Il nostro angolo di Germania unita

Dopo la caduta del Muro di Berlino, un gruppo di squatter dell’Est e dell’Ovest si organizzarono per costruirsi la propria Germania riunificata. Dopo un periodo di festeggiamenti continui e malgrado le condizioni igieniche discutibili e gli scontri pesanti con bande di neonazisti, finalmente ci riuscirono.

20 min readNov 21, 2014

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Di Kati Krause e Ole Schulz
Ritratti di Ana Lessing Menjibar

Un sabato dello scorso marzo, i miei vicini a Berlino hanno tenuto un funerale alle piante. Hanno messo delle croci di legno alte tre metri nel nostro angolo di strada e ceri funebri lungo tutta la via, e i bambini hanno disegnato poster con alberi e fiori che piangevano. C’era musica dal vivo e tutti si sono presi una bella sbronza. Altri residenti di lunga data del nostro quartiere hanno contribuito con donazioni, e una settimana dopo molte delle piante che il comune aveva osato rimuovere davanti al nostro edificio erano state sostituite. Una delle croci è rimasta davanti al portone di ingresso del palazzo, quasi un monito: non si scherza con la Tucholskystrasse 30 e 32.

I miei vicini non vedono molto di buon occhio l’autorità. Sono abituati a gestirsi tutto da soli. E lo fanno fin dai primi mesi del 1990, quando furono all’avanguardia della terza ondata del movimento degli squatter berlinesi occupando il nostro palazzo e quello adiacente nel cosiddetto Spandauer Vorstadt di Mitte, un quartiere dell’allora Berlino Est che era ridotto in tale cattivo stato da essere più o meno completamente deserto. I primi occupanti, tra i quali il mio compagno di stanza, erano di Berlino Ovest, ma in seguito si unirono a noi anche alcuni berlinesi dell’Est.

Questo mese segna i 25 anni dalla caduta del muro di Berlino, ma la cosa molto più affascinante per me è che segna quasi 25 anni da quando un gruppo di giovani tedeschi dell’Est e dell’Ovest, provenienti da ambienti molto diversi, avviarono una sorta di esperimento sociale, creando la propria versione di una Germania unificata, in un territorio ancora non governato. Alcuni lo fecero per idealismo, altri per motivi più pragmatici. Poco dopo la caduta del Muro, furono occupati a Berlino Est circa 130 edifici, dei quali un centinaio ottenne poi regolari contratti di affitto prima della riunificazione. In seguito alcuni furono sgombrati, ma altri hanno resistito contro le pressioni commerciali — come il nostro, che ha trasformato il nostro tratto di strada in una sorta di capsula del tempo nel bel mezzo di un quartiere sempre più imborghesito.

Chi erano all’epoca queste persone, chi sono oggi e come vedono il loro esperimento e quello dell’unificazione tedesca, a distanza di 25 anni e dopo tante amicizie, feste, bambini, avventure e litigi?

Oliver Nawrot

Berlino (Ovest)

Età nel novembre ’89:
22

Occupazione nel novembre ’89:
Studente di legge al secondo anno alla Freie Universität di Berlino

Occupazione oggi:
Avvocato

Residenza nell’autunno ’89:
Berlino Ovest

Prime impressioni dell’Est:
“Ogni volta che ero stato a Berlino Est l’avevo trovata brutta e noiosa. La più grande differenza tra l’Est e l’Ovest erano i colori e gli odori. C’è un odore tipico della Germania Est che riconosco ancora oggi, l’odore di un detergente o forse una sostanza usata come rivestimento. E non esistevano quasi i colori. Tutto era grigio e buio.”

Trasloco nella casa occupata di Tucholskystrasse:
Primavera 1990

“Non ci sentivamo chiusi dentro a Berlino Ovest, anche se in senso stretto lo eravamo più che i berlinesi dell’Est. Il Muro era semplicemente lì, me lo trovavo di fronte quando ero fuori a giocare da bambino. Dal lato occidentale potevi toccarlo ed era tutto ricoperto di graffiti. Era un po’ come un edificio: ti bloccava semplicemente la strada ed era una cosa che non mettevamo in discussione.

