Sport e paralimpiadi, nulla è impossibile giocando

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21 min readApr 15, 2016

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di Andrea Danneo

Martina Rabbolini

I Giochi Paralimpici del 2012 a Londra hanno dato una vera e propria scossa al mondo dello sport, soprattutto quello italiano: anche le persone diversamente abili possono praticare le discipline a livelli competitivi elevati.

Nella città di Milano si sono distinte diverse associazioni e Onlus impegnate nella diffusione dell’attività sportiva tra le persone disabili. Il dottor Francesco Cusati, presidente della GSD Non Vedenti Milano e Giovanni Lodetti, titolare del Circolo della Spada Marcello Lodetti, ci danno una panoramica di questa realtà, anche con l’aiuto di alcuni dei loro atleti, che nelle rispettive discipline hanno conseguito dei risultati importanti.

GSD Non Vedenti

Francesco Cusati

Come nasce la GSD Non Vedenti?

L’associazione ha cominciato nel 1980 con il preciso obiettivo di promuovere lo sport tra i non vedenti, partendo proprio da quelle discipline che allora erano esclusivamente praticate da loro, come il Torball, o il Goalball. Col tempo sono aumentate le possibilità e le proposte, con l’aggiunta iniziale dell’atletica e del nuoto, che hanno a loro volta aperto la strada alle attività più recenti: il tiro con l’arco, il canottaggio, l’arrampicata sportiva, ma soprattutto il baseball per ciechi, di cui siamo molto orgogliosi. Di quest’ultimo, infatti, nella città di Milano ci sono due squadre: I Lampi Milano e i Thunder’s five.

Si tratta di sport chiaramente adattati, vale a dire che prevedono delle modifiche che rendono la disciplina accessibile agli atleti non vedenti, ma allo stesso tempo mantengono un livello di sfida comunque alto. Si pensi ad esempio al tiro con l’arco: in sede di competizione è previsto una sorta di mirino tattile, mentre il bersaglio viene posizionato dal padiglione a una distanza variabile, che di norma consta di 18 metri al coperto e di 30 all’aperto.

L’atleta riceve in un intervallo prestabilito le indicazioni dell’ ubicazione dell’ obiettivo dal proprio istruttore, che allo scadere del tempo deve lasciare l’arciere da solo. L’atleta deve mantenere la posizione fino al via dell’arbitro per scoccare la freccia. Restare immobili non è facile e richiede una grande padronanza del proprio corpo e capacità di concentrazione.

Come è strutturata l’Associazione nella gestione degli iscritti, del personale e delle attrezzature?

C’è una suddivisione in gruppi per tipo di attività sportiva e ciascuno di questi fa capo ad un referente non vedente, che si occupa di mantenere i contatti con gli allievi e gli stessi corsisti. Oltre a questa figura, abbiamo anche un istruttore per ogni singola disciplina, oppure, nel caso di sport dove si richiede un numero maggiore di tecnici ci sono esperti, o comunque ex giocatori, come per il baseball per ciechi. A darci una mano ci sono anche ragazzi che hanno studiato Scienze motorie o che hanno delle competenze in materia, oltre che sensibilità e voglia di mettersi in gioco, perché, ci vuole una certa attenzione nello spiegare la disciplina, a far comprendere il giusto movimento del corpo. Una volta fatto questo nel modo corretto, non si richiede nulla di più per insegnare un determinato tipo di sport alla persona non vedente.

In media quanti ragazzi si iscrivono ai corsi?

Sono circa 150 atleti, distribuiti nelle varie attività, ma per un numero preciso bisogna andare a vedere le adesioni ai singoli corsi: per esempio per la difesa personale i partecipanti sono aumentati, tanto che abbiamo proposto un secondo appuntamento il venerdì pomeriggio, quando inizialmente era stato pensato solo il martedì sera per le lezioni. L’età media è abbastanza alta, tra i 40 e i 50 anni, perché, purtroppo i giovani si fa fatica a trovarli: o si avvicinano allo sport molto tardi, oppure tengono le distanze per il fatto che chi si occupa della promozione è comunque una persona di una certa età e questo è un elemento che un ragazzo considera. Il nostro obiettivo è quello di convincerli a sbloccarsi e fare un po’ di sport, attraverso nuove proposte promozionali.

