Just in case

Chi vota per Biden e chi vota per Trump

Fabio Germani
Off The Benches
5 min readSep 11, 2020

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La storia di Anita Hill è piuttosto esemplare. Il suo caso venne alla ribalta nel 1991, quindi molti anni prima che nascesse il movimento Me Too. Hill, che è una professoressa di Diritto, accusò di molestie sessuali il giudice conservatore Clarence Thomas, con il quale aveva collaborato e prossimo alla Corte Suprema (dove è ancora oggi), dopo la nomina dell’allora presidente George W. H. Bush.
La testimonianza di Hill venne raccolta dalla commissione Giustizia del Senato — in seguito Thomas ottenne il via libera alla carica da parte dei senatori — , che all’epoca era presieduta da Joe Biden. Non andò bene per Hill: le sue parole furono a lungo considerate poco credibili e lo stesso Biden non mostrò particolare empatia nei suoi confronti. Fu attaccata sui giornali e criticata. Non le andò bene per niente. Quello che è successo dopo, cosa ha significato la sua personale battaglia, sono tutte informazioni che si possono trovare online. Qui ci interessa soltanto sapere che tra lei e Biden i rapporti successivamente non migliorarono. Prima che l’ex vicepresidente annunciasse la sua candidatura alla Casa Bianca — siamo ormai nel 2019 — , il suo staff provò a mettere i due in contatto perché, in previsione della campagna elettorale, si temeva una ripercussione di qualche tipo per la vicenda, una seccatura che sarebbe potuta emergere da un momento all’altro. Il colloquio telefonico doveva servire a rasserenare gli animi, a dimenticare quanto accaduto (Biden aveva in precedenza già ammesso di non avere dato il massimo nel 1991, pur sostenendo di avere creduto alla sua versione). Ma stavolta le cose non andarono bene per lui. Hill respinse, diciamo così, il tentativo di riconciliazione.

L’intervista di Anita Hill alla Cnn

Pochi giorni fa, però, alla Cnn, la professoressa della Brandeis University ha dichiarato che il 3 novembre voterà per Biden e che potrebbe anche lavorare insieme a lui, se eletto presidente, su questioni legate alle discriminazioni di genere e alle molestie sessuali. Riassumendo al massimo, il suo punto di vista è che, date le circostanze, meglio Biden di Trump, ma non è solo perché non le piace Trump che voterà per Biden. Ad ogni modo, per quanto ci riguarda, la storia di Anita Hill si interrompe qua. È una storia esemplare, per tornare al punto di partenza, perché potrebbe confermare il luogo comune, che tanto comune non è, secondo cui gli afroamericani votano in massa per i candidati democratici, al netto di chi sia il candidato. Con l’occhio matematico, dei numeri e delle percentuali, le statistiche dicono effettivamente questo. Poi la realtà può essere molto diversa.

Il giudice Clarence Thomas, tanto per cominciare, è l’eccezione che conferma la regola. C’è Tim Scott, attualmente unico senatore repubblicano afroamericano. Michael Steele, che del Gop è stato presidente dal 2009 al 2011. Ed Herman Cain, candidato nel 2012 alle primarie di partito per la corsa alla Casa Bianca, morto recentemente a causa del coronavirus. Dopodiché, c’è Kanye West (Joy Villa capirà se non l’abbiamo citata per prima). Non è una battuta: Kanye West, al di là dei suoi tentativi di partecipare alle elezioni (magari favorendo Trump, o magari no, vai a sapere), è stato tra i primi a sollevare su larga scala un problema in fondo già dibattuto: ha senso che si dia per scontato il voto dei neri? E se un nero vota repubblicano, può essere considerato abbastanza nero?
Evitiamo lezioni di storia su come i due principali partiti americani si siano scambiati i ruoli, a un certo punto, nei confronti degli afroamericani, se quest’ultimi sono davvero tutti di estrazione liberal o se ce ne sono (ce ne sono, ce ne sono…) di conservatori e ultra-religiosi. Resta il fatto che è una questione affrontata da sempre, come quando Michael Jordan preferì badare ai propri affari anziché sostenere la campagna del candidato democratico Harvey Gantt contro il campione del conservatorismo, Jesse Helms, per un seggio in Senato come rappresentante del “suo” North Carolina. Per capire il senso profondo della discussione — se ne parla anche in Da 5 Bloods, ultimo film di Spike Lee, su Netflix — c’è da ricordare che qualche mese fa lo stesso Biden si è dovuto scusare per una frase sfuggita al termine di un’intervista a Charlamagne tha God per The Breakfast Club di Power 105.1, la radio che da qualche anno è la casa di Angie Martinez dopo una vita passata a Hot 97. «Se hai un problema a decidere se sei per me o per Trump, allora non sei nero», aveva chiosato Biden rivolgendosi al conduttore e tagliando corto sulla richiesta di raggiungere presto New York per approfondire alcuni dei temi trattati durante l’intervento. Non è un dibattito semplice, ecco.

Jaheim

Per fortuna ci ha pensato Jaheim a chiudere il cerchio — come Jaheim chi? Quello di 🎼 Just in case / I don’t make it home tonight / Let me make love to you for the last time, baby / Wanna cherish each moment like the last / Cause baby you’re all that I have / So just in case 🎼 — , affermando ad agosto in un video che Trump è il meglio che c’è e che attorno a lui c’è troppa disinformazione, che si è permesso ai democratici di mentire per anni e che adesso è giunta l’ora di svegliarsi.

Altre cose di cui si sta parlando

Sono passati 19 anni dall’attentato alle Twin Towers. E oggi un solo album merita l’ascolto. Questo:

La scorsa settimana è uscito Detroit 2 di Big Sean, che in Friday Night Cypher ospita tra i migliori MC di Detroit, giovani e veterani (tra i quali Eminem e Royce Da 5’9”). Lo scorso anno un progetto simile, anche se a livello più underground, fu proposto da Apollo Brown con Sincerly, Detroit.
Detroit State of Mind, direbbe Elzhi.

Travis Scott firma un nuovo menù di McDonalds, che porterà il suo nome. Non accadeva qualcosa del genere dal 1992. E indovinate un po’ chi era il testimonial? Michael Jordan, of course! Bravissimo Travis Scott che mette a segno l’ennesimo colpo, dopo il concerto su Fortnite. Nel frattempo noi restiamo in attesa di un disco almeno decente, ma sul serio.

A tutti i fan di Travis Scott: stavamo scherzando, ASTROWORLD non è stato poi così male. Newsletter più lunga del solito, questa settimana, anche Mookie se ne è accorto. Ma è servita soprattutto per ricordarvi dell’esistenza di Jaheim. A presto!

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Fabio Germani
Off The Benches

Giornalista. Direttore T-Mag. Un ebook su rap e politica. Off The Benches su Medium. Mookie su Substack.