“Mia nonna e nove tra zie e zii vivevano nella DDR e andavamo a visitarli spesso. Il visto era molto caro: 25 marchi tedeschi al giorno. Oggi sarebbero più o meno 80 o 100 euro. Gli impiegati dell’ufficio per il visto erano davvero antipatici, con quella scortesia tipica dei tedeschi dell’Est. Portavamo sempre ami da pesca a uno dei miei zii, perché quelli in vendita a Est non erano granché.

“A Berlino Ovest praticamente non c’era disoccupazione, tutto era sovvenzionato dallo stato. E gli stipendi erano più alti del 20 o 30 per cento rispetto al resto della Germania. Era normale per mio padre avere quattro settimane di ferie pagate in estate, anche se era uno dei dirigenti della Siemens. Eppure Berlino Ovest era scarsamente popolata. Le persone normali non volevano abitarci a quell’epoca. Forse gli unici che ci volevano andare erano i giovani maschi, perché allora nell’Ovest eri esente dal servizio militare. Non c’erano turisti, tranne qualche veterano della Seconda Guerra Mondiale che saliva sui piedistalli alla porta di Brandeburgo per sbirciare oltre il Muro.

“Nell’autunno del 1989, la TV e i giornali parlarono delle proteste nella DDR, ma se devo essere sincero non mi importava per niente se si liberavano o no, non mi sembrava che vivessero in miseria e oppressione. La caduta del Muro fu una sorpresa totale, perché nessuno aveva visto le proteste come punto di partenza. Dal punto di vista politico, tutti, tranne i più fedeli sostenitori del partito democristiano (la CDU), erano contro la riunificazione. Tutti volevano solo accettare l’esistenza della DDR una volta per tutte. Non si metteva più in discussione la divisione della Germania, sarebbe stato come mettere in discussione l’esistenza dell’Unione Europea oggi.

“C’era una strana atmosfera il 9 novembre, di irritazione. Dopotutto, non eravamo noi a essere liberati. Classificammo la cosa come poco interessante e tornammo a casa a fumare spinelli e bere birra. Non ci eravamo resi conto della portata dell’evento.

“I giorni successivi ci sembrarono solo una grande scocciatura. La città era piena di gente che veniva dall’Est e li riconoscevi subito: avevano i vestiti sbagliati, tagli di capelli sbagliati, cose così. C’è un motivo se la parola Ostler (tedesco dell’Est) era un insulto. Non avevano soldi, se ne stavano lì a gironzolare, non toccavano niente ma non compravano nemmeno. Ridevamo di loro.

“Ma anche noi Wessis (tedeschi dell’Ovest) ci guadagnammo una cattiva reputazione. Dopo la caduta del Muro, andavamo nei ristoranti più cari dell’Est, con l’aria trasandata a comportarci come i peggiori nuovi ricchi. Dicevamo cose come: ‘Oh, mi piace molto questo antipasto, me ne porta altri quattro per favore?’ E in Polonia facevamo anche di peggio. Andavamo negli hotel di lusso e al momento di pagare tiravamo fuori manciate di soldi dalle tasche, senza nemmeno contarli, dicendo loro di tenersi il resto.

“Fu il mio amico Mohammed a scoprire il palazzo. Era completamente abbandonato, solo un appartamento era la seconda casa di una coppia della Germania Est. Alcuni degli appartamenti avevano l’acqua e l’elettricità, altri erano un disastro. All’inizio usavamo solo l’ala laterale, per trovarci a far festa. Poi abbiamo iniziato a portare dei materassi, una caffettiera, cose che ci servivano. A un certo punto io ho scassinato la porta di un appartamento e mi ci sono trasferito.

