AZ0786 — Tokyo pt. 1

Mattia Polimeni
5 min readApr 8, 2016

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La mappa che monitora in tempo reale il volo sul display dice che stiamo passando esattamente tra S. Pietroburgo e Minsk. Sono le 17.30 italiane di martedì 5 aprile, James Bond in 40 minuti ha rifiutato una che nella vita reale ti sposeresti, ha scoperto le trame di un’organizzazione mafiosa internazionale e castigato Monica Bellucci. Io, mentre guardo Spectre scoprendo le gioie dell’in-flight entertainment, in meno di 40 minuti ho spazzolato le lasagnette al ragù, la focaccia e il dolce carollo che Alitalia ci ha proposto per cena. Cena alle 17.30, perché dire di no ai tempi del personale di volo è reato. Atterriamo puntualissimi a Narita (10:15 giapponesi di mercoledì 6 Aprile), recupera la valigia, supera il controllo temperatura (se hai la febbre so’ cazzi), fatti prendere le impronte digitali, consegna la “dichiarazione dei redditi” (leggi: davvero ragazzi non importo nulla di pericoloso/illegale e ho meno di 1.000.000 di Yen in contanti quindi tranqui che son qui a vedere il paese e non a lavorare o fare cose losche) e tàc, siamo in Giappone. Nemmeno il tempo di comprendere se è meglio girare a sinistra o destra che questi simpatici ragazzi insistono per intervistarci. La ola si alza quando cito Holly e Benjii con il nome della serie originale (Captain Tsubasa). Tutto in ogni caso molto imbarazzante, dovremmo addirittura finire sul loro canale Youtube quindi seguiteli che si sa mai. Thank you so much, enjoy Japan!

Ritiriamo il pass JR per poterci muovere (quasi) liberamente lungo i binari del sol levante e il pocket Wifi perché se oggi non ti mostro live su Instagram che sono a Tokyo non è la stessa cosa. Mentre il Narita Express ci porta dall’aeroporto alla stazione centrale i nostri occhi vedono solo paesini di periferia, macchine quadrate improponibili e treni di passaggio per poi tuffarsi nell’affollatissimo underground della metropolitana in direzione Hanzomon.

Il Giappone è silenzioso, metodico ed educato, ma non capisce l’inglese. Grandi difficoltà quando capiamo che la receptionist dell’Hotel, per quanto gentile e disponibile, dopo aver sbrodolato le frasi di rito non va oltre a yes come unica risposta ai nostri quesiti. Così, al momento del pagamento al check-in, quando il pos giapponese decide di non leggere nessuna delle due mie carte italiane siamo in due ad andare nel panico. Io, che devo pagare in contanti e la receptionist, sempre più convinta che ripetendo yes a dirotto significhi “mi dispiace molto signore, se vuole però attraversando la strada trova un 7Eleven con ATM internazionale e può prelevare senza problemi”.
Il Giappone è la terza economia mondiale. Yes.

La prima tappa (la più vicina considerato lo sballo dell’arrivo) per chiudere il pomeriggio è il Parco Imperiale di Chiyoda-ku, dove lungo le sponde del fiume (poi rivelatosi “fossato proteggi imperatore”) in moltissimi si radunano per l’Hanami. La suggestione è totale, sullo sfondo chiaro dei ciliegi la tensione dei lavoratori così seri e determinati (in rigorosa giacca e cravatta) sembra quasi svanire con un semplice bicchiere di plastica e sakè.
Attenzione però, nel parco è vietato usare droni.

Pronti via. Il Jet Lag non fa male (cit. Duke in Rocky IV) e il primo giorno completo a disposizione inizia dal quartiere di Shinjuku (sotto la pioggia ovviamente — perché prenoti 6 mesi prima, ma per una legge ancora non dimostrata il sole brilla sempre e solo fino alla settimana che precede il tuo arrivo) e più precisamente dalle vetrate dell’osservatorio turistico al 45esimo piano del Palazzo del Governo Metropolitano di Tokyo. La fame è però assassina e allora tappa a Shibuya da Genki Sushi dove dopo aver ordinato con un tablet maki, nigiri e co. si fiondano al tuo posto lungo le rotaie del trenino che avvolge tutto il ristorante.

I giapponesi per le strade sono pezzi in una catena di montaggio, veloci e costanti si muovono ordinatissimi creando file indiane per qualsiasi cosa. I giapponesi maschi adorano i completi (in forte rialzo le quotazioni dei gessati a righe stile padrino), mentre le donne prediligono parecchio la moda occidentale. I giapponesi dormono in metropolitana (a tutte le ore) e si inchinano (3/4 volte) pure quando ti danno il resto al supermercato quando compri due banane.

I giapponesi nascondono però bontà e gentilezza da invidiare dietro questa iniziale sensazione di schermo e velocità. Se poi sanno pure l’inglese allora sono come Mitsu, che notata la nostra difficoltà ad orientarci appena scesi dal vagone a Shibuya, ci ha chiesto (di sua volontà) dove fossimo diretti e ci ha accompagnato alla statua di Hachiko (si, il cane del film con Richard Gere) sicuramente allungando di parecchio l’itinerario personale dei cazzi suoi di quella mattina. Incredibile come siano contenti di aiutare. Anche una signora (troppo timida per dirci il suo nome e accettare una foto) ci ha accompagnato per le strade di Shinjuku mentre cercavamo il santuario di Hanazono (la difficoltà qui è data non solo dalle dimensioni dei luoghi, ma anche dal sistema degli indirizzi giapponesi). I’m a fighter! — Mitsu ci ha salutato così mentre si metteva in posa. Il Giappone per ora mi sembra una centrifuga confusa, dove una sua metà corre rapida verso il progresso mentre l’altra vuole accompagnarti tra luoghi e tradizioni senza tempo.

Mitsu the Fighter

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Mattia Polimeni

Ho scritto di sport, di viaggi e di musica. Ora vorrei scrivere di