Qual è la vostra linea promozionale?

Siamo partiti dai social network, attivando un profilo Facebook da settembre 2015, a cui poi è seguito un account di Twitter e un canale YouTube. Siamo anche attivi nell’ ambito delle manifestazioni a tema: per esempio abbiamo dato una mano ad una festa di Zona 6 a Milano, il 20 dicembre dell’anno scorso. Portiamo anche la nostra testimonianza all’ interno delle scuole, presentando le nostre discipline. Purtroppo troviamo qualche difficoltà a causa di un atteggiamento protettivo da parte delle famiglie, che premono di più sull’ istruzione, ponendo in secondo piano, o escludendo l’attività sportiva.

Secondo lei, attualmente, il mondo dello sport come si relaziona agli atleti disabili?

Ritengo che le strutture siano tendenzialmente aperte. Molti ragazzi sono iscritti a discipline piuttosto affermate a Milano, ad esempio il judo. Poi può capitare che in alcune palestre ci sia del personale tecnico che non è abituato a queste realtà, ma oggi è possibile recuperare tutte le informazioni necessarie per gestire ed insegnare ai ragazzi le diverse discipline sportive. In linea generale si registra certamente un’apertura e nel caso in cui ci fossero delle difficoltà, per la nostra specificità, appunto di ragazzi non vedenti, o ipovedenti, i titolari delle strutture ci contattano per avere dei consigli.

Circolo della Spada Marcello Lodetti

Giovanni Lodetti

Come avete iniziato la vostra avventura?

Il Circolo è stato fondato il 20 settembre 2002, ospitato dalla Scuola militare Teuliè, con lo scopo di promuovere la diffusione e lo sviluppo dello sport, connesso alla scherma. Dal 2003–2004 il circolo è convenzionato e gemellato con il Cus Milano.

Il nostro programma ha previsto fin dagli inizi l’inserimento di corsi specifici per iscritti con disabilità, che sono perfettamente integrati nella realtà del Circolo. Abbiamo persino una frase rappresentativa del progetto: “Ecologia della mente e dello sport”.

Come sono organizzate le lezioni?

Sia normodotati, sia disabili eseguono insieme esercizi di riscaldamento, poi ognuno si mette a duellare e a fare gli esercizi, a seconda delle proprie possibilità.

Si pensi ai ragazzi non vedenti, o ipovedenti, che di norma vengono bendati, in modo che duellino a pari condizioni.La loro pedana è poi percorsa da una placca centrale che grattando le suole segnala agli atleti la loro posizione sulla pedana stessa.

Per quelli, invece, in carrozzina, è prevista una attrezzatura apposita che consente agli atleti di duellare.

La cosa bella e che favorisce la piena integrazione è che gli iscritti normodotati possono duellare con quelli disabili alle regole di questi ultimi, cosicché non ci sia una divisione della palestra in due, ma si costituisce un gruppo unico.

Voi siete gli istruttori di questi atleti, ma che cosa insegnano loro a voi?

Stare con gli atleti disabili è un’esperienza che non finisce mai di stupire. Ad esempio loro spesso dicono agli istruttori di non avere dei deficit, ma di essere semplicemente diversi. Tale diversità è da intendere in un senso positivo, come se si stesse parlando di una differenza di atteggiamento, o di carattere. Alcuni degli insegnanti non avevano mai avuto un contatto diretto con la disabilità nello sport e nel giro di quattro anni hanno fatto notevoli progressi, in termini di approccio e di competenza nei confronti degli atleti.

Secondo lei il mondo della scherma si sta aprendo agli atleti disabili?

Il nostro Circolo è certamente all’ avanguardia nei confronti di questa realtà, anche perché gli atleti che si presentano da noi, alle volte dimostrano una disabilità a livello cognitivo e psicologico, invece che fisico, però siamo una mosca bianca.