“Il palazzo si riempì in fretta. C’era più o meno un adulto per ogni stanza, forse 20 in totale, più i partner e gli amici. Oggi siamo in 12. Condividevamo le cucine e i bagni e c’era sempre una festa da qualche parte. Le donne in genere non restavano a lungo, soprattutto perché le condizioni igieniche erano assai discutibili. I bambini erano un altro motivo per andarsene. Poi faceva anche molto freddo d’inverno, perché avevamo solo stufe a carbone e non ci alzavamo mai abbastanza presto per accenderle. E non avevamo l’acqua calda. Ma quando sei giovane, va bene anche così.

“Per il primo anno di occupazione, regnò l’anarchia più totale. La polizia dell’Ovest non poteva venire fin qui e la polizia dell’Est non si sentiva più nemmeno responsabile. C’erano molti scontri con i neonazisti. Erano scontri pesanti, ci attaccavano con le mazze. Ci volle parecchio tempo, quattro o cinque anni dopo la riunificazione, perché si ristabilisse un po’ di ordine. E nel frattempo potevamo fare tutto quello che volevamo – non c’erano licenze, non c’era polizia”.

Mirko “Staab” Weihmann

da Dessau (Est)

Età nel novembre ’89:
20

Occupazione nel novembre ’89:
Membro da tre anni del Reggimento della Guardia Feliks Dzierzynski, braccio militare visibile e impopolare della Stasi, responsabile tra l’altro di proteggere il Politbüro della DDR

Occupazione oggi:
Proprietario di un’etichetta discografica, manager di artisti, batterista

Residenza nell’autunno ’89:
Berlino. La caserma si trovava a Erkner, a sud-ovest di Berlino, ma Staab passava la maggior parte del tempo in città, pattugliando e sorvegliando la sede centrale della Stasi

Prime impressioni dell’Ovest:
“Aveva un odore diverso, di kebab, e tutto sembrava pieno di colori. Ma mi spaventava anche un po’. Ci andavo solo per ritirare il mio stipendio e me ne andavo via in fretta.”

Trasloco nella casa occupata di Tucholskystrasse:
Nel 1992 partecipava alle feste, dal 1993 iniziò a fermarsi per periodi più lunghi con altri amici musicisti e nel 1996 ebbe il suo appartamento privato

“Mi ero arruolato volontariamente nel 1987 per poter studiare musica. Nella DDR, se volevi studiare qualsiasi cosa che non fosse una professione standard, dovevi prima arruolarti nell’esercito per tre anni. Per diventare musicista avevo solo due alternative: studiare musica, o fare come si fa oggi, semplicemente fare musica, ma nella DDR ti consideravano antisociale se facevi una cosa del genere, quindi le persone normali come me non ci pensavano nemmeno.

“Le nostre vite al reggimento seguivano routine prestabilite: avevamo turni di guardia di tre settimane (io mi occupavo di controllare i pedoni all’ingresso principale del Ministero della Sicurezza di Stato, per 134 giorni all’anno in tutto), poi una ‘breve vacanza prolungata’ di tre giorni, seguita da tre settimane di addestramento.

“Dal giugno del 1989, non ci fu più consentito ricevere visite o lettere, né lasciare la caserma, tranne che per i nostri turni di guardia. Ne sapevamo ancora meno di prima di quello che stava succedendo. Ci arrivavano solo le informazioni ufficiali sui ‘controrivoluzionari’ e giravano varie voci, ad esempio che una folla aveva impiccato una guardia di confine all’orologio di Alexanderplatz. Ci credevamo. Quando sei isolato in una sfera protetta come quella, credi a tutto, soprattutto quando ogni altra cosa è inimmaginabile. Eravamo convinti che fossero in azione forze nemiche che volevano danneggiare lo stato.

