Georgia On My Mind

Riflessioni (e provocazioni) post-voto

Fabio Germani
Off The Benches
8 min readNov 13, 2020

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Le elezioni americane — queste elezioni americane — sono uno spartiacque. Si è votato durante una pandemia (che dovrebbe bastare per renderlo un evento straordinario); prima dell’election day numerose proteste sparse per gli Stati Uniti e tensioni razziali hanno scandito i tempi della campagna elettorale; l’esito del voto è chiaro, ma il presidente uscente, oltre a non ammettere la sconfitta, sta facendo di tutto per intralciare il trasferimento dei poteri. L’America non sta passando il suo miglior momento, il suo impianto sta scricchiolando. Per quanto i dati siano ancora parziali e necessiteranno di ulteriori letture in futuro, qualcosa di interessante è però già emerso dalla sociologia del voto. Per ovvie ragioni ci occuperemo delle cose che più interessano Mookie e voi cari lettori.

Vedendo in diretta la commozione di Van Jones, dopo che era stata chiamata la vittoria di Biden, mi sono illuso di essere l’unico, in quel momento, a condividere un tale momento di intimità, che ammetto avermi coinvolto abbastanza. Poi lo hanno rilanciato TUTTI online, addirittura Scanzi. Ed è finita la magia

Rispetto al 2016 è successo che il candidato democratico Joe Biden — quel Joe Biden, il presidente eletto, sì — abbia perso qualche punto percentuale tra le minoranze, mentre proprio tra queste ultime Donald Trump sia riuscito a guadagnare minime porzioni di elettorato. Ora qui si apre un mondo. Cerchiamo allora di essere precisi. La stragrande maggioranza degli afroamericani, l’87%, ha votato per Biden e altrettanto hanno fatto, in quote importanti, gli ispanici (65%) e gli asiatici (61%). Ma sono gli ispanici, ad esempio, ad avere permesso la vittoria di Trump in Florida, Stato che alla vigilia era considerato contendibile e che sembrava propendere dalla parte di Biden. Anche in Texas — ed è questo un aspetto fondamentale del ragionamento che svilupperemo a breve — gli ispanici hanno perlopiù preferito Trump.

Dati NBC
Dati CNN, 2016

Come è potuto accadere? L’America è un paese che dalla sua fondazione non ha mai smesso di correre ed è in continua evoluzione. Molto è cambiato negli ultimi anni, molto cambierà nei prossimi. L’elettorato ispanico, oggi, è tanto più eterogeneo di quanto non fosse qualche tempo fa, quando rappresentava uno zoccolo duro della base obamiana. All’interno di questo segmento demografico i gruppi sociali si differenziano un sacco — portoricani, messicani o cubani hanno tutti esigenze e sensibilità diverse — e alcuni di essi sono ultraconservatori e profondamente religiosi. Non che manchino, poi, persone di questo tipo tra gli afroamericani, che tuttavia, abbiamo visto, continuano a votare in massa per i candidati democratici. È difficile stabilire, adesso, quale elemento scatenante abbia permesso a Trump di passare tra i neri, in prevalenza uomini, dall’8% del 2016 al 12% del 2020 (chissà, le aperture sulla riforma carceraria, l’impegno per A$AP Rocky — indotto dalla famiglia West-Kardashian — , quando venne arrestato in Svezia per rissa, oppure i millantati progressi economici di cui avrebbero giovato sotto la sua amministrazione, qualsiasi cosa, vai a sapere), ma non possiamo escludere, appunto, un trend non troppo dissimile da quello degli ispanici. Cioè: chi è conservatore sta iniziando ad abbracciare l’idea di votare effettivamente per il Partito repubblicano. E potrebbe essere che un domani — difficile da immaginare ora, perciò direi piuttosto lontano — tale quota possa salire ancora e i livelli tra i due elettorati riconducibili alla comunità afroamericana bilanciarsi un po’ di più.

