Marco Galli

QUE VIVA EL PUNK

Osel Magazin
OSEL MAGAZIN

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Quasi vent’anni. Basette e ciuffo e voglia di New York. Fine anni ’80. Andavo sempre su una panchina in fondo a Sirmione del Garda, saltavo la scuola e mi leggevo i Fiori del male. Baudelaire e poi Verlaine e Blake e l’amato Rimbaud: “Muoio di sete, soffoco, non posso gridare. / È l’inferno, la pena eterna!(…)” . Stavo male, come tutti i ventenni che hanno le viscere esposte e l’occhio che capisce la terra. Ogni atomo impregnato di esistenzialismo, non quello colto e snob delle città metropolitane, quello di paese, contadino e sudato, che si nutre di nebbia e dialetto macho. La provincia industriale. I capannoni. La ricchezza, ma con l’onesta… ancora per poco, prima di scoprire che l’uomo è uomo a ogni latitudine. Che non si fa mai da solo. I soldi richiamano la necrosi, ci si de-compone, prima o poi.

Ma, seduto su quella panchina sotto il sole di primavera sentivo l’universo, sublime, con il terrore di finirci d’entro, ero pieno di rabbia, colmo di emotività. Ero un filo di corrente scoperto. Nitroglicerina. Ero unito a quasi tutti i miei coetanei. I parigini che andavano a puttane con Miller, quelli “negri” che suonavano la loro anima drogata dentro il be-bop, con i ragazzi beat a pisciare sulle strade del perbenismo. I romantici. I decadenti. I fauves. Ma io, non loro… io venivo dopo il punk. In un certo senso la strada era stata percorsa tutta. Ribellarsi al sistema, ai padri, alle madri, alla grazia, alla bellezza, alla decenza, all’amore, all’aria marcia, all’acqua e agli alieni, alla tua “sensibile” sensibilità, era punk. Ma il punk era anche la fine della linea di fuga (per dirla con Deleuze), non lasciava prigionieri, non consentiva di “divenire”. Professava l’anarchia e il nichilismo, cioè l’oblio. Il nulla, inteso come niente. Non ti lasciava nemmeno la “fanciullesca” speranza di poter cambiare le cose. Non più un angelo decadente, ma un dispettoso e irriverente Pan, fotti prima di essere fottuto. Nei miei vent’anni il punk era ormai morto e sepolto, come rito musicale e come estetica modaiola. Ma aveva lasciato più di quanto si aspettasse, o volesse. Ionizzando l’aria, impregnando i pori della pubertà, si era legato in modo permanente alla retorica della ribellione giovanile, nonostante il fenomeno durò ufficialmente circa un anno, con strascichi più che altro legati allo sfruttamento iconografico.

Nel ’78, l’anno ufficiale del punk, anche se in America iniziava prima, avevo 7 anni.

Era nata video music nei primi ’80 e trasmetteva i video, quelli a colori con gli effetti digitali, quelli che mi sbalordivano, mi facevano credere nella magia. Si sentiva la nuova musica: l’elettronica e poco dopo la New Wave. La ionizzazione aleggiava ancora elettrica e potente, i nuovi gruppi, anche quelli patinati, erano figli del punk. La terra era stata solcata, la musica si ribellava. Punto. Anche se giravano un sacco di soldi e le rock star erano per lo più ragazzini viziati, il nuovo 4°stato era la musica pop. I dischi, le musicassette, erano il pugnale con cui si uccideva Cesare. I genitori erano mostri disumani, vecchi di secoli, dinosauri che probabilmente non erano nemmeno fatti di carne e anima.
Lo so, Dylan, i Doors, altri professavano la morte degli idoli borghesi molto prima. Ma erano colti, belli, figli della stessa “middle class” rampante che contestavano. Non c’erano figli di operai con i denti marci. Non c’era la morte del sogno come pretesto di fuga. Non si cercava il paradiso, il punk voleva vedere tutti all’inferno.

in Italia gli anni ’80, soprattutto la prima metà, sono stati anni punk. C’erano anche i dark, i paninari, i metallari, i rockabilly, i rasta. Tutte tribù, con i loro codici. I guerrieri della notte. Antropologia sociale poetica. Irripetibile.

Alle superiori, scuola d’arte, ero sempre vestito di nero. Mi volevano incasellare nei dark e io mi incazzavo. Volevo essere unico. Mi sembrava così stupido e codardo essere parte di un piccolo mondo chiuso. Ci ripenso oggi, dove tutti sono vestiti uguali e compiono gli stessi riti. Sono omologati perfino in costume da bagno. Un piccolo mondo si è allargato. Ha fagocitato tutto. Globalizzazione. Banalizzazione. Assuefazione. Quei gruppetti così colorati che in una discoteca a Bergamo dove andavo avevano il loro angolo non attraversabile da esterni, mi sembrerebbero aria fresca in questo mondo decostruito e mai rimesso insieme.
Tutto quello che sono, il mio modo di guardare il mondo, come soffro e come gioisco, lo sono diventato negli anni’ 80. La ribellione c’è sempre stata e ben più importante di quella, a tratti molto sciocca, che fece il punk. Ma mai, per me, un movimento (a)culturale e (a)sociale ha inciso così affondo nelle carni di chi crede che respirare non corrisponde sempre a vivere.

Il punk, una saetta nel cielo, un razzo mal controllato, un bolide guidato da un asino, fece capire che essere poveri e incazzati poteva diventare un vantaggio. Era persino più dignitoso di essere un ricco. Avere le unghie sporche. L’orgoglio di lottare con la vita e se vince lei, beh… vaffanculo!

Il punk ha influito su di me e su tutto quello che è cresciuto intorno a me. Il cinema, ramificazioni. Blade Runner. Taxi Driver. Von Trier. La musica. R.E.M. Cobain. Praticamente tutto il rock dopo. Il fumetto, in Italia soprattutto, la stagione più viva e irripetibile, quella di Cannibale, di Frigidere, di Valvoline.

Il (mio) punk ha spazzato via il progressive-rock. Insopportabili masturbazioni megalomani. Ha riportato il selvatico. La giungla con i serpenti. Schopenhauer che annienta Rousseau. La fine di un falso mondo aulico. Gli artisti scapestrati borghesi. Calpestare i fiori.

Il rumore dei radiatori contro il suono dei flauti.

Que viva el punk!

Fine.

Naturalmente questo è il ricordo mitizzato, letterario, di un giovane che non è più… e tutto è tornato peggio di prima. Il moralismo non è mai stato così “appiccicato” come ora. I ricchi vincono sempre, chi se ne frega. È così. È l’umana condizione. Ma dentro di me e in molti di voi il punk ha ancora un sussulto elettrico, uno spasmo muscolare che viene da lontano. La cresta ha conficcato le sue radici, aggrovigliata alle idee, si mischia al sangue con la sua linfa amara ma piena di sorprendente vitalità.

M.G.

A latere: ho scritto tutto di getto, cercando dal basso e ascoltando Charles Mingus, uno molto punk.

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