“Il 7 ottobre, alle 18:30, suonò l’allarme per le proteste al Palast der Republik, dove si tenevano quel giorno le celebrazioni del 40mo anniversario della DDR. C’erano regolarmente allarmi per esercitazione, ma questa volta ci fornirono proiettili veri. Chiesi all’ufficiale di comando che cosa sarebbe successo se mi fossi rifiutato di sparare. Mi guardò sorridendo: ‘In quel caso, prima sparo a te, poi alla folla!’ Mentre andavamo verso Alexanderplatz, il capo del nostro plotone iniziò a piangere. Fu allora che ci svegliammo davvero. Avremmo sparato o no? Stavo su un ponte e sentivo le urla da lontano. L’ordine non arrivò mai. Ma quella notte, ci rendemmo conto che eravamo fregati. Non potevamo andarcene: se disertavi dopo esserti arruolato, non trovavi più lavoro. Finivi in una miniera da qualche parte.

“Una settimana circa dopo il 9 novembre, finalmente ci lasciarono uscire in licenza, e fu allora che scoprimmo davvero per la prima volta cosa era successo negli ultimi tre o quattro mesi. Mi trovai con i miei amici e la mia ragazza di allora, ed erano tutti stati picchiati dalla polizia. Ecco chi era la folla: i nostri amici. Fu allora che ci rendemmo conto che eravamo noi gli stronzi, i cattivi. Feci subito richiesta di congedo. Perché? Mi sentivo sfruttato. Sapevo che avrei sparato.

“Il 13 dicembre fui congedato. ‘Verme traditore, te la faremo pagare’, mi disse l’ultimo ufficiale che vidi. Trovai lavoro all’asilo nido di una fondazione della chiesa evangelica, la Stephanus Stiftung, per i bambini disabili dei membri dell’opposizione. Il mio gruppo era guidato da Evelyn Zupke, che organizzava tutte le proteste contro le elezioni. Quando le dissi che ero stato nella Stasi, mi rispose: ‘Guarda, sono stata arrestata dalla Stasi un’infinità di volte, e l’unico motivo per cui sono ancora viva è perché abito negli edifici di proprietà della chiesa, e tu sei la spia della Stasi più stupida che io abbia mai visto’. Diventammo subito ottimi amici. Restai lì a lavorare per un anno e mezzo.

“Non avevo aspettative dopo la caduta del Muro. Era successo e basta. Non avevo contatti con il movimento alternativo o controrivoluzionario. Stavamo bene. Non volevo la riunificazione con l’Ovest, volevo entrare nel Partito! Ma non fu nemmeno una delusione per me, perché nei sei mesi successivi tutto ebbe inizio. Facevo quello che volevo. Non mi importava nemmeno più di tanto della divisione Est-Ovest nel nostro palazzo. I nostri vicini, al numero 30, erano forse più tedeschi dell’Ovest e più politicizzati. A noi interessava solo far musica insieme. L’unica cosa che volevo evitare era ritrovarmi nella situazione di essere sfruttato. Quella era la cosa più importante”.

Ramona Cole

Berlino (Ovest)

Età nel novembre ’89:
18

Occupazione nel novembre ’89:
Madre single in maternità. Il figlio di Ramona compiva un anno l’8 novembre 1989, il giorno prima della caduta del Muro di Berlino.

Occupazione oggi:
DJ e assistente sociale

Residenza nell’autunno ’89:
Kreuzberg, Berlino Ovest. Ramona era una dei residenti della Tommy-Weisbecker-Haus, un progetto abitativo autonomo per giovani fondato durante il primo movimento squatter nei primi anni ’70. Esiste ancora oggi.

Prime impressioni dell’Est:
“Per me, l’Est erano i programmi televisivi in bianco e nero della DDR. Le uniche cose colorate erano le Trabant azzurre. E al confine mi sentivo sempre a disagio. Sapevi che non c’era nessuno a cui rivolgerti se ti maltrattavano per qualche motivo. L’Est non mi attirava per niente, per via del colore della mia pelle. Sapevo che molta gente da quelle parti non mi avrebbe esattamente accolto a braccia aperte”.

