Die Kinder von Golzow

Il film documentario più lungo della storia del cinema.

Giada Farrah Fowler
I BAMBINI DI GOLZOW

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Winfried Junge
sul set di
Die Kinder von Golzow

Winfried Junge nasce nel 1935 a Berlino, studia inizialmente germanistica, poi si iscrive ai corsi di cinema della German Academy of Film and Television, conseguendo il diploma in drammaturgia nel 1958 presso la Scuola Superiore di Cinema di Potsdam-Babelsberg e cominciando a lavorare agli studi cinematografici della DEFA, nell’ex Germania dell’Est.
Nata il 17 maggio 1946 come DEFA GmbH (cioè società a responsabilità limitata), nel 1953 diventò una società per azioni, con la denominazione DEFA AG; nello stesso anno venne nazionalizzata e assunse il nome definitivo di VEB DEFA Studio für Spielfilm. Seguì poi a Berlino-Babelsberg la creazione di un dipartimento documentari.

Osservando i dati a disposizione, la DEFA ha prodotto in quasi 50 anni di attività 950 lungometraggi e cortometraggi, 5800 documentari e cinegiornali, 820 film d’animazione, circa 4000 film stranieri doppiati in lingua tedesca.
La produzione della DEFA viene fatta coincidere con l’intera produzione cinematografica della DDR, dato che chi voleva realizzare un film lo doveva fare con la DEFA ed era obbligato a soddisfare le aspettative del Ministero della Cultura.

Nel 1961, anno in cui fu innalzato il Muro di Berlino e in cui il primo uomo andò nello spazio, Junge girò il suo primo cortometraggio, Wenn ich erst zur Schule geh [Quando andrò a scuola] e ricevette l’incarico dal dipartimento documentari di ritrarre la realizzazione del socialismo reale.

La Germania ovest in quell’anno era una Repubblica parlamentare aggregata alle democrazie occidentali filoamericane; quella dell’est era una dittatura impostata sul modello sovietico, in cui governava il partito unico stalinista SED di Walter Ulbricht.
La divisione tedesca procedeva di pari passo con quella europea: al blocco orientale comunista, compattato attorno all’Unione Sovietica, si opponeva il blocco occidentale capitalista guidato dagli Stati Uniti, in una guerra definita “fredda” in quanto non combattuta, ma sempre al limite di un conflitto militare diretto.
L’ipotesi di una riunificazione nel 1961 era altamente improbabile: nel maggio 1955 Bonn era entrata ufficialmente nella NATO e nell’Unione europea occidentale, mentre la DDR con gli altri stati satelliti dell’Unione Sovietica aveva fondato l’alleanza militare anti-NATO del Patto di Varsavia. Uno scontro planetario non solo ideologico e militare, ma che arrivava a coinvolgere ogni ambito della vita umana.

A partire dalla fine degli anni ‘40 migliaia di berlinesi e tedeschi dell’est, con
relativa facilità con la quale si potevano raggiungere i settori americani, francesi o inglesi di Berlino, decisero di abbandonare il socialismo reale per costruirsì lì o in Germania ovest una nuova vita.

Per la società tedesco-orientale, soggetta a condizioni economiche critiche, espropri e collettivizzazione forzata, discriminazioni, epurazioni politiche e persecuzione, la Germania occidentale offrì una valida alternativa, fino a che il confine aperto con l’Ovest poté svolgere la funzione di valvola di sfogo.

Nel solo 1953 gli espatriati erano più di 330.000; negli anni successivi l’esodo proseguì con una media costante di circa 200.000 persone all’anno: giovani, persone qualificate, ingegneri, medici, professionisti di ogni genere.
Un salasso di forze produttive che nessuna economia mondiale poteva permettersi, tanto più la Germania est.

La Republikflucht, “fuga dalla Repubblica”, dal 1957 diventò un reato punibile con il carcere fino a tre anni, ma ciò non bastò a ridimensionare il fenomeno. Solo nei primi sei mesi del 1961 più di 100.000 persone lasciarono la DDR, lo stato comunista era sull’orlo del collasso: aveva già perso quasi tre milioni di abitanti nel giro di una decina di anni dalla sua fondazione. Sulla base delle registrazioni delle autorità sovietiche e della Germania est e delle domande di accoglienza a Berlino ovest, si fa ammontare il numero complessivo dei profughi fino al 14 agosto 1961 a 2.691.270.

All’interno di queste cifre la stragrande maggioranza dei profughi apparteneva alle classi medie e medio-alte: non solo ex nazisti, ma anche professionisti, esercenti, imprenditori della piccola e media borghesia, grossi capitalisti, una tendenza abbastanza naturale e comune a ogni rivoluzione sociale.

Il fatto che larghi strati della popolazione abbiano potuto esprimere il loro dissenso rifugiandosi all’ovest si deve a due circostanze fondamentali: la condizione della Germania divisa, con una frontiera almeno per un lungo periodo “aperta”, e la comunanza di lingua, di legami familiari, sociali e nazionali tra le due parti della Germania, che rendevano più agevole il trasferimento di quanto non sarebbe avvenuto in un ambiente totalmente estraneo.

