La Casa dei Comuni
È tecnicamente possibile amare una città senza parlarne la sua lingua. Sono anni che ritorno in una capitale di uno stato in cui non saprei nemmeno ordinare una gazzosa al bar, evidentemente le lingue non servono per ordinare al bar e tantomeno a comprendersi. O forse questo rapporto tra me e la capitale funziona esattamente per questo, perché lei non capisce me e viceversa. Eppure ogni volta che metto piede in questo stato europeo di cui ignoro l’idioma, ci provo a sforzarmi, a leggere le scritte sui muri, le insegne, i cartelli, i titoli dei giornali, leggo qualsiasi cosa incrocio, e cerco di stamparmela in mente, e come se fosse un Lego assemblo pezzi di questa lingua che mi sembra così inespugnabile e invece di combatterla ci provo a giocare assieme.Kreis, haus, farhart: dalla segnaletica stradale agli edifici pubblici, ogni pretesto è buono per montare un galeone e sedermi a gambe incrociate sui marciapiedi a inscenare storie di pirati. E così anche oggi, nonostante non fossi nella capitale ma molto più a sud, in Baviera, in una città che non vedevo da cinque anni almeno e in cui ho pensato bene di visitare soltanto posti in cui c’ero già stato, come la stazione centrale che nel decennio scorso mi sembrava un aeroporto intercontinentale. Così anche oggi, di nuovo in Germania, osavo addirittura improvvisare traduzioni e poi porgere questo modellino di Lego montato con due o tre mattoncini di seconda mano a una rappresentante della lingua locale: «Lì c’è scritto “Casa dei Comuni della Baviera”, giusto?», e la composta rappresentante della lingua locale annuiva, e le ho pure spiegato (in italiano) il discorso dei Lego, ma lei è finita a citare Lutero e gli stereotipi prussiani: «Del resto è la lingua dei filosofi, c’è un termine preciso al millimetro per qualsiasi concetto». Una lingua precisa e dunque tagliente, al ritorno al Brennero la radio alternava taglienti conversazioni tedesche a dolci e scivolose parole in italiano e io sapevo perfettamente da che parte stare.
C’è un McDonald’s costruito sul fianco sporgente di una montagna, in un’area di servizio lungo l’autostrada dopo Innsbruck, «probabilmente il più bel McDonald’s del mondo», uno di quei posti che vorrei farti vedere, ma non tanto per la vista sulla cima innevata, quanto per quel gruppo mesto di casette sul crinale opposto, perennemente in ombra, i cui abitanti, ad un certo punto nella storia di questo innocuo paesino tirolese, una mattina si sono ritrovati ad aprire la finestra e guardare il più bel McDonald’s del mondo, costruito a picco sulla montagna. Non so se esista una parola tedesca anche per definire esattamente questo momento, in cui un giorno ti svegli, ti alzi dal letto, stropicci gli occhi, apri la finestra e sulla montagna di fronte, una mattina, vedi un’astronave nera dalle enormi vetrate, con massicci travi metalliche e una gigantesca M gialla a soverchiare la struttura. Ed esisterà anche una parola tedesca per definire me che durante la conversazione con i rappresentati bavaresi dell’associazione per la bicicletta (così almeno ho tradotto), mentre loro parlano fitto fitto in tedesco, per l’appunto, io osservo il labiale, cerco di pulire le consonanti dalla saliva che incrosta la precisione tedesca, tento di isolare un termine, anche solo uno, incontrato in tutti questi chilometri nei giorni precedenti passati a guidare e guidare e guidare soltanto, una preposizione imparata alla fermata della metro due anni fa, un sostantivo rimasto impresso mentre camminavo guardando per aria sette anni fa, pezzetti di Lego che escono dalla gola dei rappresentati locali della bicicletta, sputati sul tavolo, e io li asciugo con la manica del mio maglione nero, li dispongo in un ordine tutto mio. Qual è la parola esatta tedesca per descrivere me che cerco di capire i discorsi di una lingua che non mi appartiene, che non imparerò probabilmente mai e che non ho nessuna voglia di mettermi a studiare? Eppure quando riconosco una parola, la associo a un significato, e su migliaia di termini estrapolo una frase imprecisa, grammaticalmente scorretta, probabilmente frutto del caso, ma che funziona, in qualche modo, una frase che mi sembra voglia dire qualcosa, in qualche modo, quando succede questo sento che da qualche parte nel Tirolo c’è il vetro di una finestra di un McDonald’s che si sta crepando, quando fisso le labbra che macinano una lingua sconosciuta e mi sforzo, mi sforzo di capirla, vedo crepe nelle fondamenta di un McDonald’s in Tirolo che ne sventrano il pavimento, e non credo davvero che esista una parola tedesca per definire il momento in cui da un discorso durato venti minuti io estrapolo soltanto un maldestro “bisogna chiedere permesso al comune per terra pubblica” (che non vuol dire niente, che vuol dire solo diottrie sprecate e saliva sul tavolo) e nel frattempo da qualche parte nel Tirolo una persona si sveglia una mattina, apre la finestra, e al posto di un McDonald’s, nella montagna di fronte, vede soltanto un’enorme, gigantesca voragine.
Originally published at Ciccsoft on March 24, 2015.