Trasloco nella casa occupata di Tucholskystrasse:
2002, dopo aver partecipato alle feste fin dagli anni ’90

“Sono arrivata a Berlino Ovest all’età di quattro anni e sono cresciuta per le strade di Kreuzberg. Anche a quei tempi, molti immigrati vivevano a Kreuzberg, molti turchi e arabi. Per me come tedesca di origini africane era il paradiso. Era un mondo gestibile, una nicchia protetta dal Muro. Non c’era quasi traffico e avevamo una fattoria per bambini proprio lungo il confine. E tutto era collegato a rivendicazioni politiche. Se organizzavamo feste, era per mostrare solidarietà, non solo per far baldoria come negli anni ’90.

“La divisione tra Berlino Est e Ovest era una cosa strana. C’erano stazioni fantasma della metropolitana, dove i treni della U-Bahn di Berlino Ovest non si fermavano. O edifici di proprietà della DDR nella Berlino Ovest. Ne occupammo uno, il Lenné Triangle, nel maggio 1988. Era completamente invaso dalle erbacce, un’enorme area abbandonata dove ora sorgono gli edifici della nuova Potsdamer Platz, e volevamo conservarla come biotopo. Nei giorni prima che fosse restituita all’Ovest, si giunse a violenti scontri con la polizia di Berlino Ovest, che non era potuta entrare nell’area mentre era ancora di proprietà dell’Est. Fu come una guerra, in una sola notte ci lanciarono addosso centinaia di lacrimogeni.

“La sera della caduta del Muro, era alla Tommy Haus, ma non volevo vedere quel gran casino. Per interi giorni dopo, non c’era latte fresco nei supermercati perché quelli dell’Est se l’erano comprato tutto. Alcuni mesi dopo, camminai lungo il ponte Oberbaumbrücke da Kreuzberg a Friedrichshain per la prima volta con mio figlio. Avevo i dreadlock colorati e la gente usciva dai negozi per venire a guardarci. Non avevano mai visto prima persone come noi. Per tutti gli ‘Apaches’ (immigrati) in Germania, la riunificazione fu molto scombussolante. Ci sentivamo esclusi da questa grande riunione tra i tedeschi dell’Est e dell’Ovest. Dopo tutto, che cosa significava per noi?

“Dopo la caduta del Muro, andai a Londra un paio di volte e comprai i miei primi single di dancehall dalla Giamaica. Trovammo un sound system e solo allora iniziai ad andare più spesso a Berlino Est, e alla fine mi trasferii nella ‘Tucho’, la casa occupata della Tucholskystrasse. Per cinque anni, dal 1995 al 2000, suonammo musica e organizzammo party ogni settimana. Abbiamo contribuito a portare la musica dancehall a Berlino.

“Il nostro quartiere è cambiato completamente. I primi residenti dell’Est se ne sono andati. Ci sono molte gallerie d’arte, ma quasi nessun negozio normale. Solo il negozietto di famiglia di fronte è sopravvissuto dall’epoca pre-riunificazione. Lì hanno ancora prezzi umani e tutti si possono permettere qualcosa.

“Negli anni della Berlino Ovest la vita era molto più facile. Non dovevamo far tanta fatica come oggi per sopravvivere. Se ho un desiderio, è di poter di nuovo vivere come nella Berlino Ovest di allora, ma con la consapevolezza di oggi. Vorrei rivivere tutto, la vita a Kreuzberg direttamente di fianco al Muro, il mercato polacco a Potsdamer Platz o le torri di guardia sul lato est del Muro. Come vedremmo oggi qualcosa che allora consideravamo normale?”

Peter “Auge” Lorenz

Berlino (Est)

Età nel novembre ’89:
26

Occupazione nel novembre ’89:
Studente di ingegneria civile all’ultimo anno all’università di Weimar

Occupazione oggi:
Bibliotecario, disegnatore di fumetti e cofondatore della biblioteca di fumetti Renate

Residenza nell’autunno ’89:
Tra Berlino e Weimar

Prime impressioni dell’Ovest:
“La mia prima spedizione a Berlino Ovest mi portò a Wedding, e lì era tutto grigio proprio come all’Est. Verso fine novembre ’89 andai a un concerto dei Ramones a Berlino Ovest. Dicevo sempre che era così che spendevo il mio ‘sussidio di accoglienza’ elargito dalla Germania Ovest, ma di recente mi sono ricordato che in realtà pagavo con i marchi della DDR. Non importava comuque: era il periodo della solidarietà con l’Est”.