La nuotatrice

Martina Rabbolini

Di Villa Cortese, Martina Rabbolini ha 17 anni ed è non vedente, ma la sua grinta si manifesta una volta in acqua, tanto da farle conquistare la convocazione per il Campionato Europeo di nuoto. Martina il mondo dello sport lo vive e ci racconta com’è.

Quali sono i tuoi record attuali?

Io detengo il record assoluto nei 100 metri stile Rana, poi anche un record nei 400 metri Stile Libero e nei 100 metri Dorso. Sono le mie principali specialità.

Perché proprio il nuoto? Da dove nasce questa tua passione?

Fin da piccola andavo coi miei genitori a fare il corso per i bambini, a Busto Garolfo. Da lì ho iniziato a fare i corsi per imparare a nuotare e col tempo, insieme all’abilità si è sviluppata anche la passione. Così mi sono spostata dal 2011 a Busto Arsizio, dove ho conosciuto il mio attuale allenatore, Andrea Taruggi. Adesso mi alleno 6 volte alla settimana, due ore al giorno in acqua e due volte a settimana un’ora di palestra.

Quando hai iniziato, quali sono stati i primi ostacoli nel relazionarti con il nuoto?

Di sicuro all’inizio facevo fatica a orientarmi nella corsia, magari mi capitava di andare storta e non vedendoci, alle volte andavo addosso agli altri ragazzi che nuotavano nella vasca, oltre a me. La seconda difficoltà è stata capire quale fosse il movimento giusto da fare. Alla fine sono riuscita grazie all’aiuto del mio allenatore che ha dovuto farmi sentire quale fosse il movimento giusto, non potendolo vedere e quindi imitare dagli altri. Quindi fuori dall’acqua lui mi faceva replicare il movimento, guidando lui stesso le braccia, cosicché capissi come dovessi muovermi. È stato necessario più tempo.

A prescindere dalle competenze tecniche, cosa ti è stato insegnato dal tuo allenatore?

Andrea mi ha fatto maturare tanto, standomi vicino come supporto mentale e morale, riuscendo a tranquillizzarmi. È stato lui ad insegnarmi un atteggiamento più professionale e certamente la costanza nell’allenamento. I suoi consigli mi sono stati preziosi nello sport, ma anche dal punto di vista umano.

In che modo l’associazione onlus GSD non vedenti Milano ha partecipato al tuo percorso sportivo?

Senza il GSD io non sarei qui. Un giorno mi trovavo all’Istituto per ciechi di Milano per frequentare un corso di informatica per non vedenti. Lì ho incontrato Francesco Cusati e parlando è uscito fuori che seguivo dei corsi di nuoto e che nuotare mi piaceva tanto. Detto ciò, lui mi ha proposto di iscrivermi al GSD, di provare e così ho iniziato a frequentare, prima presentandomi una volta a settimana a Milano, poi, con le gare, le volte sono diventate due, sempre a Milano, a cui però si sono aggiunte altre due ancora a Busto. Francesco mi ha dato una grossa mano a entrare nel mondo paralimpico e tutt’ora mi sta molto vicino e non fa mancare il suo sostegno. Alla GSD e a Francesco io devo davvero tanto.

Come gestisci i tuoi impegni sportivi con quelli scolastici?

Ci vuole tanta, tanta organizzazione. Il week end, quando non ho le gare, mi porto avanti. Se per esempio sapessi di avere un compito per giovedì, il sabato lo faccio. Il punto è che quando ho tempo cerco di portarmi avanti il più possibile.

A scuola e nella tua compagnia di amici sei Martina, o “la Campionessa”?

Sono Martina. Poi che ci sia lo sfondo da Campionessa è normale che ci sia, perché è una parte di me, ma prima di tutto io sono Martina.

Mi racconteresti qualche episodio/bella sorpresa che ti hanno fatto?

