La serie più interessante

Il test match fra Australia e Irlanda è stato il più denso di spunti tecnici e tattici

Ovale Internazionale
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5 min readJun 11, 2018

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Alla faccia di chi pensa che il rugby possa essere appetibile solamente quando si segnano tante mete: Sudafrica-Inghilterra è stata una partita divertentissima, ma Australia-Irlanda ha offerto uno spettacolo di prima categoria, pieno di contenuti e prima portata eccellente di una serie lunga tre episodi che promette di offrire ancora molto.

I temi

Già alla vigilia, la sfida fra Wallabies e trifogli assumeva contorni davvero interessanti, proponendo tematiche stuzzicanti. Da una parte la voglia di vedere i numerosi testa a testa di altissimo livello, come la sfida fra Will Genia e Conor Murray, due dei mediani più completi del palcoscenico mondiale, dall’altra i comportamenti collettivi come la battaglia sui punti d’incontro.

Fra i confronti individuali degni di nota c’era quello fra due tallonatori tutto sommato inesperti a livello internazionale, cioè l’esordiente Brandon Paenga-Amosa, nato il giorno di Natale del 1995 a Auckland e appena giunto al rugby che conta sotto la guida di Brad Thorn ai Reds, e Rob Herring, che a 28 anni si giocava una delle sue poche possibilità per guadagnarsi un posto in verde dietro a Rory Best (infortunato) e Sean Cronin (panchinato).

A proposito di temi, di recente l’Irlanda ha approvato con un referendum la legge sull’aborto, che nell’isola era ancora illegale. Molti giocatori si sono presi la briga di fare campagna a favore del passaggio del referendum, come Toner e il capitano di sabato Peter O’Mahony.

Altra sfida interessante era quella fra i due numeri 15, fra i migliori al mondo nel gioco aereo: Israel Folau da una parte, Rob Kearney dall’altra. Il loro scontro si inseriva in un contesto più ampio, quello della importantissima battaglia aerea fra i due triangoli allargati, dove Folau poteva contare sull’aiuto di Dane Haylett-Petty e di Marika Koroibete, mentre Keith Earls e Jacob Stockdale affiancavano l’estremo del Leinster.

A fare da cornice a tutto questo la battaglia più importante era quella nel punto d’incontro. Da una parte un’Irlanda che fa della propria competenza in quella particolare circostanza una grande forza, con una competenza media di ottimo livello fra tutti i propri giocatori. I campioni del Sei Nazioni basano gran parte del proprio gioco sul mantenimento del possesso di palla per lunghi tratti di partita grazie a un lavoro certosino nella salvaguardia delle proprie ruck.

Dall’altra parte un’Australia costruita in maniera inversa: David Pocock e Michael Hooper, due dei maggiori specialisti mondiali della caccia al pallone nel raggruppamento, contemporaneamente in campo per giocare un rugby che prova a capitalizzare sul recupero del pallone, da cui attaccare con profitto difese non schierate.

Lo svolgimento del match

L’Australia ha vinto la partita alla distanza. Ha lentamente preso il sopravvento su una squadra irlandese che è man mano calata di intensità, soprattutto nello scontro fisico, cedendo il passo proprio nel punto focale della partita: il punto d’incontro.

La partita si è poi decisa proprio su un duello aereo, quando Israel Folau si è mangiato la chandele di Beale sulla testa di un Jacob Stockdale impotente nella circostanza. Sul pallone recuperato l’Australia ha poi esplorato la profondità nuovamente grazie allo spirito d’iniziativa di Genia, trovando un calcio di punizione a cinque metri dal quale è infine scaturita la meta di David Pocock, man of the match dell’incontro.

L’Irlanda aveva ben gestito la prima frazione di gioco, seppur chiudendola con due punti di svantaggio. La squadra di Schmidt sembrava più quadrata, le sue fondamenta più solide rispetto a quelle australiane. I Wallabies resistevano però bene in difesa, nonostante le cifre di possesso e territorio non li premiassero.

