Storie nascoste nei codici

Le password possono essere ben più di una serie di caratteri a caso

Monica Cainarca
6 min readApr 17, 2015

Il 20 novembre 2014, il New York Times Magazine ha pubblicato il mio articolo, “The Secret Life of Passwords” (La vita segreta delle password). Era un’esplorazione dell’umanità che spesso si nasconde in una semplice serie di caratteri e una riflessione sul perché attribuiamo significati personali a questi codici anche se ci viene detto di non farlo. Un mantra motivazionale, una frecciata al capufficio, un’ode a un amore perduto, una battuta privata per noi stessi, un’esperienza emotiva che ha lasciato una cicatrice profonda: si trova sempre qualcosa di affascinante (e anche molti spunti di ispirazione) nelle storie dietro queste specie di ornamenti della nostra vita interiore.

Nello scrivere quell’articolo, ho chiesto alla gente di darmi esempi di vecchie password personali ogni volta che mi capitava l’occasione: in sala d’attesa dal medico, in treno, persino durante la cena del Ringraziamento con i suoceri. Ho intervistato centinaia di persone, in maggior parte sconosciuti. A mia sorpresa, molti sono stati disposti a fare un salto di fiducia non solo per darmi dati che si dovrebbero mai rivelare, ma anche per raccontare il segreto emotivo che si cela dietro la scelta di questi codici e li rende così personali.

Sono andato a prendere un caffé con un ex detenuto che mi ha raccontato perché la sua password includeva il suo numero di identificazione in carcere
(“un promemoria per non tornare indietro”, ha spiegato).

Ho ascoltato il racconto di una donna incontrata al parco, che aveva scoperto la password del figlio (“Lamda1969”) dopo il suo suicidio e aveva capito, ormai troppo tardi, che era gay.

Ho scambiato email con un ex cattolico che anche dopo aver perso la fede includeva sempre un riferimento all’Ave Maria nelle password che sceglieva (“è un segreto con un effetto calmante”).

Una volta in aereo, una donna di 45 anni senza figli seduta di fianco a me mi ha raccontato che la sua password era il nome del bimbo che aveva perso in gravidanza (“il mio modo di cercare di tenerlo in vita, immagino”).

Tutti questi frammenti di storie personali, già affascinanti in sé, alludono anche a qualcosa di più grande: quanto gli esseri umani siano creature creative e sentimentali, che cosa ci spinge a seguire abitudini bizzarre e come riusciamo a trasformare in arte gli ostacoli che incontriamo lungo il cammino. L’articolo sul New York Times Magazine è stato seguito da un mio pezzo su Medium (qui la traduzione in italiano) e molti lettori hanno risposto al mio invito, scrivendomi per raccontare le storie personali dietro le loro vecchie password. Eccone alcune:

  1. Ispirata dall’idea che le password che ci tocca digitare così spesso possano essere un metodo per darci motivazione e ispirazione, Shelly Bredau ha scelto la password “StrongMe” (ForteMe), per tenere alto il morale dopo il divorzio che aveva messo fine bruscamente al suo matrimonio di vent’anni, ma ha dovuto cambiarla perché ogni volta si sbagliava e digitava invece “StrangeMe” (StranaMe). E in effetti, si era trovata in mezzo a “una nuova e strana situazione, tra avvocati e cavilli legali che mi disorientavano”.
  2. Tim, che ha chiesto di non essere citato con il suo cognome, si chiede ancora perché mai abbia usato come password “Waganaki”, il nome del campo estivo dove da ragazzo era stato vittima di abusi sessuali. “Non so perché mi sono torturato ancora di più con queste password”, ha scritto. “Forse perché per tanti anni non ero riuscito a parlarne”.
  3. La password di Joy Chen era il nome di un personaggio da un romanzo che aveva iniziato a scrivere e poi messo da parte, ma mai abbandonato del tutto: “una volta che un’idea nasce, non smette mai davvero di esistere”.
  4. Aditya Joshi, un uomo di Bombay che per anni ha dovuto nascondere la sua omosessualità, usava “Iamgay” (Sonogay) come password. Ogni volta che la digitava, dice, “la mia fiducia in me stesso cresceva piano piano”.
  5. WhyDoTheDogsWakeMeOnSundays” (PerchéICaniMiSveglianoDiDomenica) e “Toomuchbakingsodamakesyourcakeabitfizzy”(Troppobicarbonatodisodiofavenireunpofrizzantiletorte): le vecchie password di Darren Pauli, scelte per far ridere sua moglie, dato che le condivideva con lei.
  6. La password di Nestor L. Reyes era il numero di serie del suo M-16, 1132859. Durante il suo addestramento militare nella divisione 82nd Airborne, non si separava mai un momento dal suo fucile. “Bellissimo e letale. Non mi ha mai deluso, cosa che non posso dire degli esseri umani”, ha scritto.
  7. “Il mio matrimonio è in crisi. E io voglio salvarlo”, ha scritto Sadie Welsh. “È assurdo come si smette persino di rivolgersi la parola”. La sua password, “1WordBrandon” (1ParolaABrandon) era un promemoria “per ricordarmi di parlare con mio marito almeno una volta al giorno”.
  8. La vecchia password di Melisa Fernando, “10yearstogo” (10annialtraguardo), era una promessa che aveva fatto a sé stessa tanti anni fa, per impegnarsi a finire il college entro i 23 anni. Oggi Melisa ha 22 anni e le manca giusto un anno alla laurea.
  9. Iwillmisspeggy4ever” (Mimancheràsempremisspeggy): la password di Floyd Chaffee, che ha perso sua moglie in un incidente stradale nel 2001. La password lo aiuta “a restare in contatto con quello che ho perso”.
  10. Quando Rosemary Kuropat era ancora piccola, costava troppo mettere una targa personalizzata sull’auto. La sua password, “MilK071120”, è in memoria della madre che l’aveva cresciuta da sola (Mil K. era il nome e 7/11/20 la data di nascita): sarebbe stata quella la targa personalizzata che la madre avrebbe voluto comprarsi se mai avesse avuto abbastanza soldi.
  11. Alle medie, Dorothy Pippin aveva lezione di violino ogni giorno e si portava sempre dietro lo strumento andando a scuola. La sua password era il suo soprannome, “Dillinger”, un riferimento al gangster che portava sempre con sé il suo mitra, nascosto appunto in una custodia di violino. “Era un modo di prendermi in giro”.
  12. La password di Vivian Tan Bo Yee, “sushifreak1308” (maniacadelsushi1308), combinava il soprannome affibbiatole dai suoi amici per prenderla in giro sul suo piatto preferito con la data della separazione dei suoi genitori (13 agosto). “Quasi un modo di attutire un ricordo che addolora, combinandolo con una cosa che dà conforto”.
  13. La password di David Agudelo Restrepo, “eccehomo”, si riferisce all’ultima opera di Nietzsche, Ecce Homo: come si diventa ciò che si è, che lo ha aiutato a superare il suo disturbo ossessivo. “Mi ha ricordato che sono solo un altro uomo, niente di più, niente di meno”.
  14. Madison Romero ha sempre rispettato le regole. Poi ha deciso di fare qualcosa di imprevisto: comprarsi una tarantola per spaventare gli amici. Non ha funzionato come previsto: invece di esserne terrorizzati, ne sono rimasti tutti affascinati. Un divertente esperimento fallito, che è diventato la sua password: “scaryspider” (ragnoterrificante).
  15. Dopo un’estate disastrosa segnata dalla rottura con il suo ragazzo e da un furto con scasso, Allison Sherry ha scelto come password “bettersummer2014” (estatemigliore2014). “Un mio augurio personale, inserito nella mia routine digitale quotidiana”. Ha funzionato.

Il progetto di raccolta delle storie dietro le password continua. Se volete raccontare perché avete scelto una particolare password, scrivetemi un’email (in inglese) a urbina@nytimes.com

Foto di Daniel Foster, via creative commons

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Monica Cainarca

Translator, editor, dreamer • formerly translator and editor for Medium Italia