A scuola ricevo sempre i complimenti dai miei compagni di classe. Invece i miei, quando è arrivata la notizia della convocazione agli europei, mi hanno preparato la piscina fuori e mi sono buttata dalla felicità, completamente vestita.

Mi racconteresti una tua giornata tipo?

Io mi alzo presto al mattino, alle 06:30 circa. Vado a Scuola ad Arconate, al liceo Linguistico europeo. Ho lezione fino alle 13.30, iniziando dalle 08:00. Torno per pranzare e poi preparo la borsa. Alle 15:00 sono in acqua, fino alle 17:00, o alle 18:00, ma anche alle 18:30 a seconda se ho palestra oppure no. Infine rientro a casa, mangio e studio.

Nella competizione agonistica qual è stata (o è ancora) la tua principale rivale?

Nell’agonismo i rivali sono davvero tanti, soprattutto a livello internazionale. In Italia c’è un’altra ragazza per la mia stessa categoria, Cecilia Camellini, che per me è stata da sempre il mio idolo. Adesso siamo arrivati a un punto in cui io mi sto avvicinando al suo livello. Motivo per cui lei continua a essere il mio idolo, ma si sta facendo anche avanti il desiderio di superarla e di batterla e lei lo sa.

Se a parlarti fosse una persona che si vorrebbe avvicinare a questo sport, quali “consigli fondamentali” le daresti?

Di sicuro di non tirarsi indietro, soprattutto di fronte alle prime difficoltà, ma di provare. Il nuoto è uno sport individuale, quindi richiede tanta costanza e una forte motivazione, come per qualsiasi altra disciplina sportiva. Non si tratta solo di una formazione a livello fisico, ma soprattutto mentale e umano. Personalmente lo sport mi ha dato amicizia e consapevolezza di me stessa e di quello che sono in grado di fare. Quindi se una persona mi dice che vorrebbe avvicinarsi a una qualsiasi disciplina, io ne sono contenta e cerco di incoraggiare ancora di più, perché chi ho di fronte provi.

Quali sono stati i traguardi più difficili da raggiungere, me li racconteresti? E quelli che ti hanno motivato di più?

Di sicuro la convocazione agli europei. Non era per nulla scontata, perché nonostante ci avessi messo tutto l’impegno possibile non c’era la certezza di essere convocata. Poi un venerdì pomeriggio, alle 17:00, io avevo appena finito l’allenamento e appena fuori dall’acqua sento Andrea che mi dice che erano usciti i risultati per la convocazione. Ed è stata già quella una sorpresa perché non si sapeva neppure la data dell’uscita della lista. Nei giorni precedenti c’era stata un po’ la preoccupazione, però ho cercato comunque di non pensarci, anche per via del fatto che non si sapeva nulla di quando sarebbe arrivata la convocazione. Poi è arrivato quel venerdì pomeriggio e Andrea mi fa: “sono usciti i risultati per le convocazioni. Sei dentro!”. Ricordo che a quel punto sono scoppiata a piangere, ma intanto ridevo, tutte e due le cose allo stesso tempo. Mi sono anche messa a saltare.

Esulando un po’ dallo sport, c’è qualcos’altro che ti appassiona?

Mi piace tantissimo la musica, di tutti i generi, anche se preferisco quella pop. Come gruppi musicali ascolto spesso i Modà. Mi piace cucinare dolci, passione condivisa e sostenuta ampiamente da mio papà e da mio fratello.

Come vivete in famiglia questa avventura nel mondo del nuoto? I tuoi cosa ne pensano?

I miei mi hanno sempre sostenuto. Quando ho detto che mi sarebbe piaciuto iniziare a fare le gare, loro mi hanno appoggiato fin da subito. Partecipano tantissimo a quelli che sono i miei risultati. Sono presenti a tutte le competizioni e in casa si vive un bel clima. Mai una volta si sono mostrati preoccupati, non un “pensiamoci su”, non un “sei sicura?”, mi hanno sempre dato la massima fiducia.

In generale, sulla base della tua esperienza, il mondo del nuoto come si rapporta ai ragazzi disabili?

