L’ossessione della bellezza

Redazione Olive & Taralli.
Olive&Taralli Novembre
5 min readNov 6, 2023

di Eleonora Francesca Danesi, 4CL

Photo by Sara Dabaghian on Unsplash

L’ossessione della bellezza, forse uno dei rischi maggiori per la nostra personalità; quella che tendiamo a definire indispensabile, fondamentale ed assolutamente irraggiungibile.

La definizione, che molto spesso vorremmo vederci addosso, è rispecchiata in modo tremendamente doloroso sul volto di un’altra anima.

Ciò che ammiriamo con tanta gola non è altro che la tentazione di immedesimarci in quello che vorremmo essere, per poi realizzare di essere l’opposto.

In questa vita gli esseri umani tenderanno sempre al “non accontentarsi mai”, al desiderare il nero quando hanno il bianco, a puntare alla verità, quando hanno già la saggezza.

Quando mi ritrovo a riflettere su che cos’è la bellezza, mi rendo conto di come le sue varie sfumature siano sull’orlo dell’imparagonabile, perché quella esteriore non è altro che un’arma contro gli insicuri e quella interiore è totalmente sottovalutata da esserevista solo dagli sguardi più ciechi.

Vorrei soffermarmi sull’irraggiungibilità della bellezza esteriore; se immaginiamo un prototipo con tali caratteristiche, ci renderemo ben presto conto che la figura palesatasi nella nostra mente non siamo noi.

Il nostro carattere tenderà inevitabilmente a pensare che il nostro “io” non sia la figura ideale per essere scelti come eccellenza. Sarà forse il nostro ego, o la nostra umiltà, a dettarci le regole, ma porre la forma concretizzata di noi stessi al primo posto è raro se non impossibile.

Mi verrebbe da dire che dentro il nostro spirito, l’interiore si scontra con l’esteriore, dando vita all’incertezza, l’insicurezza e la paura di non essere abbastanza.

I nostri occhi osservano, scrutano, scavano costantemente alla ricerca di qualcosa che li appaghi con certezza; un tramonto in riva al mare, stupefacente, una rosa accarezzata dalla rugiada, magnifica, il sorriso di un amico, e tanto altro.

Tutti questi stimoli ci danno l’ebbrezza di un felicità silenziosa, perché è stato il nostro sguardo a posarsi su una nota naturalmente armoniosa per il nostro benessere.

Ma quando non si parla più di naturalezza, bensì di un canone estetico che ci ritroviamo dinanzi, avviene la più inaspettata guerra, quella contro noi stessi.

Chi non ha mai pensato “caspita vorrei essere così anche io”, ammettiamolo, è un riflesso incondizionato, volere quel che abbiamo in difetto, una continua sottovalutazione delle nostre qualità migliori, perché, come detto prima, l’uomo non si accontenterà mai di quel che ha. Proprio questa tendenza ci pone l’obbligo di osservare prima la superficialità dell’ esteriore per poi considerare opzionalmente l’interiorità.

È inutile dire che in una persona quel che conta è ciò che custodisce dentro, nessuno lo pensa davvero, o meglio, può anche essere così ma non sarà mai la priorità per legarsi ad un soggetto.

Prendendo un esempio banale, “mai giudicare un libro dalla copertina “ quanta verità, ma l’abbiamo mai messo in pratica?

Quante volte ci capiterà di scegliere un racconto solo perché il titolo, la copertina o la rilegatura era interessante, per poi leggere la storia e constatare la sua pateticità?

Che per carità, non è sempre il caso, ma le narrazioni più belle sono quelle che scegli alla fine, come le persone, ci facciamo condizionare troppo spesso da come appare uno sguardo per poi confondere e scambiarlo per interiorità.

Per scoprire la vera bellezza, il libro va letto con calma, pazienza, vanno rilette le pagine più difficili, bisogna riconoscere la profondità di un testo e va valutata in modo razionale la criticità di una narrazione, per poi constatare solo alla fine se è valido preservarlo nel bagaglio della nostra personalità o scartarlo perché, dopotutto, la copertina in realtà era finzione.

Una persona va letta e studiata per poter associare effettivamente la compatibilità tra fuori e dentro, la nostra cecità dovrebbe essere il punto di forza per non farci condizionare da un corpo meraviglioso ed un’anima completamente vuota.

La connessione tra interiorità si trova solamente con una linfa vitale, affine a se stessi. Se le radici in profondità, invisibili si connettono, è perché hanno avuto la pazienza di crescere e scoprirsi; due fiori dello stesso meraviglioso mazzo comunicheranno per quei pochi istanti per poi appassire per l’assenza di una bellezza interiore come le radici.

Quello che, quindi, è veramente duraturo e sano è ciò che è invisibile all’occhio umano, ciò che si riconosce solo con la maturità e non con la superficialità di un sorriso o una risata.

Per questo ho detto che la bellezza è un’arma tagliente e pericolosa, perché camuffata da benessere, fa sorgere dentro di noi l’incapacità di creare legami forti e duraturi, ci condiziona facendo appassire il nostro sole interiore.

Essere ossessionati da una luce artificiale non ci abitua ad una gioia costante. Possedere la bellezza esteriore non è sbagliato, il problema è rendersene conto, perché nessuna farfalla vedrà mai i colori meravigliosi delle sue ali, e noi non ci vedremo mai per come siamo davvero, viviamo nell’illusione di qualcuno che per potersi accettare osserverà altro.

Mi piacerebbe dire che ho trovato finalmente la soluzione, ma precipito ancora nell’impazienza di conoscere le sfumature di una persona, che si rivelerà se stessa dopo tanto tempo.

Quello che vediamo, spesso è una difesa automatica per nascondere la nostra essenza; quando ci facciamo leggere non facciamo altro che renderci fragili davanti a sconosciuti momentanei, e proprio questa difficoltà ha portato l’ invisibilità ad essere sottovalutata; la facilità non sempre porta al progresso, soprattutto se quelli fragili siamo noi, e deve rimanere nascosto.

Il concetto di bellezza esteriore/interiore mi ricorda la “Metamorfosi “ di F. Kafka, prima che le sue sembianze cambiassero, era considerato in modo assolutamente diverso da ciò che lo circondava (nonostante l’ambiente ostile della sua famiglia) dopo la trasformazione, la riluttanza è cresciuta e il disgusto era in primo piano.

L’apparenza condiziona quindi qualsiasi cosa, è inutile essere candidi dentro se l’esterno è l’opposto.

Tutti ti accetteranno solamente se l’immagine che dai di te stesso è accettabile secondo gli standard autoimposti.

Ricollegandomi ad altre letture, perché un personaggio solo, e vincolato da se stesso è riuscito a vedere la bellezza di San Pietroburgo, mentre gli occhi incentrati sull’apparenza, nemmeno la consideravano?

Credo che chi come Dostoevskij, sia capace di leggersi nell’interiore talmente bene da ritrovarsi solo con la sua anima, abbia automaticamente anche il talento di rivedere la trasparenza anche con la nebbia.

Nelle “Notti bianche” la bellezza è quella che nessuno è riuscito a vedere da subito, la città, ovvero la vera e prima protagonista, ed è solo uno dei tanti esempi di comprensione incompiuta.

Non voglio soffermarmi ulteriormente sull’irresponsabilità e sull’incapacità di vedere l’essenziale, ma è fondamentale sorvolare sulle nostre abitudini e standard, perché solo così ci salveremo da “l’ossessione della bellezza “.

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