Da dove inizia il “civismo” di aziende e marche?

Osservatorio Civic Brands
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3 min readSep 29, 2020

Secondo l’83% degli italiani “Un’azienda che vuole davvero migliorare la società in cui viviamo deve prima di tutto occuparsi della qualità della vita dei propri dipendenti”. Un dato che non è solo figlio o conseguenza dell’emergenza Covid-19, se è vero che a inizio 2020, poco prima dello scoppio della crisi, già il 73% dell’opinione pubblica era d’accordo con questa affermazione.

Pare attribuita a Leo Burnett la citazione, che dovrebbe essere il mantra di ogni CEO di aziende che vogliono davvero definirsi “civiche”, che recita “il mio capitale sociale alle 18 prende l’ascensore e torna a casa”.

Del resto, come può l’impegno e la “promessa” di un’azienda nei confronti della società in senso allargato essere credibile se lo stesso impegno e responsabilità non viene dimostrato nei confronti di coloro che — a tutti gli effetti — rappresentano il vero patrimonio aziendale, ovvero i propri dipendenti?

Di sicuro l’emergenza che abbiamo attraversato (o stiamo ancora attraversando?), ha costretto moltissime aziende, se non tutte, a prendere provvedimenti per salvaguardare la salute del proprio personale, attivando, quando possibile, soluzioni di smart working (o in molti casi semplicemente un “telelavoro” poco smart), ma con le necessità di dover anche mantenere attive le linee di produzione, gli stabilimenti, la logistica, ecc.

È stata, per certi aspetti, un’occasione per mettere alla prova i reali valori di welfare che spesso vediamo sbandierati in brochures, comunicati, o splendidi poster appesi nelle sale riunioni o nei corridoi delle grandi, medie e piccole aziende, non da tutti però vissuti ed agiti nello stesso modo.

Abbiamo potuto vedere e leggere esempi di imprenditori della filiera alimentare, come Giovanni Rana e Francesco Mutti, i quali hanno premiato i propri dipendenti che hanno potuto garantire la continuità delle linee produttive con aumenti di salario significativi. Fortunatamente non sono stati i soli ad agire in modo attivo nei confronti del personale presente in fabbrica:

▶️ https://laborability.com/storie-di-lavoro/covid-19-rana-e-mutti-aumentano-lo-stipendio-del-25-ai-dipendenti/

▶️ https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-anche-ferrero-premia-dipendenti-e-manley-fca-si-dimezza-stipendio-ADNP58G

Ma purtroppo non tutte le realtà hanno voluto seguire questi esempi, di fatto chiedendo sacrifici ai propri dipendenti in un periodo di difficoltà come quello che abbiamo attraversato senza dare nulla, o quasi, in cambio. A nostro avviso una grande occasione persa di dimostrazione della propria responsabilità e del proprio civismo.

Il protrarsi dell’emergenza, ed il conseguente impatto sulle performance aziendali, hanno poi fatto sì che moltissime realtà abbiano dovuto prendere dei provvedimenti di contenimento costi e riduzione dei salari per poter continuare a stare sul mercato in modo adeguatamente competitivo. Ecco che quindi si è fatto ampio ricorso alle forme di sostegno previste dal Governo, come la Cassa Integrazione Straordinaria, piuttosto che le scelte da parte di molti manager e dirigenti di procedere ad una riduzione volontaria di una parte — a volte anche significativa — del proprio salario per poter contribuire al contenimento costi e alla salvaguardia dei posti di lavoro.

Ma anche in questo caso, non tutti i comportamenti sono stati coerenti con le dichiarazioni di intenti.

Interessante sul tema, questa considerazione / provocazione:▶️ https://it-businessinsider-com.cdn.ampproject.org/c/s/it.businessinsider.com/cassa-integrazione-smart-working-aziende-sfruttano-i-lavoratori-truffa-allo-stato/amp/

Possiamo dire che il modo in cui aziende e imprenditori “curano” i propri dipendenti, in particolare in momenti di grande crisi o difficoltà, sia davvero la prima cartina tornasole della credibilità di un’azienda che vuole assumersi e comunicare al pubblico un ruolo attivo per lo sviluppo sociale e culturale della comunità, grande o piccola che sia.

La propria popolazione aziendale diventa il primo tassello da cui partire per la costruzione del proprio “civismo di marca”.

Ce lo hanno anche insegnato i ragazzi della scuola Holden, che l’anno scorso hanno stilato il “Newtrain Manifesto”, ovvero le 30 tesi, una per ogni anno che ci separa dal 2050, punto di non ritorno del nostro attuale pianeta, per dettare il nuovo modo necessario alle aziende per stare sul mercato:

N.11 “I vostri lavoratori e le vostre lavoratrici possono diventare i vostri primi influencer. Nel bene e nel male.”

▶️ https://www.morningfuture.com/it/article/2020/02/26/newtrain-manifesto-ambiente-economia-giovani/849/

Se qualcuno di voi, leggendo queste righe, si sentisse chiamato in causa, avremo ottenuto un buon risultato, quello di farvi riflettere!

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Civic Brands è l’Osservatorio sullo scenario italiano delle tematiche relative al purpose e attivismo da parte delle marche