Sicuramente le Paralimpiadi di Londra 2012 hanno avuto tanta visibilità. E questo ha avuto un significato molto importante. Da qui c’è stata un’apertura su due fronti: da una parte il mondo dello sport si è aperto tanto alla disabilità. Dall’altra, i ragazzi, vedendo atleti paralimpici che gareggiavano a questi livelli, hanno avuto la giusta motivazione e si sono avvicinati all’attività sportiva. Gli stessi organizzatori di queste realtà cercano di rendere la competizione sempre più vicina a quella olimpica.

Lo spadaccino

Ivan Lombardi

Ivan Lombardi ha 18 anni e pratica la scherma in carrozzina ai massimi livelli. Con la sua esperienza ci racconta il mondo della spada.

Da quanto tempo ti dedichi alla scherma?

Da 4 anni, ormai. Ho iniziato a frequentare i corsi nel settembre del 2011, poi nel 2012 ho comperato la divisa e la spada.

Perché proprio la scherma? Da dove nasce questa tua passione?

In realtà il mio sport preferito è il calcio, ma per ovvi motivi non posso praticarlo. Da piccolo mi piaceva giocare con le spade e poi proprio in quegli anni ho visto le Olimpiadi e c’era la scherma e mi aveva colpito. Al giovedì, prima di andare alla Scuola, faccio un po’ di nuoto. Anche quella è una attività sportiva che pratico da anni, però adesso ci vado solo a scopo riabilitativo. Personalmente preferisco la prima perché in piscina c’è un istruttore che ti dice cosa fare, quali stili adottare, invece nella scherma hai più libertà: c’è sempre qualcuno che ti segue, chiaramente, ma solo per insegnarti le tecniche all’inizio del percorso d’allenamento. Poi nella competizione sta al duellante stabilire quale strategia adottare e in quale direzione cambiarla nel corso della stessa gara. Nel nuoto non è previsto nulla di tutto questo, perché hai un solo stile per volta.

Come ti trovi con i tuoi allenatori?

Siamo in ottimi rapporti. Alle volte si siedono su una carrozzina per insegnarmi sul campo la tecnica, facendomi vedere quali movimenti richieda, dalla posizione che uno ha. In generale adottano lo stesso metodo nel momento in cui notano che l’allievo esegue una mossa in modo errato o più difficile rispetto al problema che ha e si cerca insieme un nuovo modo per poterla fare. È una formazione anche a livello emotivo: alcuni istruttori si impegnano a caricare il più possibile l’allievo, altri, invece, nel momento in cui si trovano di fronte uno più irruento, come è stato anche il mio caso all’ inizio, cercano di fargli assumere un approccio più dosato, perché se tu schermidore ti mettessi con un piglio irruento fin da subito, non potresti poi pretendere di reggere tanto a lungo uno scontro, ti stanchi subito. In sede di gara il consiglio fondamentale è quello di tenere sempre presente il tipo di gioco che lo sfidante decide di seguire. Sulla base della strategia, bisogna agire di conseguenza: in generale con gli avversari più bravi gli istruttori dicono sempre di aspettare il momento giusto.

Come si svolge una tua giornata tipo?

Mi sveglio più o meno alle 07:00, perché a scuola le lezioni iniziano alle 08:00. Io frequento il Liceo Scientifico Italo Calvino di Rozzano. L’orario di lezione prevede sei ore, quindi usciamo alle 14:15. Una volta tornato a casa, a seconda del numero di compiti che devo fare mi riposo un po’ giocando ai videogiochi. Non dedico moltissimo tempo allo studio: mezz’oretta al giorno, perché penso di avere una buona memoria, quindi ricordo ciò che i professori dicono a lezione, perciò non ho molto bisogno di rivedere tutto a casa. A scuola non sono male, anzi ho anche dei buoni voti.

Esulando un po’ dall’attività sportiva, cos’altro ti appassiona?

