Venti minuti

Attimo
ok with my decay
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2 min readDec 24, 2022

Finisce un altro anno in cui non sono stato in tutti i posti in cui avrei voluto essere. Nulla di strano: tutti gli anni che passano si portano dietro questa sentenza. Quest’anno però, mentre ascolto puntualmente, alla vigilia di Natale, Venti minuti, e mi faccio investire dalla cieca ostinazione di Metuccio e di tutto quello che non si potrà mai aggiustare, mi tornano in mente tutte le volte in cui avrei voluto esserci, almeno una volta, per tutti.

Che so, così senza nemmeno pensarci troppo, tra tutto quanto non è mai accaduto mi torna in mente: la mostra di Ernst a Milano con M, in bici sull’Adige con L, la mostra di Ghirri a Reggio con N, in curva a Modena per il Venezia con E, al palazzetto per la Virtus con M, con l’elmetto in testa nel tunnel del Brennero con A, a Milano ad ascoltare storie su Joan Didion con S, a scoprire chissà che torrente fosse, in quella ansa verticale e così alpina, sull’Appennino reggiano con A, ad aprire nuove riviste con E, a girare sui tornanti con G, a pedalare da Ferrara a Rignano senza soste con S, a incontrarci dopo il lavoro a Bologna con E, a giocare a Subbuteo sui terrazzi di via Lame con D, ad andare a un altro concerto dei Verdena con E, a una mostra di un fotografo saccente a caso con P…

E non importa se molti di questi “tutti” nemmeno si ricordano, o l’hanno mai saputo, di queste volte svanite senza nemmeno essere accadute: io, me le ricordo, e me ne ricordo troppo spesso per lasciare andare in pace gli anni che finiscono.

E ci sarebbero anche tutte le risposte non date, a domande che non mi sono state poste, a conversazioni che non sono mai riuscito a far partire, a discorsi che non ho mai riallacciato. E poi tutti i silenzi verso costellazioni di galassie ormai lontane, che tuttavia ancora riconosco in cielo: quando la nebbia si alza e tira abbastanza vento per scansare le nuvole, il tempo presente, le «devozioni nemmeno paragonabili alla mia».

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