Ritorno a Montedoro

Intervista al regista Antonello Faretta, candidato al David di Donatello 2017

Zibaldone post-punk
Orlo
5 min readFeb 7, 2017

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Si può ancora narrare l’intangibile nell’epoca del sensazionalismo mediatico? Filmare il vuoto, lo spazio e la memoria è stata la sfida del regista Antonello Faretta. L’idea iniziale era quella di un documentario. Poi una serie di fortuite coincidenze, e il luogo si è popolato di uomini, contorni di carne alle mura di un paese, Craco, che, lento e inesorabile, declina sotto la legge dell’entropia. Così è nato Montedoro, film pluripremiato, candidato al David di Donatello 2017.

Il rapporto di Antonello Faretta con il cinema è una relazione personale, che nasce e ritorna alla terra. Antonello è di origini lucane. E in Lucania si muove: lo ha fatto nel 2005 con il poeta americano John Giorno, per poi stratificarsi — come egli dice — con Montedoro, «un film che rientra nel filone del cinema del reale».
Il confine tra fizionale e fattuale è labile nel progetto perché, dalla stesura di un iniziale documentario, Antonello conosce Pia, originaria di Craco, in seguito data in adozione a una famiglia americana. Dopo 55 anni, Pia parte da New York alla volta di Craco per cercare la madre biologica. Quale testimone di questo mirabile incontro, Antonello ne diventa il narratore.

Craco è un antico borgo lucano arroccato su uno sperone argilloso. A causa dell’instabilità del territorio e di perdite idriche nel sottosuolo, dagli anni Sessanta subì dei vistosi mottamenti che resero pericoloso continuare a viverci. Oggi, a distanza di più di cinquant’anni, il piccolo centro appare come un paese fantasma, l’antica torre normanna rimasta a guardia di vetusti palazzi e case pericolanti.

Sarebbe, tuttavia, fuorviante considerare Montedoro un lungometraggio folklorico, a tratti locale: «Attraverso i fatti lucani, ho voluto parlare un linguaggio universale» mi spiega Antonello, parlando della sua come a un’operazione inversa rispetto a quella di molti registi che vedono in Craco un set cinematografico. In Montedoro il paesaggio, al contrario, non fa da sfondo, ma diventa il vero protagonista, il magnete che assorbe tutte le dinamiche umane: esse, così, diventano dinamiche universali.

Oggi Craco, come comunità presente sul luogo, non esiste più; fa eccezione un eroico gruppo di casupole nelle vicinanze, Craco Sant’Angelo. «Sotto questa prospettiva, il vuoto causato dall’abbandono, è un vuoto d’identità». In una fotografia che presenta pareti crepate e porte screpolate come soggetti dell’abbandono materico, giacciono le maschere di chi abitava quel luogo. Per questo, un aspetto rilevante è l’eredità dei morti. Nel film, la loro presenza è simboleggiata dal cimitero di Craco, una distesa di croci trasfigurate da un biancore sinistro, a tratti onirico. «Ho voluto parlare della morte in rapporto catartico con la vita» — specifica Antonello. Per lui la morte reca lo stesso messaggio che vi lessero Masters e Proust: epigrafi e storie che abbagliano il presente e si proiettano in una memoria purificatoria. «Il poeta lucano Domenico Brancale scrive: “i morti sono più vivi di noi”. A me interessava leggere, nell’abbandono di Craco, il tempo e la memoria, andando alla ricerca di una realtà e dei valori perduti. Dice Giorgio Agambe: “la modernità non è ciò che in voga, ma ciò che è franoso, inafferrabile”. Dunque, a me interessava leggere attraverso i morti, non i morti, per avere consapevolezza di noi stessi»

«A me interessava leggere, nell’abbandono di Craco, il tempo e la memoria» (A. Faretta)

Il viaggio della protagonista, dunque, è il pretesto di un viaggio solo marginalmente personale. Gli incontri che ella fa, dal tassista alle sorelle, ai morti evocati, assumono senso solo se diventano chiavi di lettura. Pia diventa il viaggiatore — uomo che si riconnette a una memoria ctonia, sotterranea ma ancora guizzante, che le permetterà di “abitare” il luogo del mondo.

Il ritorno al paesaggio di Pia è ritornare all’origine del mondo, seguire le tracce umane di un insopprimibe desiderio di abitare uterino. Non è casuale che la figura che la protagonista ricerca sia proprio la madre. E quando scoprirà che è ormai morta, aver varcato la soglia di Craco equivarrà a una ricongiunzione spirituale con lei, un ritorno primordiale alla vita. Heidegger scriveva: «solo se abbiamo la capacità di abitare possiamo costruire». Abitare il luogo significa fare l’esperienza di vivere.

Antonello ha sperimentato la natura di questo viaggio: «Prima di realizzare il film, ho affittato dal Comune di Craco la vecchia scuola elementare e ci ho vissuto per circa un anno. Ho scelto di avere un approccio totale con il posto, laddove abitarvi significa connettervisi dal punto di vista spirituale.»

«Più problemi ci susciterà la presenza dei luoghi, più essi risponderanno all’esigenza insopprimibile dell’abitare»
(M.Cacciari)

La prospettiva ecologista del regista è anche la critica a un uso turistico dell’odierna Craco. «Craco è stata costruita su una faglia franosa, è destinata divenire un luogo d’abbandono. Dovrebbe essere così tutelata, nella sua forte connotazione spirituale ed emotiva. Non renderla un fast-food.»

Secondo Antonello, il cinema trionfante che sceglie Craco perché è un set suggestivo, “stupra” il luogo stesso: «esso ha un valore perché vi si stratifica la memoria di persone e valori. Questo è ciò che deve essere maggiormente valorizzato e fatto brillare nella rete». Anche quest’operazione ha una vocazione universale: «Craco è un locus da preservare, agli antipodi dei non-luoghi che — Antonello cita Marc Augé— creano un turismo alla Disneyland.

È chiaro che si tratti di una sfida per il contemporaneo. In un tempo presente difficile (secondo la relazione IDOS, negli ultimi sei — sette anni la Basilicata ha perso 17.000 abitanti), per Antonello bisognerebbe maturare la cultura del rispetto per ridefinire la comunità. La comunità è un punto di forza. È questa la vera prova d’umanità che c’interpella: rivivere e partire laddove ci hanno lasciato i nostri morti.

Tutte le immagini presenti nell’articolo sono state gentilmente concesse dallo stesso regista. Per info sulle sue attività e i progetti futuri:
antonellofaretta.it
montedorofilm.it
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noeltan.it/3-produzione

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