Trasloco nella casa occupata di Tucholskystrasse:
1994, quando dovettero spostare lì la biblioteca di fumetti dal primo squat in cui si trovava, il Schokoladen

“Per me, il cambiamento avvenne prima della caduta del Muro, tra il 9 ottobre e il 4 novembre. Fu allora che mi resi conto che non avrebbero sparato e che avremmo avuto l’opportunità di trasformare la Germania in un Paese migliore. Fu allora che iniziai a sognare. Studiavo ingegneria civile e seguivo tutti i corsi di architettura che avevano a che fare con il disegno, perché disegnavo fumetti dalla metà degli anni ’80. E quell’ottobre fu la prima volta che pensai di poter diventare un fumettista, una professione che non esisteva nella DDR.

“A Weimar, le proteste iniziarono veramente solo dopo il 9 ottobre. Non vi partecipai, ma ero attivo nella scena culturale. Agli inizi del 1990 tornai a vivere a Berlino. Iniziammo a occupare edifici nel febbraio di quell’anno, se ricordo bene. Nei primi sei mesi, i tedeschi dell’Est e dell’Ovest avevano una curiosità reciproca. E poi quel periodo finì. Dopotutto, avevamo tanto da fare: costruire una cosa nuova, definire regole nuove. C’era abbastanza spazio qui.

“Non mi turbava più di tanto che il sistema fosse crollato. Avevo già vissuto prima un periodo anticonformista in un altro spazio autogestito, ma allora dovevi ritagliarti i tuoi angoli personali per divertirti. Ora potevo davvero essere me stesso. Ma i modi di vita alternativi esistevano anche prima, erano solo molto più faticosi da sostenere. Be’, anche adesso è faticoso, perché servono i soldi. Per anni ci furono misure per la creazione di posti di lavoro. Prendevo duemila marchi tedeschi al mese per fare il bibliotecario di fumetti.

“La mia DDR è diversa dalla versione ufficiale. Oggi si parla tanto di come a quei tempi vivessimo sotto la repressione e la sorveglianza continua, ma per me è una visione altrettanto sbagliata di quella che ci davano allora dell’Ovest, con tutto il male da una parte e tutto il bene dall’altra. Come dire che oggi tutto è libero e giusto. La realtà della vita di allora era molto più complessa di come viene presentata oggi. Ho letto persino il mio archivio personale della Stasi. Le informazioni su di me sono ridicole: oggi la polizia potrebbe compilarle in pochi minuti. Certo, la DDR non era uno stato ideale, altrimenti non sarebbe crollata. Ma ora so chi è il prossimo a cui tocca”.

Effi Ulrich

Dresda (Est)

Età nel novembre ’89:
21

Occupazione nel novembre ’89:
Studentessa di lirica

Occupazione oggi:
Insegnante di musica

Residenza nell’autunno ’89:
Amburgo, dopo la fuga dalla DDR attraverso l’Ungheria e l’Austria nell’agosto ’89

Prime impressioni dell’Ovest:
“Adoravo l’Ovest. Non ero mai stata una persona materialista, ma mi piaceva avere la possibilità di comprarmi quello che volevo, i vestiti per esempio. E adoravo la musica. Venivo da Dresda, la cosiddetta ‘valle della disinformazione’, dove non arrivavano le tv e le radio dell’Ovest. Passai i miei primi mesi all’Ovest a guardare MTV.”