Kim Kardashian nel 2016 sostenne Hillary Clinton, ma successivamente ha avuto modo di incontrare Trump alla Casa Bianca per discutere della riforma carceraria, tema a lei (e al marito) molto caro, scatenando — al solito — qualche polemica
Arrivano le elezioni 2020 e sembra del tutto evidente che lei non sia tra i 60 mila che hanno votato Kanye. A proposito: presto parleremo anche di Kamala Harris

Attenzione: stiamo trattando un tema controverso, che infatti fa spesso litigare i diretti interessati. I casi Ice Cube, Lil’ Wayne, e in fondo anche 50 Cent, li abbiamo seguiti, mentre Kanye West è il paladino della libertà-di-votare-chi-dico-io. Quando Biden ha detto a Charlamagne tha God «se hai un problema a decidere se sei per me o per Trump, allora non sei nero» ha attirato comprensibilmente molte critiche. Più cresceranno le opportunità di sviluppo individuale e collettivo (e cresceranno al netto delle difficoltà che ancora persistono, pandemia permettendo), più assisteremo — forse: è un discorso incredibilmente ipotetico, sia chiaro — a ulteriori cambiamenti, a nuove istanze che sposteranno voti, fossero anche margini ristretti, da una parte all’altra.

Presto o tardi, allo stesso modo, il Texas potrà diventare uno Stato a trazione dem (Nevada, New Mexico, Colorado, a questo giro anche l’Arizona, già formano un intero quadrante blu), ma forse non per i motivi attesi, magari conteranno di più le ragioni anagrafiche (i giovani di oggi che nel frattempo saranno cresciuti) che non prettamente quelle demografiche (viste le tendenze variabili della componente ispanica, escludendo le città che già sono dei “puntini blu” all’interno di uno Stato conservatore per tradizione). La narrazione che vuole, da un certo momento in poi, i democratici sempre vittoriosi ovunque o quasi per via dei cambiamenti demografici (che in ogni caso avranno effetti sulle future elezioni) può essere al momento considerata un azzardo. Il raggiungimento di un’America post-razziale, forse, di nuovo, si compirà quando chiunque potrà votare chi ritiene più idoneo, senza stereotipi o pregiudizi di sorta.
Calma, dunque: analizziamo un passo alla volta. Il trumpismo, oltretutto, resta molto forte e potrebbe incidere nel medio periodo più della demografia.

Infatti i problemi non scompaiono con l’esito delle ultime elezioni, né provare a dipingere un futuro comunque incerto e lontanissimo è un esercizio davvero utile: il razzismo negli Stati Uniti è sistemico — chi sostiene il contrario o non vuole vedere o è in malafede. Purtroppo, in questi anni, comportamenti connessi al suprematismo bianco sono stati talvolta tollerati o stigmatizzati con colpevole ritardo, come i fatti di Charlottesville nel 2017.

Per milioni di americani terrorizzati da un uomo nero alla Casa Bianca, Donald Trump promise un elisir contro la loro ansia razziale. La mia presenza alla Casa Bianca aveva innescato un profondo panico, il senso che l’ordine naturale delle cose fosse stato sovvertito.