Mi piacciono un sacco i videogiochi. Nella tesina di quest’anno ho pensato di portarne uno che piacesse a me, ma fosse anche attinente con un tema in programma con i corsi dell’anno scolastico. Alla fine ho scelto Assassin’s Creed II, ambientato nell’Italia rinascimentale. Terminate le Scuole Superiori vorrei andare alla Facoltà di Informatica dell’Università di Milano, che al quarto e quinto anno ti dà la possibilità anche di programmare videogiochi. Si vedrà.

Quali sono i tuoi traguardi sportivi?

L’anno scorso ho partecipato ai campionati regionali e sono arrivato secondo, invece a quelli nazionali mi sono classificato subito dopo il podio. I miei genitori sono contentissimi dei risultati: papà mi accompagna a tutte le gare, entusiasta, anche perché pure lui è uno sportivo e faceva baseball, calcio e poi un paio di maratone; mentre mamma mi scrive su What’sApp per sapere come è andata e mi sostiene anche lei.

Come sei entrato in contatto con la Scuola di Scherma?

Un bel po’ di anni fa, alla fiera di Milano, era stata organizzata un’intera giornata dedicata allo sport paralimpico. C’erano carrozzine speciali per la corsa e per altre discipline. Io ero andato a provare quelle di scherma. Infatti la dottoressa che mi segue per la riabilitazione mi aveva consigliato una lista di sport. Ricordo che c’era l’hockey, che non mi piace, così ho cercato delle scuole di scherma e ho trovato la Lodetti.

Quali sono state le prime difficoltà che hai incontrato nel relazionarti con questa disciplina?

Quando ho iniziato non sapevo in quali circostanze fare determinate mosse, oppure avevo il braccio che si affaticava facilmente essendo poco allenato a sostenere il peso della spada. Ma queste sono difficoltà che si superano con l’allenamento. Ho notato però che si incontra comunque fatica a livello di controllo, ma questo è dovuto alla malattia.

A una persona che si avvicina per la prima volta a questo sport, cosa consiglieresti?

Mi è capitato altre volte di dare consigli, perché ogni tanto durante l’anno organizziamo delle dimostrazioni per farci conoscere e mostrare da vicino la disciplina. Anche in collaborazione con le associazioni “Don Gnocchi” e “Don Calabria”, che ci danno l’opportunità di far vedere a dei ragazzini come questo sport possa essere loro utile per la riabilitazione. Penso che la cosa più importante sia il divertimento, senza quello manca praticamente il motivo principale per cui fare tale sport. Si deve cercane uno che piace e che diverta chi lo sceglie. E soprattutto non ti devi nascondere dietro al problema che hai, perché, anche nella scherma esistono categorie diverse a seconda delle tue possibilità. Quindi tiri con persone che sono nella tua stessa situazione, a pari condizioni.

Traguardi preferiti della tua carriera sportiva?

Sicuramente il secondo posto ai regionali, che è anche il risultato più alto che ho raggiunto finora. Le gare si svolgono nei primi mesi dell’anno a Seregno. Sono anche molto soddisfatto della gara che ho fatto quest’anno: era per le qualificazioni per la competizione nazionale di fine anno. Ai gironi ho vinto tre duelli su quattro. Me la sono giocata bene e mi sono divertito tanto.

Il dottor Lodetti e il dottor Costamagna mi hanno detto che la realtà della scuola è più unica che rara. Ti trovi d’accordo?

Pienamente d’accordo. Anche perché, ricordo che quando ho iniziato a cercare delle scuole di scherma che prevedessero dei corsi per allievi in carrozzina, ne ho trovata soltanto una sola e si trovava dall’altra parte di Milano, ma per me era irraggiungibile, perché avrei impiegato un’ora all’andata e una al ritorno. Penso che nel capoluogo lombardo di Scuole così aperte penso ci sia solo la Lodetti. Infatti, quando vado ai nazionali, partecipano pochissimi ragazzi disabili. Per esempio so di qualcuno che proviene da Palermo, da Torino e Bergamo, ma sono comunque numeri molto bassi, sia come partecipanti, sia come città rappresentate.

