A win is a win
Per l’Italia una vittoria solida ma poco entusiasmante. Per l’Argentina serve qualcosa di più
Non eravamo brocchi prima, non siamo fenomeni adesso. In questa massima di vecchia data si racchiude fondamentalmente l’esito della vittoria dell’Italia con le Figi in quel di Catania in un annuvolato sabato di novembre.
Un risultato che non va sottovalutato: anche se non necessariamente rispondente agli esatti valori di Ovalia, il ranking mondiale di World Rugby, prima della partita, diceva Figi alla posizione numero 9, Italia al numero 14 prima di questo incontro.
Carpe diem
Non è banale quindi che una squadra batta un avversario cinque posizioni più in alto, sebbene con una prestazione parzialmente zoppicante. D’altronde l’Italia è, ahinoi, squadra non abituata a uscire trionfatrice dalle partite, soprattutto quelle dove parte con la possibilità di fare risultato.
Possibilità che c’erano anche sabato e stavolta sono state sfruttate. Figi, oggi la squadra di gran lunga più temibile e organizzata fra le isolane, ha giocato una partita votata all’attacco. Le forzature che i giocatori in maglia bianca hanno tentato per scardinare la difesa italiana, che non si è mai sottratta allo scontro fisico ed è stata ben attenta dal punto di vista della disciplina, non sono mai andate a buon fine, risultando a lungo andare controproducenti.
Senza produrre un gioco esaltante, ed anzi diventando sempre più sparagnina con il passare dei minuti, l’Italia è stata brava a resistere all’urgenza di mettere punti sul tabellone, lasciando che il caos generato dai figiani finisse per giocare a proprio favore. Un esercizio di maturità che in altri tempi non avremmo saputo amministrare, e anzi, che marca la differenza rispetto a un anno fa, se si richiama alla mente la partita persa contro Tonga.
Niente di eccezionale
L’Italia ha faticato, probabilmente, più del necessario a portare a casa una partita che sin dalle prime battute è risultata alla portata e totalmente nelle mani dei nostri, nel senso che solo la loro prestazione avrebbe fatto la differenza fra la vittoria e la sconfitta.
La meta di Ferrari, invece di proiettare l’Italia in avanti, segnava il ritorno agguerrito di Figi. Un marchiano errore di placcaggio consentiva poi, nella seconda metà del primo tempo, la fuga di Leone Nakarawa, fenomeno assoluto del rugby mondiale, verso le verdissime e paradisiache praterie oltre la linea di meta italiana. La parità regnava quindi sovrana a cavallo dei due tempi.
È stato in quella circostanza che l’Italia è stata brava a portare a casa una vittoria sudata, di manovalanza, senza mai combinare niente di eccezionale, ma lasciando che la partita scivolasse lentamente nelle mani della squadra più ordinata, più solida da un punto di vista strutturale e organizzativo, e pronta a fare tesoro dei calci di punizione concessi dagli avversari.
Il 19 a 10 conclusivo, frutto del piede preciso di Carlo Canna, rappresenta in maniera calzante un secondo tempo per la verità piuttosto brutto da vedere, povero di emozioni e di gesti tecnici pregevoli quanto ricco di interruzioni continue.
La nazionale riparte da una vittoria che fa morale, da un’ottima prestazione dell’esordiente Jayden Hayward, sicuramente positivo con la maglia numero 15, e da una ritrovata serenità.
Verso l’Argentina e oltre
Da oggi Conor O’Shea e il resto dello staff hanno cominciato a lavorare sulla prossima partita, contro un’Argentina apparsa agguerrita ma povera di creatività contro l’Inghilterra.
Sette sconfitte consecutive, dodici partite perse delle ultime quattordici giocate. Le uniche due vittorie arrivate con Georgia e Giappone. Questo il record negativo dell’Argentina nell’ultimo anno: la squadra sudamericana non è mai stata così in crisi di risultati negli ultimi 10 anni.
Sicuramente si tratta anche di una congiuntura sportiva, ma come sottolineato altre volte durante il Rugby Championship, il movimento argentino tutto sembra in difficoltà.
Tra le squadre che compongono Sei Nazioni e Rugby Championship, l’Argentina è l’unica federazione che perde i propri giocatori di prima fascia perché emigrano in Europa, mentre contemporaneamente si nega la convocazione a tutti coloro che giocano all’estero. La combinazione di questi due fattori ha impoverito drammaticamente la formazione di Hourcade, che non può contare su nomi del calibro di Facundo Isa, Juan Imhoff, Juan Figallo e Patricio Fernandez.
La mancata convocazione è un provvedimento che viene invalidato negli anni della coppa del mondo. Nel frattempo, però, l’Argentina sta crescendo? La risposta sembra essere: non più.
Si presenta dunque a Firenze un crocevia fondamentale per il rugby italiano, ancora morso da annosi problemi tanto se non più di quello argentino, ma che sembra aver ripreso un movimento avanzante almeno per quanto riguarda il vertice della piramide.
Dev’esserci, nel gruppo azzurro, la consapevolezza che servirà in ogni caso qualcosa di migliore per battere i sudamericani. Sarebbe un risultato di importanza capitale, per rilanciare finalmente l’entusiasmo intorno al movimento azzurro e certificare una effettiva crescita in termini di risultati e prestazioni.
L’anno scorso, dopo un novembre comunque considerato positivo, l’Italia affrontò un Sei Nazioni negativo e avvilente. Oggi, siamo alla finestra per vedere se questo inizio positivo del mese di novembre è una pepita rara o l’inizio di un cammino di crescita effettiva.