Fast and Curious in Cina

Scrivere di un Paese che non accenna a rallentare

Laura Carmignani
6 min readFeb 13, 2015
Shanghai, Cina — guardando verso il fiume Huangpu da Pudong al Bund, 2010. Foto: Spreng Ben. Licenza Creative Commons, da Flickr.

Per uno scrittore, ambientare una storia in un luogo che cambia a una velocità sbalorditiva garantisce buon materiale in abbondanza — ma non rende la vita affatto facile.

Durante il mio primo viaggio in Cina, nel 1994, visitai il distretto di Pudong a Shanghai. Ora Pudong è diventato l’icona della crescita economica della Cina, con i suoi grattacieli in bella vista alla Blade Runner rivolti verso l’area costiera conosciuta come Bund che attraversa il fiume Huangpu; mentre in passato l’unica cosa da vedere era il fango.

Le strade di Shanghai erano ancora affollate di biciclette, anche se la città si stava sviluppando sull’onda della liberalizzazione economica avviata da Deng Xiaoping dopo le proteste di Piazza Tiananmen nel 1989. I turisti occidentali la sera non avevano granché da fare a parte ascoltare qualche gruppo jazz all’Hotel Peace e fare due passi lungo il decrepito Bund. Il quartiere della concessione francese era famoso per via del romanzo di guerra Empire of the Sun (“L’Impero del Sole”) di J.G. Ballard.

La nostra guida dell’amministrazione comunale di Shanghai ci mostrò una superficie edificabile e ci disse che il piano era di costruire un centro finanziario a Pudong che potesse fare concorrenza a quelli di Londra, New York, e Hong Kong. Ci fece vedere alcuni schizzi di come immaginava potesse diventare. “Ah sì?”, pensai. “Quando mai riuscirete a fare una cosa del genere?”

Invece, ci riuscirono in poco tempo. Evan Osnos ha scritto nel suo recente libro, Age of Ambition: Chasing Fortune, Truth and Faith in the New China (“l’era dell’ambizione: inseguendo la fortuna, la verità e la fede nella nuova Cina”): “La frenesia infinita è l’unica costante. Quando un amico cinese mi chiese un consiglio su quali città americane sarebbe stato meglio visitare gli suggerii New York e lui mi rispose con il maggior tatto possibile: ‘Ogni volta che ci vado, è sempre la stessa.’ Non ho mai rifiutato un invito a visitare Pechino perché i luoghi, e la gente, svaniscono prima di avere la possibilità di rivederli”.

Come fa notare Osnos, lo sviluppo della Cina da quando ha avviato il suo processo di riforma economica e ha iniziato ad aprirsi verso altri orizzonti nel 1978 trova un parallelo con la trasformazione a velocità straordinaria dell’economia degli Stati Uniti nella seconda metà del 19esimo secolo. L’industrializzazione rapida e il cambiamento sociale che porta con sé fornisce abbondante materiale per gli scrittori, come hanno ben potuto constatare Charles Dickens e Anthony Trollope.

Quasi due decenni fa feci il mio primo viaggio in Cina, il primo di tanti. Ho trovato ogni scusa e accettato ogni invito per tornarci, per la stessa ragione citata da Osnos: il cambiamento è così rapido che si fa fatica a stare al passo. Dovunque sia stato, dalla Scuola Centrale del Partito Comunista a Pechino alle fabbriche di elettronica sul delta del Fiume Perla o alle grandi acciaierie di Wuhan, la Cina è sempre sorprendente.

È per questo che ho ambientato The Ghost Shift (“il turno fantasma”), il mio nuovo romanzo, a Guangdong e Hong Kong. È un thriller che parla di una giovane donna che fa parte dell’unità anticorruzione del Partito Comunista, la Commissione centrale di ispezione e disciplina, che indaga sulla morte di alcuni operai della fabbrica a Guangdong e si ritrova in un ambiente di corruzione agli alti livelli e di sorveglianza.

Ma questo costante cambiamento culturale si è dimostrato una sfida enorme per me. La realtà non si ferma mai abbastanza in Cina per poterla incapsulare e descrivere. Dal momento in cui la ricerca è stata completata e il libro è stato scritto e pubblicato, la storia corre il forte rischio di essere ormai obsoleta. Anche un romanzo che sfrutta la realtà come base per la creatività ha il problema di avere fondamenta instabili.