Lo sportivo

Matteo Comi

Classe 1988, Matteo Comi è sempre alla ricerca di nuove sfide: giocatore chiave nei Lampi, una delle due squadre milanesi del baseball per non vedenti, vanta record di tutto rispetto nell’ atletica ed è da poco approdato anche nella scherma. Chissà, magari un giorno scriverà un libro della sua esperienza, intanto ci racconta il mondo dello sport.

Quali sono stati i tuoi traguardi più recenti?

Ho partecipato a marzo all’edizione 2016 dei campionati di atletica Indoor, ad Ancona. Ho vinto per il terzo anno consecutivo sui 400 e gli 800 metri. Peccato che non sia riuscito a migliorare i miei tempi, però, purtroppo sono stato fermo due settimane per problemi di salute. Ho cercato comunque di mantenermi pronto in moto, utilizzando metodi alternativi, come ad esempio la cyclette. Mi sento lo stesso soddisfatto, anche perché la mia guida ufficiale non era disponibile per quell’ occasione e il ragazzo che l’ha sostituita si è comportato benissimo, stando ai miei tempi, nonostante mi avesse visto pochissime volte.

Come ha avuto inizio la tua carriera di sportivo?

Io ho iniziato alla fine dell’Università. Per il fatto che sono ipovedente, durante il mio percorso scolastico sono stato esonerato dall’attività di ginnastica e allora non sapevo ancora nulla degli sport adattati. Nel 2008 ho cominciato un percorso di attività fisica in palestra: esercizi a corpo libero e allenamento con gli attrezzi. Dal momento che frequentavo il corso di laurea in fisioterapia, provavo a farmi le schede degli esercizi da solo, così da approfondire meglio i miei studi e capire cosa effettivamente serviva a me per mantenermi in movimento, di certo non per diventare un palestrato. Nel 2012 ho partecipato alla StraMilano. A convincermi era stato un mio collega, che si è presentato con questa proposta, seguendo un po’ l’idea di misurare le nostre possibilità atletiche. Si rivelò una bella esperienza, io e il mio amico gareggiammo legandoci con una cordicella, che è proprio il modo in cui si fa atletica adattata, solo che noi non lo sapevamo. Per l’iscrizione avevamo deciso di iscriverci attraverso l’Associazione italiana ciechi, quindi correvamo con le loro magliette, ritirate a Palestro prima di andare a Milano.

Qualche giorno dopo mi contatta Fabio Dragotto, un responsabile della sezione giovanile dell’Associazione. Nel corso della telefonata, questo ragazzo mi invita a partecipare ad uno degli allenamenti del baseball per non vedenti. Allora mi consulto con mio papà e un giorno di marzo 2012 andiamo a Lambrate. Il punto di ritrovo storico si chiama Mundial pizza, che per un non vedente è l’ideale perché senti il profumo. Così mi portano al centro sportivo Saini e lì mi fanno conoscere il responsabile Lorenzo Deregnini che mi presenta i giocatori, mi spiega in cosa consistono le regole e come questo sport sia stato adattato ai non vedenti: ad esempio non c’è la figura di un lanciatore, ma il battitore stesso in una mano tiene la palla e con l’altra stringe la mazza.

Nel periodo di maggio, io ero ancora incerto a livello lavorativo, quindi pensavo di mollare. Però a giugno mi contattò Maurizio Scarso, mio attuale capitano dei Lampi: mi fece un po’ la corte, cercando di convincermi. Alla fine gli ho dato per buono qualche saltuario allenamento, che poi è diventato sempre più costante. Lo stesso Maurizio mi aveva insegnato la strada per andare da Lambrate fino al campo. Io allora non mi ero mai mosso da Brivio, praticamente. Perciò cominciai a spostarmi, prima con la compagnia di mio padre, poi ho cominciato ad andare da solo, magari le prime volte mio papà mi seguiva, anche senza farmelo sapere, finché non mi ha lasciato andare. Nel baseball sono abile nella battuta, ma per adesso mi sto allenando per migliorare nella difesa.