Barack Obama

Per questo la Georgia merita un discorso a parte. Nello Stato, teoricamente vinto da Biden (e dove da circa 30 anni non vince un candidato a presidente democratico), si sta procedendo con il riconteggio delle schede elettorali a causa dello scarto molto ridotto tra i due pretendenti alla Casa Bianca. Anche provando a immaginare che alla fine risulti vincitore Trump (non cambierebbe nulla ai fini della presidenza perché Biden avrebbe dalla sua un numero sufficiente di grandi elettori), non può non essere elogiato il mega-lavoro di Stacey Abrams, candidata a governatrice dello Stato nel 2018, che però non riuscì a vincere a causa (anche) degli stratagemmi (scorretti) dell’avversario repubblicano, Brian Kemp (in quanto segretario di Stato della Georgia era il responsabile delle procedure elettorali). Subito dopo la sconfitta, Abrams non si è persa d’animo e ha fondato Fair Fight Action, un’organizzazione contro la soppressione del voto che ha aiutato tantissime persone a registrarsi alle liste: una prima spinta verso un cambiamento politico e sociale. In giro si mormora che Stacey Abrams potrebbe ricandidarsi nel 2022, ma prima, il 5 gennaio 2021, si terrà in Georgia un ballottaggio cruciale per determinare quale partito avrà la maggioranza al Senato (circostanza che farà la differenza per la nuova amministrazione), ecco perché la sfida di Fair Fight non può dirsi ancora conclusa: anche questo Stato potrebbe cambiare segno. La capitale, Atlanta, è già da diversi anni tra i più vivaci centri della cultura afroamericana, trap e hip hop (per maggiori info chiedere a Donald Glover/Childish Gambino) ed è facile presumere quali siano stati, qui, i risultati del 3 novembre.

La vicenda della Georgia ci proietta così alla cruda realtà del presente. Quella per cui Van Jones scoppia in lacrime in diretta, poco dopo che la CNN annuncia Biden 46esimo presidente degli Stati Uniti. Come si vede il razzismo è un problema molto sentito, anche se la partigianeria delle risposte, comprese quelle sul sistema giudiziario e su Black Lives Matter, la dice lunga sul livello di polarizzazione raggiunto nel paese in questa fase storica.

Dati New York Times

Perciò perché stupirsi se la CNN, certamente per errore, passa in diretta un momento come questo?

Ed è interessante notare la crescita degli stream di FDT di YG e Nipsey Hussle il giorno delle elezioni.

Per concludere

C’entra molto con questo discorso o per nulla, non so. Ma anche noi che seguiamo da qui le vicende americane e ce ne appassioniamo spesso, mentre altre volte le osserviamo con disgusto (pensiamo ai troppi casi George Floyd), dovremmo fare i conti con la nostra coscienza. Per capirci: qual è il nostro modo di ascoltare la musica black? Fino a che punto riusciamo a comprenderla e quando, al contrario, ne facciamo sfoggio di supponenza intellettuale con il rischio di sfociare in una personalissima, sebbene innocua in linea di massima, appropriazione culturale? Sarebbe bello aprire un confronto serio su questo spunto, che per primo ha avviato Fabio Negri pochi giorni fa su The Italian Soul con un articolo sicuramente provocatorio, ma non così distante da situazioni reali e tangibili (anche mie, qualche volta, sono pronto a scommettere). Insomma, parliamone.

Altre cose di cui si sta parlando

È morta a 86 anni Lucille Bridges. Nel 1960 iscrisse sua figlia ad una scuola per bianchi di New Orleans, sfidando la segregazione del Sud.

Tra pochi giorni, il 17 novembre, uscirà il nuovo libro di memorie di Barack Obama, Una terra promessa.

I consigli del venerdì

Per restare in tema, il disco da ascoltare nel weekend è Black On Purpose di Salaam Remi. Un gradito ritorno, quello dei Goodie Mob con Survival Kit. Poi 2 Chainz (So Help Me God!), Pink Siifu e Fly Anakin (FlySiifu’s). Per un sound più funk-soul, il nuovo dei Seba Kaapstad, Konke.

L’hip hop è rimasto sullo sfondo in questa puntata. Ma era importante toglierci i sassi dalle scarpe, così da tornare presto a cose più pertinenti. Poiché il contesto rimane ingarbugliato negli Stati Uniti, il consiglio non può che essere lo stesso da due settimane a questa parte, anzi, alziamo leggermente l’asticella: leggete di tutto, leggete tutti, solo evitate le teorie complottiste (che ne stanno girando parecchie da giorni). O almeno evitate di credere a qualsiasi cosa vi capiti sott’occhio.

A venerdì prossimo!

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Fabio Germani
Off The Benches

Giornalista. Direttore T-Mag. Un ebook su rap e politica. Off The Benches su Medium. Mookie su Substack.