Siamo noi tutti quelli che nasciamo in un mondo inabitabile, oscuro e freddo

Caterina Venturini
8 min readApr 12, 2016

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Vi racconto i retroscena del mio ultimo romanzo “L’anno breve” (Rizzoli 2016)

Il racconto è stato pubblicato in origine su hounlibrointesta.it

La prima a bussare è stata Ida Ragone. Mi ha detto che si sentiva sola e inadeguata, che non avrebbe potuto continuare a stare in quella torre se non avessi scritto di lei e dei suoi studenti. Ne ha mandato avanti uno, Andrea, me l’ha fatto vedere con la testa chinata sopra il banco, anzi sopra un tavolaccio tutto inciso e fratturato all’interno di un istituto: si chiama NEU, mi ha detto, così è scritto sul mio orario. Andrea l’ho conosciuto ieri. Non mi ha mai guardato in faccia. Poi mi ha mostrato Elisa con i piedi immersi in una bacinella d’acqua e una camicia da notte a fiori, la nonna a fianco che fa l’uncinetto, anche la nonna ha la faccia chinata verso un qualche punto della stoffa. Ida mi dice: Aiutami.

Allora ho cominciato a scrivere di Andrea, ho preso appunti, ho chiesto a Ida cosa si erano detti, ho riscritto le parole una per una e lei mi correggeva continuamente, lei mi diceva: no, qui è diverso, qui devi scrivere in un altro modo, e mi raccomando non fare commenti sui corpi dei ragazzi, non descriverli mai, me l’ha ordinato la mia coordinatrice Melania Stiva. Non posso parlare dei piedi magri di Elisa? Di come scendono nell’acqua pallidi? No, non farlo. Melania mi ha già rimproverato per questo. Piuttosto parla delle conchiglie. Quali conchiglie? Le conchiglie che la nonna ha messo sul comodino. A cosa servono? ho chiesto io. Non lo so, mi risponde lei, scrivi di questo.

Pian piano sono arrivati tutti gli altri e le altre, si raccomandava Ida. Non scrivere sempre al maschile ti prego. Sono uno diverso dall’altra: c’è Mattia, vedi come scrive il suo nome a occhi chiusi? Ci abbiamo messo tre settimane a fargli fare questa cosa che potrebbe fare in un secondo se solo riuscisse a tenerli aperti. Parla di Marilù, anche se è troppo piccola per fare lezione con me. E poi devi parlare di Salvatore, è così simpatico, mi ha fatto vedere la foto di quando aveva i dread ma io so immaginarlo solo così come lo vedo ora e quindi: potresti scriverla tu questa cosa? Quale cosa, Ida? Che aveva i dread, perché io non riesco a immaginarlo da sola e mi dispiace.

Ogni tanto lei veniva e mi faceva raccomandazioni continue: non essere troppo pietosa, non essere fredda, non essere troppo compassionevole, non è di questo che abbiamo bisogno. Non perderti nel gergo dell’ospedale, limitati all’indispensabile che si capisca però che non è un lavoro come un altro, che si capisca che io sono qui da sola a fare lezione a tutti loro uno per volta, che non ho una cattedra davanti che mi protegga, che mi metta su un piedistallo, dal quale ero io stessa a scendere negli anni precedenti però era lì, a ricordarmi chi ero, io l’insegnante e loro gli alunni, loro che mi facevano domande e io che sapevo rispondere quasi sempre. Adesso sono io che chiedo, lo faccio continuamente, non faccio altro, e loro pazienti mi rispondono: Salvatore mi spiega quanti cicli di chemio ha già fatto, Andrea mi parla dei suoi antidepressivi e poi c’è Giulia che mi spiega l’emocultura, l’autotrapianto, ma che per fortuna di Jacopo Ortis non sa niente così per un attimo posso di nuovo recuperare il mio ruolo. Un’identità.