Trasloco nella casa occupata di Tucholskystrasse:
Estate 1990

“Nell’estate del 1989, io e il mio ragazzo decidemmo di andarcene. Nella cerchia di amici di famiglia dei miei a Dresda erano tutti artisti, e molti se n’erano già andati. Ebbi una lite paurosa con mia madre sul fatto che andavamo via, perché secondo lei eravamo ingenui e impreparati.

“Attraversammo il confine il 21 agosto. Eravamo passati per l’Ungheria con un visto e ci eravamo portati le bici per il tratto fino all’Austria. Eravamo terrorizzati. Al primo tentativo fummo intercettati dalle guardie di confine ungheresi, e fu terrificante perché non sapevamo se avevano l’ordine di sparare. Furono molto gentili, però. Ricordo che ci diedero del vino e ci tennero in custodia per 12 ore. Al secondo tentativo ci riuscimmo, a piedi, in pratica strisciando attraverso il confine, e finimmo in un paesino austriaco. La prima cosa che mangiai lì fu un banana split! Avevamo le banane nella DDR ma per comprarle bisognava aspettare in coda per due ore.

“Proseguimmo poi per Vienna, dove mangiai il mio primo kebab. In seguito ci mandarono in un campo di accoglienza a Münster, e poi dovevamo scegliere in quale città andare. Dato che eravamo entrambi studenti di musica, cercammo le migliori accademie di musica e scegliemmo Amburgo. Restammo lì a vivere in un albergo per tre mesi, a spese del governo. Eravamo così poveri che mia madre ci mandava pacchi di viveri e scorte dall’Est. Non mi piaceva il preparato per il purè di patate che avevano nell’Ovest.

“La mia amica Susanne e io fummo i primi tedeschi dell’Est a trasferirci nella casa occupata nella Tucholskystrasse e avevo l’impressione che noi ‘Ossis’ non stavamo simpatici a molti da quelle parti. Notavi la differenza nelle conversazioni: quelli dell’Ovest avevano un altro tipo di istruzione, avevano viaggiato. Noi avevamo una mentalità più pratica. Avvertivo una certa arroganza e fu difficile essere accettati all’inizio. Ma poco dopo ebbi due figli, e quella fu la mia distrazione, e poi iniziò il periodo dei party. E nel giro di poco tempo avevo comunque fatto amicizia con tutti.

“Sono affezionata al ricordo della caduta del Muro soprattutto per la musica: all’improvviso era possibile avere accesso a così tanta musica. E poi perché senza quell’evento non avrei incontrato Mohammed e oggi non avrei i miei due figli. E penso anche che la riunificazione non sarebbe stata possibile in altro modo. Nessuno dell’Est era disposto a lottare per il sistema. Però continuai a votare per la SPD (il Partito socialdemocratico, successore della SED, il partito al potere nella Germania Est). Non si viveva così male, dopotutto. Solo che eravamo isolati”.

Ole Schulz

Berlino (Ovest)

Età nel novembre ’89:
21

Occupazione nel novembre ’89:
Studente di storia, economia e sociologia al secondo anno alla Freie Universität di Berlino

Occupazione oggi:
Storico e giornalista

Residenza nell’autunno ’89:
Berlino

Prime impressioni dell’Est:
“Berlino Est era pure più grigia di Berlino Ovest in quei giorni, con un forte odore di carbone nell’aria. Strade vuote, niente pubblicità, case abbandonate. Ma mi piaceva quell’atmosfera irreale”.

Trasloco nella casa occupata di Tucholskystrasse:
Primavera 1990

“Il 9 novembre, ero al cinema con alcuni amici. Eravamo andati a vedere Themroc, un bizzarro e spassoso film anarchico francese degli anni ‘70, che racconta la storia di un operaio di fabbrica che all’improvviso rompe la routine della sua vita e i suoi obblighi, abbatte le mura del suo appartamento e mangia un poliziotto dopo averlo cucinato alla griglia. Siamo usciti dal cinema con la sensazione di doverci liberare anche noi. Ma qualcuno ci aveva anticipato.

