Il lato occulto del CrossFit

Tutti hanno uno zio che vorrebbero tenere nascosto.

Monica Cainarca
8 min readDec 4, 2014

Permettetemi di presentarvi lo Zio Rabdo, la mascotte non ufficiale e inquietante del CrossFit. Lo Zio Rabdo è una caricatura diffusa nella letteratura sul CrossFit e rappresentativo di una tendenza preoccupante tra i praticanti di questa disciplina sportiva.

È un pagliaccio. Letteralmente.

La caricatura di Zio Rabdo raffigura un pagliaccio esausto, ma molto muscoloso, in piedi accanto ad alcune attrezzature di allenamento e collegato a una macchina per la dialisi. L’immagine è davvero inquietante: un rene e parte dell’intestino gli sono caduti fuori e si trovano sul pavimento sotto di lui, in una pozza di sangue, ma non è chiaro se è per lo sventramento, il flusso arterioso del rene, o la serie di fasciotomie che sembra aver subito. Zio rabdo, naturalmente, ha la rabdomiolisi.

La rabdomiolisi, oltre a essere una parola subdolamente piacevole e melodica, è una malattia fastidiosa, grave e potenzialmente fatale causata dalla degenerazione catastrofica delle cellule muscolari. Ne parleremo più in dettaglio tra poco, ma prima iniziamo con un racconto.

Un racconto sulla rabdomiolisi

Un giorno, una mia collega fisioterapista, giovane e in ottima forma, è andata a fare CrossFit. Ci era già stata molte volte prima. In quella calda serata texana, fece un allenamento in coppia con un compagno: ognuno a turno doveva fare serie da 10 per ogni esercizio. L’allenamento consisteva di flessioni sulle braccia. Molte flessioni. Era inclusa anche una notevole quantità di esercizi di sollevamento pesi con il bilanciere.

Fece centinaia di ripetizioni di ogni esercizio. Era una campionessa!

“Non volevo restare indietro rispetto al mio compagno di allenamento. Di solito avrei fatto brevi pause, ma l’allenamento in coppia mi stimolava a continuare”.

La maggior parte delle persone che sviluppa la rabdomiolisi da sforzo è in ottima forma. Non è un caso di novellini fuori allenamento che esagerano al primo allenamento. (Foto di Victoria Garcia via Flickr)

Entrambe queste attività coinvolgono pesantemente i muscoli tricipiti, e tornando a casa dal CrossFit la mia collega non restò sorpresa dalla sensazione che le sue belle braccia scolpite fossero come due tazze di gelatina tremolante. Forse era il caldo estivo. Forse era solo il gran numero di esercizi che aveva fatto. I suoi muscoli erano in crisi. Una volta arrivata a casa, pensò bene di reidratarsi e di metterci del ghiaccio, da brava atleta esperta, ma il danno era già fatto.

Come fisioterapisti, siamo macchinari ben calibrati per rilevare le differenze tra reazioni normali e reazioni anomale all’attività fisica. “È normale che mi faccia male questo esercizio?” è una domanda a cui rispondiamo centinaia di volte alla settimana. A volte la risposta è sì e incoraggiamo la persona a continuare, altre volte invece si tratta di un segnale che impone di fare una pausa e recuperare le forze. Questa capacità di distinguere i diversi segnali è una delle abitudini acquisite dei fisioterapisti. Ci viene spontanea. E così quando la mia amica si svegliò la mattina dopo, i segnali di allarme che indicavano un risposta anomala erano chiarissimi. Non riusciva a piegare i gomiti! Non riusciva nemmeno ad arrivare con la mano alla bocca per lavarsi i denti.

Era talmente abituata alla mentalità del CrossFit – allenarsi fino allo sfinimento, sopportare il dolore e ripetere gli esercizi un’infinità di volte –che mise a tacere i segnali di allarme e fece uno sforzo stoico per andare a lavorare. Non ci volle molto per capire che non solo non riusciva a piegare le braccia, avevano anche perso ogni forza. Non era in grado di prendersi cura dei suoi pazienti. Entro sera, le sue braccia sottili si erano gonfiate come grossi panini farciti di dolore e di rimpianto, e stava cominciando a rendersi conto che i segnali di allarme di quella mattina erano legittimi.

