USA 2016. La sociologia del voto

I dati, preliminari, confermano alcuni luoghi comuni che avevano anticipato il voto dell’8 novembre. Eppure non mancano elementi che aiutano a capire come sia stato possibile che la super favorita Clinton non sia riuscita a conquistare la Casa Bianca

Fabio Germani
Off The Benches
4 min readNov 11, 2016

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Il primo exit poll della CNN — exit poll che tuttavia non riguardava le intenzioni di voto vere e proprie, semmai la sociologia del voto (su base demografica, classi di età, ceto) — sottolineava che appena quattro elettori su dieci si sono dichiarati entusiasti all’idea di Trump o Clinton alla Casa Bianca il prossimo anno. Il clima di sfiducia generale, di cui a lungo si era parlato alla vigilia dell’8 novembre, veniva così confermato in qualche modo e più in generale molti dei luoghi comuni che hanno accompagnato la campagna elettorale statunitense — tipo i bianchi che avrebbero votato in maggioranza per Trump e le minoranze che avrebbero espresso la loro preferenza per Clinton — hanno in effetti trovato dimostrazione con le rilevazioni diffuse dalla CNN (indagine Pew Research Center, dati preliminari). Un esempio? Gli uomini (53%) hanno votato soprattutto per Trump, futuro inquilino della Casa Bianca. Le donne (54%) per Clinton. Ma non crediate che l’esito del voto sia il trionfo dei cliché. Qualche eccezione c’è stata e magari può aiutare a comprendere meglio come sia stato possibile che la candidata democratica — super favorita — abbia perso la corsa.

UOMINI, DONNE, BIANCHI, MINORANZE E CLASSI DI ETÀ

Gli elettori più giovani — quelli compresi nelle classi di età tra i 18 e i 40 anni — hanno votato più per Clinton che per Trump, le classi più adulte il contrario. Il 57% dei cittadini bianchi (campione 70% del totale) ha votato per il tycoon di New York, mentre i neri nell’88% dei casi (campione 12% del totale), i latini nel 65% (campione 11%), gli asiatici nella stessa quantità (campione 4%) e altre minoranze nel 56% (campione 3%) hanno votato per l’ex segretario di Stato. La ripartizione per età o genere delle diverse componenti razziali ed etniche è assolutamente in linea con il trend generale, pur mutando qualche percentuale qua e là. L’essere donna non è stato sinonimo di voto assicurato per Clinton. Molto è dipeso, infatti, dalla vicinanza politica al partito. Gli uomini e le donne che solitamente votano Partito democratico hanno espresso parere favorevole per Clinton presidente, tra gli uomini e le donne (quest’ultime nell’89% dei casi) del Partito repubblicano ha di gran lunga prevalso Trump. Che ha conquistato anche gli uomini tra gli indipendenti, mentre tra le donne la differenza non è stata così elevata: 47% Clinton, 43% Trump. In generale, è opportuno osservare, il divario di genere nella preferenza per il voto presidenziale è stato il più alto dal 1972, seppure non di molto rispetto ad altre recenti elezioni come nella sfida Bush-Gore del 2000.

IL VOTO PER GRADO DI ISTRUZIONE E REDDITO

Più il livello d’istruzione dell’elettore (bianco o no) è basso, più è probabile che abbia espresso il suo parere a favore di Trump. I laureati, al contrario, si sono schierati con Clinton. E il differenziale tra i due segmenti è il più alto dal 1980. C’è, però, in questa categoria un dato interessante che riguarda ancora le donne. Abbiamo detto che in larga parte hanno votato per l’ex First Lady, ma tra quelle non laureate è prevalso il candidato repubblicano (62 a 34, il 17% del campione raccolto) mentre tra quelle laureate, a fronte di un 51% per Clinton, un segmento rilevante (45%) ha preferito Trump.
Una delle ipotesi più gettonate della vigilia descriveva il potenziale elettore di Trump quale individuo con reddito medio-basso e poco istruito. Se la seconda voce è stata confermata non del tutto, la prima è stata addirittura smentita. Al crescere del reddito crescevano anche le possibilità di voto per il tycoon, magari non di molto (uno scarto di un punto percentuale in taluni casi), ma quanto basta per sconfessare quella che fino a pochi giorni fa era una convinzione diffusa.

COME HILLARY CLINTON HA PERSO

Nel momento in cui scriviamo i dati definitivi sull’affluenza non sono ancora stati resi noti, dunque qualasiasi considerazione in questo senso potrebbe essere ora un azzardo. Tuttavia c’è un aspetto che non può essere trascurato. Hillary Clinton — che ha vinto nel voto popolare, ma perso la Casa Bianca per il mancato raggiungimento della soglia dei 270 grandi elettori — ha superato, e di molto come ci si attendeva, il rivale tra gli ispanici. Il Pew Research Center ha rilevato tra loro il 65% dei favori per l’esponente democratica, appena il 29% per quello repubblicano. Ad ogni modo, nella componente latina, Obama nel 2008 “pescò” il 67% dei voti, arrivando poi al 71% nel 2012. È probabile, insomma, che Hillary Clinton sia riuscita a mobilitare un numero di persone, comprese quelle appartenenti allo zoccolo duro del suo bacino elettorale, minore rispetto a Obama otto anni fa e ancora quattro anni più tardi, riducendo in questo modo l’area del consenso. Una perdita — se provata dai fatti — significativa in un sistema che può permettere ad un candidato di vincere per una manciata di voti. Inoltre Clinton ha perso nella Rust Belt — “cintura della ruggine”, vasta porzione di territorio statunitense a nord che comprende Pennsylvania, Ohio, Michigan e Wisconsin –, un’area fortemente industrializzata, ma messa in ginocchio dalla crisi, che Obama era riuscito a strappare ai rivali repubblicani in entrambe le occasioni. Dopo otto anni di dominio democratico, Trump si è rivelato più abile a intercettare gli umori di una schiera spesso decisiva per la conquista della Casa Bianca.

Questo articolo è stato pubblicato su T-Mag il 10 novembre 2016.

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Fabio Germani
Off The Benches

Giornalista. Direttore T-Mag. Un ebook su rap e politica. Off The Benches su Medium. Mookie su Substack.