“Non riuscivamo quasi a crederci. Al confine nella Heinrich-Heine-Strasse masse di gente dall’Est era già affluita nell’Ovest. I berlinesi dell’Ovest erano tutti per strada ad applaudire. Alcuni urlavano di gioia, abbracciavano gente per strada, altri piangevano. Si stappava lo champagne e si davano soldi ai berlinesi dell’Est.

“La versione ufficiale è che il 9 novembre crollò il Muro di Berlino, ma non è vero: quel giorno era solo diventato più permeabile. I berlinesi dell’Est potevano già venire di qui nell’Ovest, ma noi non potevamo andare all’Est. Così ci era venuta l’idea di dare l’assalto al confine e salire sul Muro. Purtroppo, non ci seguì nessuno. Davanti a noi c’era una fila di guardie di confine della Germania Est dall’aria truce, e ci fecero capire molto chiaramente che dovevamo rientrare.

“Fu una giornata fantastica, seguita da altre settimane ancora più esaltanti. Ogni giorno c’erano manifestazioni, dibattiti politici, tavole rotonde. Chi non vorrebbe vivere di persona una rivoluzione? Politicamente, però, le cose presero in poco tempo una direzione che non mi piaceva un granché. Lo slogan ‘Wir sind das Volk’ (‘siamo noi il popolo’), intonato alle proteste nella DDR, divenne presto ‘Wir sind ein Volk’ (‘siamo un solo popolo’). Come giovane di sinistra sostenevo l’idea di una terza via, il socialismo dal volto umano. Ma nelle elezioni del 1990 i tedeschi dell’Est votarono per i conservatori. E nell’autunno di quell’anno, ci fu la riunificazione della Germania.

“Per la sinistra, non è stato semplice accettare la caduta del Muro. Il socialismo della DDR sarà anche stato un sistema assurdo, ma era anche l’unica alternativa al capitalismo. Penso che il capitalismo fosse più umano a quei tempi perché doveva competere con il socialismo. Con il crollo del blocco sovietico, è iniziata un’epoca senza utopie.

“Quantomeno abbiamo avuto la possibilità di vivere alcuni anni di anarchia a Berlino Est, prima che fosse stabilito il nuovo ordine. Chi lo voleva poteva avere a disposizione un sacco di spazio per essere creativo e realizzare le proprie aspirazioni. E così noi, un gruppo di giovani berlinesi dell’Ovest con alcuni nuovi amici dell’Est, occupammo due case abbandonate.

“Nel corso degli anni, la nostra vita in comune è notevolmente cambiata. È diventata meno collettiva e meno collaborativa. Alcuni hanno litigato e non si parlano più, è una cosa che capita in comunità del genere. Ma ci sono anche aspetti positivi: stretti rapporti di amicizia, per esempio. Andavo già a scuola con alcuni dei miei vicini e anche oggi entro ed esco dagli appartamenti degli altri come fossero il mio. Alcuni di noi fanno ancora musica insieme, altri giocano a calcio nella stessa squadra.

“I nostri affitti sono ancora molto bassi. Il nuovo proprietario ci ha detto che viene dalla generazione liberale del ’68 e ci ha dato un contratto a condizioni molto favorevoli per entrambi i palazzi. Che succederà quando scade nel 2026? Staremo a vedere”.

“È stato a partire dal nuovo millennio che ho iniziato a sentirmi estraneo al mio quartiere. Mitte era la base di una nuova cultura e della scena della vita notturna della città riunificata, ma oggi è un quartiere completamente imborghesito, pieno di boutique chic che non mi interessano e di ristoranti costosi che non mi posso permettere. (I residenti del Greenwich Village di New York devono aver vissuto qualcosa di simile negli anni ’70). Sembra quasi artificiale, come il mondo del Truman Show.”

Foto di archivio di Jiri Kandeler, Katja Elger, Mark Null, e Roland Curth

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Monica Cainarca

Translator, editor, dreamer • formerly translator and editor for Medium Italia