Devi essere molto fedele, mi diceva Ida, quella parola non va proprio bene. Riscrivi tutto. Così certe volte smettevo, poi mi ribellavo alla sua esattezza: ma non eri tu quella imprecisa? Non si era detto che tu facevi confusione e la tua collega di matematica invece, Berta sì che sa comportarsi come si deve?

Stai attenta — mi rispondeva senza battere ciglio — non vorrai mica confondermi con la voce narrante, sono disposta ad accettare qualsiasi cosa sul mio personaggio, ma la voce narrante non deve avere una sbavatura, soprattutto in questa prima parte.

Perché tu hai già deciso quante parti sono? le chiedevo stupita, visto che non ne avevamo ancora parlato. Sono tre, mi ha detto, questo è ovvio, sarà il mio ennesimo anno breve. Nove mesi di scuola divisi non in quadrimestri però perché qui siamo in ospedale. Lo divideremo in Autunno, Estate, Inverno. E ora sbrigati con questi appunti, è ora che cominci a scrivere qualche capitolo perché io non ce la faccio più. È ora che cominci a dare ordine, prima che sia tutto finito.

Mi ha lasciato sola per qualche giorno e io ho cominciato da quella torre al centro della città, non l’avevo mai vista prima, un parallelepipedo bianco e verticale, con un reparto per piano e in cima loro: gli insegnanti che aspettano. Cosa aspettate? — ho chiesto a Ida. Sai qual è la cosa più strana? — mi dice — che noi non aspettiamo che gli studenti escano da qui; noi aspettiamo che si rimettano quel tanto possibile da poter fare lezione.

Non volete che guariscano? — le chiedo. Ma certo che sì, mi fa lei spazientita, però non pensiamo a quello. Noi pensiamo a quando potremo vederli di nuovo in quelle stanze inamidate in cui possiamo entrare solo con il soprascarpe di plastica blu e il camice bianco. E voglio dirti una cosa: non parlare mai del mio corpo, non dire mai se sono bruna o bionda, se sono magra o grassa, se ho il naso storto o i capelli lunghi, non lo sopporterei. Puoi dire soltanto come sono vestita quando sono nella torre. Puoi nominare soltanto il soprascarpe, il camice e la mascherina. Nient’altro.

Poi un giorno arriva molto trafelata, mi dice in un soffio che ha un nuovo reparto, disturbi alimentari, me lo dice così come niente fosse ma già si capisce che c’è qualcosa che non gira, che non le va bene. Cosa c’è? le chiedo. Nulla nulla, ora dovrai parlare anche di Rosy e Leila, tutto qui. Ma non subito. Prima devo capire alcune cose. Io provo a dirle: se vuoi comincio a scrivere che Rosy viene da Napoli e ha quattordici anni solo sul documento, sembra molto più piccola e ha occhi enormi. No, ti ho detto di no. Non ancora.

Io non le do retta e comincio intanto a prendere appunti anche su Leila, Berta ha detto a Ida che se Leila è così magra è perché vuole fare la ballerina. Ida le risponde che se non ci fosse almeno quella passione a tenerla su sarebbe già morta, “io lo so bene”, aggiunge ma Berta non la sente. Io sì. Allora chiamo Ida e le chiedo: cos’è questa storia? Cosa sai bene? Io non so niente, mi dice, pensa che solo ieri ho scoperto che le coperte rosa sulle sedie servono per tenere caldo quell’osso reso ancora più sacro dalla mancanza di pelle intorno. E io invece le spostavo sempre, pensando di fare loro un favore, perché lì dentro è un caldo che non si respira. Solo oggi l’ho capito, che Rosy ha passato mezz’ora in camera a cercare di mangiare un budino. Ma tu devi scrivere di Andrea, non vedi cosa è successo?

Poi mi lascia sola. L’autunno è finito. Ida scompare. Passa molto tempo. Passano mesi, accadono cose che impediscono a me di scrivere e a Ida di manifestarsi. Sono solo coincidenze. Non so cosa fare con quell’unica stagione che resta lì appesa. Non so come continuare.

