianca (e lo fa spesso), è possibile che lo stiano ad ascoltare proprio loro, gli elettori di Trump. Solo che dopo di lui, se in giro negli Stati Uniti si sente un bianco fare rap, non è che lo si paragona, chessò, a Rakim o a un Petey Pablo qualunque, se quello è il livello. Verrà paragonato a Eminem. Ovvio, no? «Il nuovo Eminem», scriveranno i giornali pigramente. E poco importa se la sua reale condizione di vita lo rende tutto fuorché il tipo di rapper incazzato con il mondo. Per maggiori dettagli, chiedere ad Asher Roth.
Link: https://bit.ly/3eqgw7i

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Alla prossima!

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Fabio Germani
Off The Benches

Giornalista. Direttore T-Mag. Un ebook su rap e politica. Off The Benches su Medium. Mookie su Substack.