Incredibilmente, passarono altre 24 ore prima che il suo buonsenso professionale allentasse la morsa della mentalità del CrossFit e si rivolgesse a un medico. Le fu diagnosticata la rabdomiolisi acuta e finì in ospedale per più di una settimana. Al pronto soccorso le fecero subito gli esami per misurare i livelli di creatinina chinasi (CPK). Il valore normale è di circa 100. I suoi livelli di CPK erano superiori a 45,000, un numero che indicava danni ai reni.

Mentre era in ospedale, chiamò la palestra di CrossFit per annullare la sua iscrizione. Come è procedura standard quando si annulla l’iscrizione, l’allenatore di CrossFit le chiese il motivo della sua decisione. Rispose: “Sono in ospedale”. L’istruttore le chiese subito: “È per la rabdomiolisi?”

E qui siamo arrivati a scoprire il lato occulto del CrossFit. L’allenatore aveva già una singolare familiarità con un disturbo che di solito è molto raro: l’incidenza annuale di rabdomiolisi nella popolazione, in base a studi recenti, è infatti pari allo 0,06%. Si tratta di pochissimi casi su centinaia e centinaia di persone. Com’era possibile che un comune istruttore e non un medico specialista conoscesse così bene una malattia così grave eppure così rara? È forse così diffusa tra chi pratica il CrossFit? Pare proprio di sì.

Rabdomiolisi: la versione CrossFit?

Una rapida ricerca sul web rivela una grande quantità di informazioni sulla rabdomiolisi fornite, guarda un po’, dagli allenatori stessi di CrossFit. Sfogliando la documentazione scientifica nelle riviste mediche principali, però, rivela solo alcune pubblicazioni sottoposte a peer review. La scienza conferma che la rabdomiolisi da sforzo, come viene spesso definita questa forma della malattia, non è molto comune e di solito si verifica tra reclute militari addestrate in squadre d’élite, fanatici dell’allenamento estremo di resistenza e calciatori caduti vittime di allenatori estremamente sadici. La rabdomiolisi non è una malattia comune, eppure è così diffusa tra i praticanti del CrossFit che esiste persino una una caricatura a lei dedicata, che prende in giro con umorismo un po’ superficiale una cosa che non dovrebbe mai nemmeno succedere.

Ma cos’è esattamente la rabdomiolisi? In condizioni estreme, le cellule muscolari possono esplodere. Muoiono. Rilasciano nel sangue proteine, inclusa una forma chiamata mioglobina. I reni, facendo il loro bravo lavoro come sempre, si prendono cura di ripulire il sangue da queste proteine pericolose. Purtroppo però la mioglobina non è destinata a finire nel sangue e può facilmente provocare un sovraccarico dei reni, che a sua volta può condurre nel giro di poco tempo a danni renali anche gravi e potenzialmente letali. A livello locale, i muscoli subiscono gravi danni e muoiono, provocando sintomi come gonfiore e debolezza man mano che vengono distrutte le cellule muscolari rimanenti. Le funzioni del corpo che normalmente entrano in gioco per riparare il danno muscolare locale ora sono impegnate nel lavoro principale di non farti morire. Se arrivi a questa fase della malattia, sei in condizioni già molto gravi.

In alcuni casi, la conseguenza è la sindrome compartimentale acuta, una grave emergenza medica che può portare alla perdita di un arto se non si interviene subito per ridurre la pressione del gonfiore con un’incisione nei tessuti connettivi, una procedura chiamata fasciotomia. Non è certo il tipo di cosa che si dovrebbe prendere tanto alla leggera.

E allora che succede? Già nel 2005, il New York Times aveva documentato casi di rabdomiolisi associati alla cultura del CrossFit in un articolo dal titolo “Getting Fit, Even If It Kills You” (allenarsi a ogni costo, anche a costo di morire). L’articolo includeva questa perla:

«Eppure sei mesi dopo Mr. Anderson, un ex ranger dell’esercito, tornò in palestra, a fare gli stessi esercizi che gli erano quasi costati la vita. “Per me, spingere il mio corpo fino al punto in cui i muscoli si distruggono da soli è un enorme beneficio del CrossFit”, dice».

Che ne pensa il fondatore della disciplina del CrossFit, Greg Glassman?

“Ti può uccidere”, dice. “Sono sempre stato del tutto onesto su questo punto”.