Poi un giorno torna da me e dice: mi hai disobbedito. Hai continuato a scrivere di Rosy, del suo corpo fino come uno stelo senza fiore, ma il fiore c’è. A te sembra che non ci sia ma c’è. E non si può andare avanti se non lo racconti. Ti aiuto io. Non so se ho voglia, le dico. Preferisco ricominciare a parlare di Franco e Giulia, sono così simpatici. No, adesso devi parlare di me vent’anni fa. Punto. Non si può andare avanti in un altro modo.

Il giorno dopo è arrivato Andrea a chiedermi anche lui di andare indietro nel tempo, lui ha chiesto solo un anno prima. Ma perché? Altrimenti i lettori non capiscono. Stai tranquillo, gli rispondo, i lettori non capiscono mai. Mi guarda malissimo. Non devono capire, aggiungo, non devono fare questo. Lui mi guarda ancora male: i lettori devono capire ogni cosa. Altrimenti quello che scrivete voi non serve a niente. Se i libri non servono a capire gli altri, allora non servono a niente.

Se ne va.

Passano altri mesi. Passano anni. E non sono anni brevi, sono anni lunghi in cui come sempre capita nel mondo, qualcuno muore e qualcuno nasce. Non si scrive quando qualcuno muore e qualcuno nasce. Io non scrivo. Però comincio dopo un po’ a vedere una ragazza, avrà sedici anni, con le gambe spalancate davanti a una dottoressa che la visita. Le sento parlare. Poi lei va a casa e si confida con un’amica. Quella ragazza è Ida. Quell’amica è Elis. E continuano a parlare, non smettono mai, si truccano e si struccano, si pesano su una bilancia bianca che a loro pare bellissima. Sotto di loro c’è il Circo Massimo al buio e poi una festa di compleanno, e poi Ida che si nasconde sotto un letto, è il letto della madre di Elis, quella madre che non c’è mai e che lei le invidia invece della sua che c’è sempre e la critica sempre. E poi Ida fugge, legge una pila di telegrammi sul comodino di questa grande e bella casa, mentre tutti i suoi amici si stanno divertendo in salotto, e fugge via. Corre per le scale, quasi inciampa per la vergogna di aver scoperto tutto dell’amica (ma tutto cosa, poi?). Torna a casa in periferia e lì c’è sua madre. Sua madre che c’è sempre.

E poi arriva Andrea e dice: sei andata indietro di vent’anni, adesso esaudisci anche me. Te l’ho già scritta io la mia storia, devi solo aggiungerla dopo quella della mia insegnante. Siamo noi l’Inverno. Non l’avevi capito?

Siamo noi tutti quelli che nasciamo in un mondo inabitabile, oscuro e freddo, come lo è per tutti quelli che nascono la prima volta con la pelle mezza morta e arrossata e un peso ridicolo e una fame d’amore ossessiva che è l’unica che può farci sopravvivere e poi una seconda volta quando lasciamo la casa del Padre (o della Madre, se preferisci) e ci avviamo da soli per il mondo, quel mondo che non ci vorrà subito bene, perché quella stessa fame d’amore che ci ha fatto sopravvivere non può mai accontentarci ed essere accontentata.

Basta. Non ho più niente da dirti. Io vado.

Dove vai Andrea?

E se n’è andato. Non l’ho più visto. Così ho cercato tutti gli altri perché a quel punto avevo veramente troppo freddo, e li ho ritrovati. Anche Ida. E a quel punto, quando sono di nuovo riuscita a parlare con tutti la Primavera stava già finendo.

Caterina Venturini

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Caterina Venturini

Leggo e scrivo di letteratura, arte e cinema. L’anno breve (Rizzoli) è il mio ultimo romanzo uscito nel 2016.