Passerà alla storia la risposta di Walter Ulbricht del 15 giugno 1961 alla domanda della cronista politica del “Frankfurter Rundschau” durante una conferenza stampa nella Haus der Ministerien di Berlino:

- Secondo lei, fare di Berlino una ‘città libera’ vuol dire costruire un confine di stato davanti alla Porta di Brandeburgo? E se sì, si rende conto delle conseguenze?
- Capisco così la sua domanda, che c’è gente in Germania ovest che vorrebbe che noi mobilitassimo i muratori della nostra capitale per costruire un muro. È così? Non sono a conoscenza di una simile intenzione. […]
Nessuno ha intenzione di costruire un muro”.

L’inizio della costruzione del muro di Berlino, in una foto d’archivio scattata il 13 agosto del 1961.

Sappiamo poi cosa successe in quella domenica senza sole del 13 agosto 1961. Mezzi militari e da guerra, uniformi, elmetti, kalashnikov, catene di uomini armati si disposero a schiera lungo il confine del settore orientale a Potsdamer Platz e sul piazzale davanti alla Porta di Brandeburgo. Rotoli di filo spinato, pali di cemento, cavalli di Frisia, ed una folla di gente armata di valigie, pacchi e bambini che capì con sgomento di essere arrivata troppo tardi.

Questo l’annuncio che venne trasmesso nella mattinata alla radio della DDR:

Oggi il governo della Repubblica Democratica Tedesca ha adottato a Berlino delle misure efficaci che proteggeranno la DDR contro il “lavoro d’istigazione” dell’ovest e garantiranno anche la sicurezza degli Stati Socialisti.
I Ministeri degli Interni e dei Trasporti e il magistrato della “Grande Berlino” hanno disposto che, per la soppressione dell’attività nemica delle forze revansciste e militaresche alle frontiere della DDR, compreso il confine con il settore occidentale di Berlino, verrà introdotto un tale controllo, come si utilizza in qualsiasi stato sovrano. Attraverso una guardia affidabile ed un controllo efficace, l’attività d’istigazione dell’Ovest verrà bloccata.
I confini sopra indicati potranno essere attraversati dai cittadini della Repubblica Democratica Tedesca solo ed esclusivamente con permessi speciali.

La storia scorreva senza indugi, fulminea, impetuosa e proprio in quel terribile 1961 era necessario, dal punto di vista mediatico, optare per la rassicurazione:

Mostreremo come il socialismo trasforma una regione arretrata in zona-modello, narreremo il progresso attraverso le vite di quei bambini

La cronaca di una generazione non era ancora prevista: doveva essere un quarto d’ora con gli allievi di una prima elementare al primo giorno di scuola in un pacifico villaggio della DDR, Golzow, a est di Seelow, vicino al confine della Polonia. Un chilometro quadrato nell’Oderbruch in cui sia la via fluviale, l’Oder, che la ferrovia Furstenwalde-Wriezen, passavano a una certa distanza, ma dove la storia ha lasciato il segno in profondità.

L’Oderbruch era stato reso coltivabile nel Settecento da Federico II di Hohenzollern, detto Federico il Grande, con la deviazione del corso del fiume e la costruzione delle dighe.
Qui, durante la prima guerra mondiale sono morti 45 abitanti; nella seconda oltre 200. Ciò che era stato risparmiato venne definitivamente distrutto dall’alluvione del 1947.
La ricostruzione era urgente, il paese era un cumulo di macerie e gli abitanti si sono rimboccati le maniche, non c’era altra scelta: c’era voglia di ricominciare, di vivere, andare avanti, superare ogni ostacolo.

Winfried e Barbara Junge

Così dal 1961 Junge, con la moglie Barbara, seguì per 47 anni con la cinepresa le storie di quei bambini nati fra il 1953 e il 1955, che videro la scuola per la prima volta con le loro cartelle ed il tradizionale cono pieno di dolci, e che poi diventarono adolescenti, adulti, madri e padri, assistendo alla caduta del Muro e al grande cambiamento della riunificazione, realizzando un progetto biografico a lungo termine incredibile, in 20 film, quasi 70 km di pellicola, per oltre 2500 minuti di proiezione che custodiscono i destini di una generazione.
Il documentario più lungo che sia mai stato girato nella storia del cinema.

Il film risente delle trasformazioni sociali, ma non viene mai interrotto, nemmeno dopo la chiusura della DEFA.
Attraverso ritorni ciclici programmati i coniugi Junge si rendono conto di essere testimoni di un prezioso intreccio che consente di tracciare un bilancio storico, umano e politico di una zona cruciale dell’Europa.

Non si parla di grandi gesta o di eroi romantici: si entra semplicemente senza trionfalismi nella quotidianità di uomini, donne e bambini cittadini della Repubblica Democratica Tedesca, una parte di mondo in cui i valori della famiglia, dello Stato, della società e del lavoro erano il fulcro su cui poggiava l’esistenza individuale e collettiva, indagando continuità e discontinuità, la percezione che gli intervistati hanno di sé e del proprio posto nel mondo, le rappresentazioni che elaborano a proposito del mondo stesso e del particolare periodo storico in cui stanno vivendo.
Storie comuni, cariche del fascino della vita di ogni essere umano, in sé uniche e contingenti. Ogni storia rimanda ad altre e ci insegna che tutto si lega:

d’altronde, se ognuno è l’altro di qualcuno, c’è sempre qualcosa di noi in ballo nella storia altrui. E viceversa.

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Giada Farrah Fowler
I BAMBINI DI GOLZOW

Opinion leader, socia Aci, trascrittrice braille, testimone oculare, insegnante di cockney. Un'infanzia tormentata e un'adolescenza anche più dolorosa.