Il deserto del Mojave dove è ambientato il romanzo di Watkins, più o meno. Foto scattata nel 2008, a sud della Highway 95.

Un mondo post-apocalittico desertico, quello di Claire Vaye Watkins

Ludovica Lugli
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5 min readJan 19, 2016

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Lo scorso novembre sono state pubblicate le traduzioni di due romanzi di fantascienza scritti da autrici americane — Deserto americano (Neri Pozza) della statunitense Claire Vaye Watkins, e Stazione Undici (Bompiani) della canadese Emily St. John Mandel. Questi libri non sono accomunati solo dal fatto che chi li ha scritti ha due cognomi, ma anche dall’ambientazione delle storie che raccontano: in entrambi i casi si tratta di scenari post-apocalittici che molti in rete hanno definito distopici. Inoltre, una setta inquietante minaccia la vita dei protagonisti in tutti e due i romanzi. Sorge spontaneo il confronto con La strada (Einaudi, 2007), anche se nessuno dei due mostra la stessa cupezza dell’opera di Cormac McCarthy. Uno mi pare più riuscito l’altro meno.

Ecco la prima parte di una recensione doppia; per l’altra ci vediamo domani.

Deserto americano

Non confondetevi con Deserto americano di Percival Everett (Nutrimenti, 2009), traduzione di American desert — quanto sarebbe bello conoscere tutti i retroscena sulla titolazione dei libri tradotti. Il titolo originale del romanzo di Claire Vaye Watkins è Gold fame citrus: cioè oro, celebrità e agrumi, le tre ragioni per cui la California è stata ed è un’ambita meta per tante persone.

Watkins, nata nel 1984, ha esordito nel 2013 con la raccolta di racconti Battleborn, che si apre con un testo ispirato alla vita del padre dell’autrice, cioè Paul Watkins, che negli anni ’60 faceva parte della Famiglia Manson e testimoniò nel processo per i sei omicidi compiuti da membri del gruppo.

La protagonista Luz è figlia di una messicana, quindi di sicuro non assomiglia alla ragazza della copertina scelta da Neri Pozza.

Dove e quando. In Deserto americano siamo in un futuro in cui la California è rimasta totalmente a secco e i suoi abitanti hanno dovuto spostarsi altrove, anche se vengono fortemente discriminati — gli immigrati messicani no, perché hanno fatto ritorno in patria. Lungo la costa pacifica la vita prosegue in modo anarchico (ecco la distopia), il denaro non ha più valore ed è più facile trovare della Coca Cola, piuttosto che dell’acqua. Nel sud-ovest degli Stati Uniti si è formata un’enorme duna, chiamata Amargosa, che distrugge e copre città, deserti e catene montuose (ecco la fantascienza). I suoi unici abitanti sono i membri di una setta guidata da un uomo con presunti poteri da rabdomante, Levi.

Chi e cosa. Luz è un ex modella e vive con Ray, un ex soldato, nella lussuosa casa abbandonata di un’attrice. Le autorità statunitensi stanno cercando di evacuare la costa occidentale, ma i due protagonisti hanno deciso di sottrarsi a quella che pare una deportazione. Tuttavia, dopo aver salvato/rapito una strana bambina di circa due anni, Ig, sono costretti a mettersi in viaggio verso l’interno, nella speranza di raggiungere una zona del paese in cui sia possibile cominciare una nuova vita. Di mezzo però ci sono l’Amargosa, Levi e i suoi seguaci complottisti.

Il mondo non era mai stato così pieno di pericoli e se amavi qualcuno il vedevi ancora meglio.

Come. Deserto americano è narrato in terza persona ed è scritto con uno stile forte, letterario ma non ostico. Anzi, la forma è il punto di forza di questo testo. È diviso in tre parti e mescola scene del mondo prima della siccità alle parti della narrazione principale. Alcuni dettagli sulla storia dei personaggi principali (Luz e Levi, soprattutto) avrebbero potuto essere trattati di più: le descrizioni, pur molto belle e mai noiose, tolgono spazio a un approfondimento soddisfacente. L’effetto sarà voluto, ma il lettore resta con alcune domande e non è sicuro che i complotti di cui si parla nel libro (cosa vuole fare il governo con l’Amargosa? nasconderci le scorie nucleari? farla saltare in aria?) siano inventati da alcuni personaggi.

Segni particolari. L’ossessione per l’acqua (“Chi aveva avvolto l’intero Sudest in una rete di acquedotti?”) ricorda alcuni saggi di Joan Didion sulla California contenuti in The White Album. Si parla anche a lungo di Yucca Mountain, il rilievo al confine tra Nevada e California in cui si pensava di isolare i rifiuti delle centrali nucleari statunitensi — questo mi ha ricordato che vorrei leggere About a mountain di John D’Agata, un saggio sulla storia di questa montagna (pubblicato in italiano nel 2010 da Isbn, ho scoperto).

Perché ho scoperto questo libro. Qualche mese fa sono incappata in questo saggio personale di Watkins che parla di come una donna che scrive abbia in qualche modo l’istinto di imitare uomini che scrivono e cerchi la loro approvazione. È un testo interessante (in cui tra l’altro Watkins dice che Cormac McCarthy non è tra gli autori che più l’hanno influenzata nonostante lei scriva dell’ovest degli Stati Uniti come lui) e quando ho saputo che il suo primo romanzo era stato pubblicato in Italia l’ho cercato.

Lo consiglio? No. Nonostante lo abbia trovato molto coinvolgente e abbia apprezzato sia lo stile in cui è scritto, sia le caratteristiche dei protagonisti, il finale aperto mi ha delusa. L’ho trovato una grande lettura fino alle ultime pagine, ma poi qualcosa ha rovinato tutto. Non ho intenzione di fare spoiler, quindi azzarderò una metafora audace: Deserto americano non finisce con una porta che si chiude e nemmeno con una lasciata aperta, piuttosto il lettore crede di trovarsi di fronte un varco luminoso, ma quando si avvicina sbatte i denti su una vetrata che comincia a ondeggiare per l’urto, senza però rompersi.

Una citazione un po’ più lunga per dare un’idea.

Uno dei problemi era Ig. Un problema che faceva la popò nei foulard di Hermès. Un problema con gli occhietti che parevano due monetine. Un problema che piagnucolava di giorno e strillava tutta la notte. Un problema che tirava avanti grazie alla Coca del Razionamento e le posava la testolina bombata in grembo. Un problema insonnolito ma battagliero, sempre battagliero. Un problema che mordicchiava quello strano succhiotto di garza. Un problema che ne creava molti altri.

Hai letto uno di questi libri e non sei d’accordo con me? Sei esperto di fantascienza e/o e credi che mi sia persa un punto fondamentale della questione? Ho provato a dare una struttura definita a questa recensione e mi piacerebbe sapere che ne pensi — cosa dovrebbe dirci una buona recensione? Come dovrebbe farlo? Può creare collegamenti tra diversi libri e diversi lettori? È importante che ci siano recensioni negative e stroncature?

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Ludovica Lugli
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Lettrice. Ho avuto anche una breve storia d’amore con la fisica.