CREAZIONE DI UNA CULTURA INCLUSIVA ATTRAVERSO IL LINGUAGGIO: IL RUOLO DI MARCHE E AZIENDE

Osservatorio Civic Brands
Osservatorio Civic Brands

--

Il primo gesto rivoluzionario, diceva Rosa Luxemburg, è chiamare le cose con il loro vero nome. Allora una donna è un sindaco o una sindaca? Una direttrice o un direttore? Sono passati oltre trent’anni dalla pubblicazione del libro di Alma Sabatini “Il sessismo nella lingua italiana” ma il dibattito sull’uso di un linguaggio più inclusivo è tutt’ora aperto, avvantaggiato anche da una maggiore democratizzazione della comunicazione conquistata grazie al web.

Una recente ricerca condotta da Ipsos e presentata in occasione della 9° edizione del Festival del Giornalismo Culturale di Urbino, ha indagato e misurato l’attenzione degli italiani sul tema del linguaggio inclusivo e ha rivelato come stia progressivamente aumentando — in particolare per le fasce di popolazione più giovani — l’attenzione e la sensibilità verso l’utilizzo di un linguaggio più attento, rispettoso delle diversità di genere, personali e sociali, sia nella forma scritta che parlata.

In questo contesto, quali sono le attese da parte dei cittadini? Quale ruolo possono giocare anche le aziende e le marche attraverso la loro comunicazione?

Anzitutto, è necessario fare una premessa su cosa si intenda per linguaggio inclusivo, ovvero un linguaggio libero da parole, frasi o toni che riflettono opinioni pregiudizievoli, stereotipate o discriminatorie nei confronti di determinati gruppi di persone. Questo significa che le parole di un testo inclusivo non rafforzano stereotipi di genere, non sono razziste, non discriminano le persone in base all’età, non sono abiliste (cioè non discriminano le persone con disabilità).

Negli ultimi tempi, una forte attenzione è riservata in particolare agli stereotipi di genere nell’uso della lingua italiana. Infatti, nonostante la nostra lingua comprenda due generi, il maschile e il femminile, quello maschile è nettamente dominante. Spesso il plurale maschile include anche chi non è maschio. Il tema, seppur oggetto di discussione non più solo tra una stretta cerchia di sociolinguisti, spacca comunque l’opionione pubblica italiana.

· Nella lingua italiana, spesso il plurale maschile include anche chi non è maschio.

Poco meno della metà dei nostri concittadini (43%) ritiene sia un ostacolo della lingua italiana che andrebbe superato a favore di un linguaggio inclusivo e per il 49% è necessario fare lo sforzo di esprimere sempre la parola al maschile e al femminile per essere più inclusivi e corretti. Tuttavia, nella maggior parte dei casi si tende a ritenere la questione irrilevante (70%) e a pensare che si tratti di una regola della lingua non discriminatoria (68%).

· Declinazione al femminile dei ruoli professionali ricoperti da donne.

Per la maggioranza (50%) si tratta di una questione non particolarmente rilevante. Al contrario, il 35% degli italiani ritiene sia giusto nominare al femminile le donne nei loro ruoli professionali.

· Uso dei simboli come lo Schwa, l’asterisco o il trattino, solitamente posti all’ultima vocale di una parola per indicarne una inclusiva di tutte le identità di genere.

Il 28% afferma che si tratti di un’esagerazione non facile da comprendere e il 26% la reputa una questione irrilevante. Il 23% ritiene sia una forma di scrittura giusta che rispetta le differenze di genere e il 22% non è proprio a conoscenza di queste forme di scrittura.

I dati mostrano quindi solo una parziale sensibilizzazione degli italiani sul tema del linguaggio inclusivo, anche se risulta essere in aumento rispetto al passato, soprattutto grazie ai più giovani. Questo indica come ci sia un importante percorso da fare per rendere la nostra lingua ancora più inclusiva e attenta alle diversità.

Come scrive Vera Gheno, una delle più importanti sociolinguiste nel nostro: “Siccome le parole ci servono per comprendere il mondo, se le impieghiamo con maggiore attenzione facciamo sì che anche parti della società che prima erano per così dire seminascoste, magari perché non venivano nemmeno nominate, possano essere viste meglio. Il linguaggio, dunque, è un mezzo efficace per mettere in pratica questa necessità di convivenza delle differenze, perché nominando correttamente tali differenze non solo le vediamo meglio, ma ci abituiamo alla loro presenza, che diventa esperienza quotidiana e naturale”.

In questo contesto, che ruolo sono chiamate ad assumere le aziende e le marche nella promozione e utilizzo di un linguaggio e un codice di comunicazione rispettoso, inclusivo e non discriminatorio?

Ipsos, attraverso l’Osservatorio Civic Brands, ancora una volta rileva come gli italiani richiedono un impegno concreto da parte delle marche. È da qualche anno, infatti, che registriamo una crescente sensibilità nelle persone che iniziano a chiedere alle aziende un’assunzione di responsabilità rispetto a tematiche sociali, in questo caso confermato dall’81% degli intervistati che ritiene non sufficiente utilizzare un linguaggio inclusivo se poi non si agisce in maniera concreta e riconoscibile per promuovere il rispetto delle diversità personali e sociali.

La ricerca Ipsos rivela che per il 77% degli intervistati è importante che marche e aziende comunichino i loro prodotti e servizi diffondendo valori di rispetto delle diversità personali e sociali; per il 74% contribuiscano a diffondere un linguaggio inclusivo e per il 64% utilizzino codici di linguaggio e rappresentazioni adeguate ai valori di oggi, di uguaglianza, inclusività e rispetto delle diversità personali e sociali.

Il 69% degli intervistati dichiara di prestare molta attenzione al linguaggio e alle rappresentazioni utilizzate da marche e aziende relativamente ai temi di inclusione e uguaglianza e per il 79% una marca o azienda che voglia davvero definirsi rispettosa delle diversità personali e sociali ha il dovere di utilizzare un linguaggio il più attento ed inclusivo possibile.

Le marche possono influire, attraverso i loro messaggi e le loro rappresentazioni in comunicazione, a formare, educare e cambiare i nostri comportamenti e le nostre opinioni. È dunque evidente che non solo brand e aziende non possono sottrarsi alla propria responsabilità nel promuovere e favorire una cultura più inclusiva e rispettosa attraverso le proprie azioni e le proprie comunicazioni, pubblicitarie e istituzionali, ma anzi dovrebbero essere per prime da esempio e traino per l’intera collettività.

--

--

Osservatorio Civic Brands
Osservatorio Civic Brands

Civic Brands è l’Osservatorio sullo scenario italiano delle tematiche relative al purpose e attivismo da parte delle marche