Una statistica che è rimasta tale anche nel secondo tempo: l’Irlanda ha avuto il pallone per il 60% del tempo, e si è giocato per la medesima percentuale nella metà campo avversaria, ma una difesa australiana davvero arcigna ha impedito agli irlandesi di segnare più di 9 punti, ottenuti grazie a un Carbery da 3 su 4 dalla piazzola.

Questa invece è la prima meta dell’Australia, nei dieci minuti finali del primo tempo (nessun avanti, secondo me, a dispetto del titolo del video). I trequarti australiani mettono in mostra quello per cui sono famosi: skills individuali, in questo caso di passaggio, davvero eccellenti per andare a esplorare lo spazio che la difesa irlandese concede all’esterno. Henshaw ci mette del suo cercando di rovesciare la difesa su Foley, troppo profondo per essere minacciato dal centro irlandese e servito con un passaggio impressionante da Beale. Haylett-Petty naviga quello che basta e Foley è bravo a farsi trovare pronto nell’angolo.

L’Irlanda avrebbe avuto l’occasione di spaccare la partita subito dopo il ritorno delle squadre dagli spogliatoi, quando al minuto 42 una combinazione fra Bundee Aki e CJ Stander, un bel quesito per la difesa quando messi l’uno accanto all’altro, liberava il numero 8 di origine sudafricana, con la complicità di Bernard Foley.

Impressionante lo sprint di Stander per percorrere i quasi 50 metri che lo separavano dalla linea di meta, quanto altrettanto sorprendente l’incapacità del giocatore di riuscire a schiacciare in meta il pallone, finendo per farsi tenere alto da Haylett-Petty, tornando a casa con un niente di fatto.

Di lì in poi l’Irlanda non è mai riuscita a scalfire la difesa avversaria, perdendo in maniera sempre più evidente la collisione sia con gli avanti che con i trequarti, dove Bundee Aki ha progressivamente perso di efficacia come grimaldello, e forse anche troppo investito di compiti di distribuzione che ne hanno offuscato le scelte.

Infine, l’Australia ha trovato l’occasione per segnare la meta della vittoria, dopo che Foley aveva già portato i suoi avanti per 11 a 9. La segna Pocock, come detto, dopo una serie di cariche nei cinque metri avversari. David Pocock che, al rientro internazionale, firma una prestazione da 15 placcaggi e 3 turnover vinti, emergendo alla distanza come il trionfatore al breakdown.

Finale aperto

Il 18 a 9 finale parla di una partita comunque giocata sul filo di lana, fra una squadra molto strutturata e indubbiamente forte, che però soffre il momento della stagione e l’usura di molti suoi interpreti, e un’altra che sta costruendo una identità e una forma, ma che ha un potenziale praticamente illimitato, con delle individualità che possono fare la differenza.

C’è da dire che l’Irlanda vista in campo sabato era una selezione con qualche esperimento: una prima linea tutta nuova e Joey Carbery alla guida al posto di Sexton. Anche in seconda e terza linea, comunque, Schmidt ha dato spazio a giocatori che avevano avuto meno possibilità, mentre fra i trequarti ha tenuto a riposo Garry Ringrose.

Una gestione senza dubbio saggia: l’obiettivo primario di questo tour è far accumulare esperienza a questo livello anche a giocatori che non sono stati coinvolti, o lo sono stati meno, nelle ultime 12 vittorie consecutive che l’Irlanda aveva fatto registrare prima della sconfitta di sabato.

Adesso Joe Schmidt si trova nella invidiabile situazione di poter scegliere se continuare a muovere qualche pezzo sulla scacchiera o provare a ribaltare il risultato della serie mettendo dentro tutti i pezzi da 90. Ci sono anche delle aree intermedie: interessante potrebbe essere vedere l’ingresso di due specialisti del breakdown come Tadgh Beirne, al fianco di un James Ryan veramente impressionante, e Dan Leavy, il miglior giocatore europeo nei raggruppamenti a terra. Rimettere in campo Johnny Sexton e puntare in maniera decisa alla vittoria del secondo test lascerebbe la porta aperta per un gran finale che sarebbe la miglior scuola per tanti. Forse, però, nel lungo periodo la vittoria della serie non è poi così importante.

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