Il 9 settembre 2012 ho fatto il mio esordio con i Lampi Milano nel campionato di Coppa Italia. E quella prima esperienza mi ha dato un’emozione indescrivibile, perché, appunto ero stato sempre esonerato dal fare un qualunque tipo di attività sportiva, dal calcio al basket, invece, mi trovavo a quel punto, in una vera e propria competizione, per di più in una squadra. E tutto questo per me era già una conquista enorme.

Come squadra di baseball fate anche qualche tipo di promozione di questo sport?

Come gruppo sportivo milanese facciamo spesso visita alle scuole per portare la testimonianza della nostra esperienza. Principalmente incontriamo ragazzi delle scuole medie e superiori, a cui facciamo vedere delle dimostrazioni per sensibilizzare questi studenti sul problema della disabilità. La cosa bella è che, dopo la dimostrazione, facciamo giocare i ragazzi, bendando loro gli occhi e facendoli battere e correre. Di recente stiamo anche iniziando un programma di sensibilizzazione anche in Università: siamo stati ad esempio a Genova, a Brescia e il 9 di maggio dovremmo andare all’Università di Bergamo. A me piacerebbe incontrare gli studenti della Statale e della Cattolica della Facoltà di Scienze Motorie, perché sono loro che saranno i futuri istruttori. Soprattutto, in merito al rapporto alle persone disabili, agli studenti che presentano queste problematiche, la cui soluzione non è l’esonero, ma trovare delle modalità di adattamento, come è il caso del baseball per non vedenti.

Come fai a gestire i tuoi impegni sportivi con il lavoro?

Io lavoro al mattino dalle 09:00 fino alle 14:42, perché ho la legge 104, non a giorni, ma ad ore, perciò faccio 5 ore e 42 minuti di lavoro e una volta uscito da lavoro, occupo il tempo con queste mie passioni, che fino ai 22 anni ho dovuto sempre accantonare. Adesso mi trovo in un periodo della mia vita in cui posso recuperare tutto quello che in passato non ho potuto fare. Ho un motto: “nulla è impossibile, se ci credi”. È nato qualche giorno prima della mia laurea, mi aveva colpito così tanto che l’ho fatto stampare su una maglietta che poi ho indossato durante i festeggiamenti.

Quali sono gli sport che hai praticato, o pratichi ancora?

Con questo sono quattro anni che gioco a baseball, ma già da gennaio 2013 faccio atletica. L’interesse è nato quando ho visto le Paralimpiadi nel 2012 e allora stavo cercando uno sport individuale da affiancare al baseball e ho preso ispirazione da lì. L’ho presa come una sfida, perché è uno sport che prima non avevo preso in considerazione e perciò poteva essere una bella prova. In effetti sono uno spirito competitivo, nel senso che non mi piace essere tagliato fuori in partenza e trovo stimolante testare le mie possibilità. Non ho mai, e sottolineo mai, affrontato un allenamento controvoglia. Per riempire gli intervalli tra gli allenamenti del baseball e dell’atletica mi sono cimentato nella arrampicata sportiva, nel tennis per non vedenti e adesso anche nella scherma e sempre per raggiungere i livelli dell’agonismo per avere un riscontro dei miei risultati.

Quali sono le altre tue passioni, oltre allo sport?

Sicuramente la lettura e anche la poesia. Da molto tempo, infatti, mi cimento nello scrivere piccoli componimenti poetici. Mi piacerebbe anche scrivere un libro sulla mia esperienza sportiva. Adoro ascoltare musica, sia commerciale, per momenti più di svago, sia più selezionata, che emotivamente eleggo a colonna sonora di quel particolare periodo della mia vita. Ad esempio per il momento sto ascoltando Only if di Enya, la mia canzone preferita. Inoltre gestisco una pagina su Facebook, dal titolo “per la rubrica: te lo racconto io lo sport, mio e altrui”, in cui racconto dai campi sportivi le mie esperienze e di altri atleti, attraverso la condivisione di materiale fotografico e filmati.

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