Piani per un matrimonio irlandese

Per la serie “L’amore come”, la storia di David e Cormac durante il referendum in Irlanda per i matrimoni delle coppie dello stesso sesso

Monica Cainarca
5 min readMay 21, 2015

di David Lewis
traduzione di Monica Cainarca

Murale di JOE CASLIN a Dublino, dedicato al referendum irlandese

Ho conosciuto Cormac in Francia. Vengo dall’Oklahoma e prima di lui non avevo nessun legame con l’Irlanda. Ora ci vado in media tre volte all’anno. Ogni anno a gennaio, dopo aver trascorso il Natale con la sua famiglia, Cormac dice che non ci torneremo prima di un altro anno, ma sa che sta sfidando il destino a dire così: ci sono sempre compleanni, vacanze in famiglia, funerali, anniversari e matrimoni. Quest’estate andremo a un altro matrimonio – quello di sua cugina. È una donna che sposerà un uomo, quindi il referendum di questo venerdì non avrà alcun effetto sui loro piani, ma se vince il No, non sono sicuro di come ci sentiremo alla cerimonia. Lo so, è un pensiero egoistico. Non saremo noi al centro di quella cerimonia. È il loro giorno, non il nostro.

Ma se ci andiamo sapendo di non poter avere mai il nostro giorno, ci farà male essere lì.

Un problema più immediato sarà quella domanda scomoda che ogni coppia di fatto si sente fare a un matrimonio: “Allora, quand’è che vi sposate?”. È una conversazione così imbarazzante: sei lì con uno degli zii o dei cugini del tuo ragazzo – zio o un cugino che è diventato particolarmente loquace e spensierato dopo un paio di pinte – e di punto in bianco ti chiede quando hai intenzione di impegnarti a vita con un suo parente. Come fai a dire: “Be’, mi piacerebbe vivere insieme per un numero X di anni prima di sposarci, giusto per essere sicuri...”, senza farci la figura del coglione?

Di solito ricorro a tattiche di distrazione: “Guarda, mi viene in mente un sogno divertente che ci ha raccontato sua mamma, ha sognato che io e lui ci sposavamo. A quanto pare nel sogno arrivavamo alla cerimonia su un Hummer. Mi sa che l’Hummer è la mia influenza sul sogno. Ci sta, vengo dall’Oklahoma. E meno male che non ha sognato che arrivavamo a cavallo di un pit bull gigante. Così, nel suo sogno sbuchiamo fuori dal nostro Hummer matrimoniale come da tradizione del Midwest americano e indossiamo, cito le sue testuali parole, ‘vestiti assolutamente splendidi’, che ha disegnato lei ovviamente, dato che era il suo sogno. Ah, ma guarda, la tua pinta sta finendo, che ne dici, te ne prendo un’altra? "

Se vince il No, raccontare questo aneddoto ci farà compatire dagli altri? Nell’istante in cui io e Cormac ci uniremo a una conversazione, gli altri si sentiranno in dovere di stare attenti a quello che dicono e a come parlano con noi, escludendo ogni riferimento al matrimonio, proprio mentre siamo lì A UNA FESTA DI MATRIMONIO? Dopo un No al referendum: se fanno così e si censurano, potrebbe farci sentire peggio; se non lo fanno e parlano liberamente, potrebbe comunque farci sentire peggio. È una situazione impossibile. Ha già in sé qualcosa che mi fa sentire quasi peggio dell’idea di noi due che ci commiseriamo e sprofondiamo nell’amarezza, accucciati a capo chino nell’angolo niente-matrimonio-per-voi, supplicando il barista per convincerlo a passarci tutta la bottiglia di gin. Oddio, e se quello poi ci dà davvero la bottiglia senza la minima obiezione? Per pietà? Sarebbe la cosa peggiore. Da bere gratis per i guastafeste, le due minuscole macchie scure sulla giornata altrimenti perfetta della coppia di sposi.

Ho cercato di prepararmi ad affrontare questa eventualità. Potrei dire che tanto possiamo sempre sposarci in Oklahoma. Ma fermiamoci un momento a pensare cosa vuol dire: stiamo parlando dell’Oklahoma, uno stato in cui non una sola contea ha votato per Obama nelle ultime due elezioni presidenziali. Eppure, lì, potremmo prendere cinquanta dollari, saltare su un Hummer, addestrare un pitbull a portarci le fedi, guidare fino al palazzo di giustizia nella mia città natale di Pryor Creek (sì, si chiama proprio così, Pryor Creek) e avere un riconoscimento legale come coppia sposata.

io che abbraccio un Pit Bull

Bene. Onestamente, è una cosa che sembra davvero incredibile (soprattutto la parte del pit bull che porta le fedi). Ma ecco dove sta il problema: tra tutti i miei parenti, posso contare su una sola mano quelli a favore dell’idea di concedermi la possibilità di sposarmi con Cormac. Anche se ne aggiungo altri due, che poi sarebbero i miei genitori già defunti (stiamo andando sullo strappalacrime? ebbene sì, andiamo senza ritegno sullo strappalacrime!), posso comunque contare il totale su una sola mano. Se i miei parenti si presentassero al matrimonio, poi, probabilmente verrebbero con le loro facce da funerale. A parte i pitbull con le fedi e gli Hummer addobbati, sarebbe una cerimonia piuttosto deprimente. Chi vorrebbe mai un matrimonio del genere?

Se il matrimonio fosse in Irlanda, invece, quanti dei parenti di Cormac verrebbero? Non mi basterebbero le mani di ogni mio parente per contarli tutti. I parenti di Cormac sono una famiglia acquisita da sogno, per uno sposo. Deve essere per forza in Irlanda, il matrimonio – se non altro perché se no sua madre mi ucciderebbe.

Ecco, adesso penserete che mi sono incastrato da solo e sarò costretto a fargli la proposta. E invece no, non ho intenzione di farla. Come ho detto prima, voglio davvero vivere insieme per un numero X di anni prima di sposarci. E anche dopo un numero X di anni, proprio come qualsiasi altra coppia, una proposta sarà una cosa tra noi due... o meglio, tra noi due e il nostro pit bull (se Cormac me ne lascerà mai tenere uno).

Io che abbraccio Cormac

Vota Sì.

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Monica Cainarca

Translator, editor, dreamer • formerly translator and editor for Medium Italia