La Cina ha ispirato libri di saggistica ottimi, incluso Factory Girls (“le ragazze della fabbrica”) del 2008 di Leslie Chang e The Party (“il partito”) del 2010 di Richard McGregor. Ma la sua natura frammentata e sempre in movimento è una delle ragioni per cui le raccolte di racconti su vari tipi di persone che cercano di trovare la loro strada nella società, come ad esempio Age of Ambition (“l’era dell’ambizione”) di Osnos e The Corpse Walker (“il cadavere che cammina”) del 2008 di Liao Yiwu, riescono a descriverla nel modo migliore.

Non sorprende il fatto che alcuni dei romanzi western più popolari che parlano della Cina, come la serie Shanghai Girls (“le ragazze di shanghai”) di Lisa See, siano ambientati nel passato, momento storico complesso ma quantomeno statico. Amy Tan, autrice di The Joy Luck Club (“Il circolo della fortuna e della felicità”, 1989) e The Bonesetter’s Daughter (“La figlia dell’aggiustaossa”, 2001), scrive spesso di donne che facevano parte della generazione rivoluzionaria della Cina del 1949 e dei loro figli immigrati in America.

In più gli scrittori cinesi si ritrovano a dover tenere conto della censura statale. Murong Xuecun, autore di Leave Me Alone (“lasciami in pace”) del 2002, che ha descritto in modo vivido la vita dei giovani intrappolati in lavori monotoni nelle città cinesi come Chengdu, ha dovuto affrontare misure repressive, incluso il divieto di usare i social media. Chan Koonchung, lo scrittore nato a Shanghai, ha scelto un approccio originale decidendo di ambientare The Fat Years (“gli anni dell’abbondanza”) 2009 nel futuro, ma non è riuscito comunque a far pubblicare il suo romanzo in Cina.

Ho potuto sperimentare la frenesia della Cina proprio mentre mi stavo documentando per scrivere The Ghost Shift. A Hong Kong, intervistai dei consulenti di intelligence che lavoravano per società statunitensi impegnate nel tentativo di impedire i furti di proprietà intellettuale da parte della concorrenza cinese. Inoltre, volevo scrivere una storia che parlasse anche di un funzionario cinese di alto livello che rappresentasse una minaccia per Pechino.

Quando iniziai a scrivere nel 2012, all’improvviso la notizia che finì sulle prime pagine dei quotidiani fu la caduta dal potere di Bo Xilai, il capo del Partito della città di Chongqing e l’equivalente cinese più vicino ad un politico occidentale. Bo fu accusato di corruzione, espulso dal Partito e caduto in disgrazia, e sua moglie Gu Kailai fu accusata di essere coinvolta nell’omicidio di Neil Heywood, un consulente commerciale inglese. Nemmeno la più fervida immaginazione riuscirebbe a inventarsi una cosa del genere — e ve lo dico io che ci avevo provato.

L’anno seguente, Edward Snowden fece la soffiata sulla NSA (National Security Agency) e le sue attività di sorveglianza di internet. Come parte della mia ricerca, avevo dedicato del tempo a studiare le attività della NSA e il ruolo dello stato cinese nel cyber-spionaggio. Alla fine sarebbe bastato aspettare che ce lo raccontassero.

Per uno scrittore, trovarsi di fronte a una società che cambia così rapidamente è un problema enorme, ma anche un grande vantaggio. Cosa ci potrebbe essere di più interessante in un romanzo di un’ambientazione in cui può succedere — e spesso succede — di tutto? Alla fine quello che conta non è se rispecchia gli eventi attuali, ma se funziona come storia.

Eppure, mi viene sempre in mente quel giorno a Pudong quando ancora non mi ero reso conto della velocità con cui Shanghai sarebbe diventata una nuova città. La realtà stava per superare la mia immaginazione.

John Gapper è giornalista e scrive una rubrica sul Financial Times.

The Ghost Shift, di John Gapper, è pubblicato da Ballantine Books.

Disponibile su Amazon, Barnes & Noble, e nei negozi indipendenti.

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