Torniamo al 2013: questa mentalità è cambiata ben poco, anzi, forse oggi è ancora più diffusa. Un altro autore che scrive su Medium, Jason Kessler, nel suo articolo “Why I Quit CrossFit” (perché ho smesso con il CrossFit) ha messo in rilievo come la cultura elitaria ed estrema di spingere il corpo fino al limite tipica di questa disciplina sia diventata ancora più potente a causa degli interessi commerciali che hanno preso il sopravvento. Su questa mentalità, Jason ha osservato:

“Se chiedi a un allenatore di CrossFit, i danni fisici erano solo colpa mia. In una cultura che ti spinge ad allenarti in modo così estremo e così veloce, è difficile non farsi influenzare da queste aspettative tanto pompate. Devi spingerti fino al limite, ma quando vai a sbattere contro quel limite e paghi il prezzo, sei l’idiota che si è spinto troppo oltre”.

Un altro folle esempio di come la cultura predominante del CrossFit possa far tacere persino la voce del buonsenso professionale è questa frase assurda pronunciata da un ginecologo:

“Signore, in base al mio parere professionale, è normale farsi la pipì addosso mentre si fa il salto doppio con la corda”.

No, farsi la pipì addosso durante un allenamento non è una cosa normale. Per niente.

Per enfatizzare questo fatto, MoveForwardPT.com, il sito web ufficiale di informazioni al pubblico dell’associazione americana dei fisioterapisti (American Physical Therapy Association, APTA), ha tenuto uno speciale programma radiofonico proprio per rispondere alla glorificazione irresponsabile negli ambienti CrossFit dell’incontinenza urinaria da sforzo.

L’impatto della rabdomiolisi

A volte la rabdomiolisi migliora con i trattamenti. A volte rimane un problema. A volte i reni non si riprendono più dai danni subiti. Uno degli iscritti su un forum di CrossFit ha raccontato la sua esperienza in un commento:

«Mi sento quasi “scoppiare” dopo l’allenamento di resistenza. Sono arrivato a questo punto facendo troppo allenamento; prima ero in ottima forma. Ho messo su peso. Mi gonfio tutto. Mi sembra che la qualità dei miei tessuti muscolari peggiori ogni giorno, peggio che a non fare sollevamento pesi, sembra quasi che i muscoli si stiano disintegrando.»

Gli effetti della rabdomiolisi possono durare oltre la fase critica iniziale.

La mia amica ha avuto un effetto simile, anche se per fortuna meno grave. Sono passati ormai vari mesi e la forza dei suoi muscoli tricipiti è tornata a livelli normali. Le sue braccia un tempo tanto scolpite ora sono una massa di tessuti gelatinosi e semi-gonfi. Una volta che un muscoli si rompe, il tessuto muscolare normale viene sostituito da tessuto cicatriziale danneggiato e adiposo. La conseguenza è che il muscolo è danneggiato per sempre, con una ridotta capacità di allenamento di resistenza. L’ironia del fatto che esagerare con le flessioni faccia venire braccia flaccide è un esempio di vero e proprio eccesso di zelo.

I praticanti di CrossFit, in gran parte ignari del rischio di rabdomiolisi, continueranno a dedicarsi agli allenamenti più estremi, felici di seguire la mentalità che li spinge a fare sforzi fino allo sfinimento. La mia previsione: tra qualche anno, la documentazione scientifica sottoposta a peer review sarà ricca di articoli sul CrossFit e la rabdomiolisi. Il sistema sanitario dovrà intervenire a mettere insieme i cocci, ma nel frattempo chi sta proteggendo quelle persone che si espongono inconsapevolmente a un rischio così grave?

L’attività fisica è una delle cose migliori che possiamo fare per il nostro benessere, ma nel caso del CrossFit, non ci resta che porci qualche domanda: è una disciplina per cui vale la pena correre un rischio simile? La mentalità del CrossFit potrà cambiare e adattarsi a principi di allenamento più sani e sicuri? Gli allenatori hanno davvero la capacità di valutare quale sia un carico di allenamento adeguato per i propri atleti? Sarà solo il tempo a dirlo, ma il futuro del CrossFit dipende da questo.

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Monica Cainarca

Translator, editor, dreamer • formerly translator and editor for Medium Italia