Game over

Attimo
ok with my decay
Published in
3 min readAug 19, 2019

25 giugno 2016

Da qualche parte nello spazio mi sembra di avere un’ombra che segue tutte le mie mosse. A volte ho dei riscontri tangibili di questa sensazione, like di dubbio gusto lasciati in giro che spuntano a fianco del mio nome utente, e penso che soltanto nello spazio delle notifiche dei social possa riconoscere quest’ombra. Altre volte invece prendo coscienza che più che un’illusione si tratta di un’aspirazione, la mia solita determinata ostinazione a non accettare questa realtà come l’unica delle realtà possibili. Invece giusto questa, abbiamo, questa realtà che ha fatto dell’Impertubalità agli eventi e alle persone una divinità, una regola, un mantra, un sistema di coordinate entro cui muoversi. La mia libertà finisce dove inizia la tua indifferenza, e come se fossi in un arcade game mi arrampico sui muri e sulle montagne per cercare di andare a scovare posti dove io possa ancora mantenere in vita certi pensieri.

Arrivo fino in cima ai colli di Bologna per mettere i piedi nei campi di grano in pendenza, dove i trattori stanno per ribaltarsi all’indietro, e accarezzo le spighe come fossero capelli di una testa ciclopica sulla quale noi finiamo soltanto per essere moscerini. Lì sento di non essere braccato dai like altrui, dalla finta casualità, guadagno un altro pezzettino di schermo dove non annodare il serpente della mia libertà quando parcheggio di fronte al tramonto, il tramonto più comodo di tutta la mia vita, e scorgo da sotto Casalecchio laghi artificiali probabilmente formatesi con i lavori per la Variante di Valico. E scendo di nuovo di livello, aggirando tornanti come fossero rimpianti, e puramente per caso scopro che a Casalecchio esiste pure un Lido, Lido di Casalecchio, uno scenario inverosimile come una spiaggia in cima al Galibier o un ghiacciaio in riva al mare. Guadagno la mia libertà dalle ostinazioni appoggiando i gomiti sopra tavoli di plastica gonfi di umidità, in un contesto più da festa dell’Unità che da Lido, due tavoli a fianco una coppia è concentrata sul gioco delle carte, una coppia giovane, che gioca a briscola e poi quando finisce la partita i due riprendono a ignorarsi guardando i rispettivi cellulari, regalandomi quella quiete dell’ineludibile di un giugno ormai morsicato fino all’osso.

E nuovi livelli si succedono uno dopo l’altro, schivando ulteriori like, ulteriori rimpianti, ulteriori rivelazioni che non cambieranno di una virgola la situazione: pedalo nella val di Zena che assomiglia al Grand Canyon, sono fuori forma, appesantito, sto finendo il numero di vite e questa console non sembra dare la possibilità di salvare la partita in corso. Tocca sopravvivere allora, non ci si può allontanare dal gamepad nemmeno per un istante, vomitare polmoni sulla salita a Loiano, contare quanti te ne sono rimasti mentre si imbocca la discesa da Sabbioni verso di nuovo Zena, e arrivare stremati all’unico bar cui Lucio Dalla ha dedicato una canzone, Agnese. Mentre sono seduto al tavolo piove un doblone d’oro dal cielo, sotto forma di fiore rinsecchito del tiglio che mi protegge giusto quei cinque minuti, si appoggia di fronte al mio piatto e per un secondo ottengo una nuova vita fatta di simboli, segni, coincidenze, premonizioni, ritorni, anche, soprattutto, ma arriva il cameriere, che non credo si chiami Agnese, ma non cambierebbe molto le cose, arriva e per svolgere il suo lavoro in modo cortese, prende senza chiedermelo quel fiore rinsecchito e lo getta per terra. Pensava di farmi un favore, ha aperto invece una botola sotto ai miei piedi cui mi aggrappo con le unghie. Riprendo il fiore, lo riappoggio sul tavolo, e fisso il cameriere, nel frattempo ritornato a portare da bere, pensando: “riprovaci ancora, dai”. Il fiore rimarrà lì, e cadrà poi nel mio zaino, e tornerà a casa con me, prima di finire fuori dalla finestra perché un temporale è arrivato, un altro ancora a morsicare le ossa di giugno. Fermi, non ci si può stare.

Originally published at somewhere, June 25, 2016

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